III. La lama tagliente
del pastorato:
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Eccezione fascista
Quattro uomini, quattro narratrici (di cui una pianista), nove ragazzi e nove ragazze (che diventeranno ben presto otto e otto), quattro collaborazionisti, quattro giovani soldati, cinque inservienti (di cui una afro-discendente): sono queste le figure protagoniste di Salò o le 120 giornate di Sodoma, ambientato principalmente all’interno di una villa isolata nei dintorni di Marzabotto. Tema: l’esercizio del potere sugli uomini da parte di altri uomini. Semplice e lineare – «esatto come un cristallo», dirà Pasolini a lavorazione quasi ultimata – Salò mette in scena i giorni della Repubblica Sociale descritta come un qualsiasi impero decadente esclusivamente dedito alla coltivazione degli eccessi più turpi.
Porno-peplum, decamerotici, nazi-porno: gli anni ’70 svilupparono un fiorente immaginario per quanto concerne l’erotismo in tempi di crisi politiche e sociali. In questo scenario, Pasolini venne additato da più parti come un ispiratore inconsapevole di tali filoni, o di alcuni di essi, che ne sfruttarono la notorietà e l’idea di un’emancipazione del sesso sul grande schermo. Fatto strano, tenendo conto del fatto che lo stesso Pasolini aveva del resto già tracciato una distinzione netta tra la permissività nei confronti di una pornografia di consumo e la proibizione di una pornografia artistica (indipendentemente dai visti di censura), la cui funzione era di sottrarsi al conformismo «dell’ideologia neo-edonista che è tipica della dittatura consumistica totalitaria in quanto totalizzante», all’interno di un movimento più generale di nuove «opere estremistiche». Rilette alla luce delle reiterate prese di posizione sulla continuità tra regime fascista e regime democristiano e della sua variante più recente rappresentata dalla società dei consumi, queste affermazioni chiudono il cerchio delle analogie: la metafora acquista una piena comprensibilità e dissipa il suo mistero, la Repubblica Sociale è una condizione presente. È proprio così?
Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto un fascismo arcaico che non esiste più e non esisterà mai più. [...] Per me la questione è molto complessa, ma anche molto chiara, il vero fascismo, l’ho detto e lo ripeto, è quello della società dei consumi e i democristiani si sono ritrovati ad essere, anche senza rendersene conto, i reali ed autentici fascisti d’oggi. In questo ambito i fascisti ufficiali non sono altro che il proseguimento del fascismo archeologico: e in quanto tali non sono da prendere in considerazione.
Pronunciate durante un’intervista pubblicata nel dicembre 1974, queste famose parole segnano una posizione netta; eppure, solo poche settimane dopo, Pasolini inizierà la lavorazione di Salò, smentendo a prima vista questo disinteresse per il vecchio fascismo. Perché allora dare corpo a questa discontinuità attraverso un’analogia lineare? Com’è possibile insomma conciliare questa posizione polemica, espressa ripetutamente in numerose sedi, con la messa in scena di un’orgia che vede protagonisti dei repubblichini negli ultimi giorni dell’occupazione nazi-fascista dell’Italia? Rivisitazione storica o metafora del presente, Salò lascia interdetti i critici e gli osservatori. Sade e il fascismo, la società contemporanea e la degenerazione: come possono stare assieme senza scadere nel banale accostamento che non esprime altro se non una nostalgia per un tempo mitico e gioioso? Eppure, se Pasolini è così orgoglioso di questa sua «illuminazione», forse qualcosa in più c’è. Qualcosa in grado di rigenerare – o addirittura andare oltre – la metafora, ma anche di presentare i due poli sotto aspetti diversi. Sade senza il sadismo, il fascismo senza Salò. Raschiare sotto la scorza del visibile per far emergere una profondità nascosta eppure tangibile, almeno su un versante: ecco che la bibliografia comincia a mostrare la sua funzione. Eliminare la psicanalisi, eliminare la storia: che cosa rimane?
Partiamo intanto da un punto fermo: la connessione tra fascismo e sadismo, che ha costituito un facile bersaglio per attaccare il regista, può mostrare un’apertura di orizzonte solo se pensata nell’ottica di questo spostamento di fuoco da parte della denuncia pasoliniana. E al contempo, acquista un completo rilievo solo se si ripensa la questione del potere in relazione alle intuizioni di Pasolini a proposito della sua dimensione positiva – l’esortazione al godimento, l’edonismo diffuso, l’omologazione dei comportamenti – che lo stesso Foucault comincerà ad affrontare pochi mesi dopo, mostrando tuttavia scarso interesse nelle connessioni proposte dal film. Da questo punto di vista, si potrebbe preliminarmente ipotizzare che la riflessione di Pasolini attorno al concetto di fascismo si svolga lungo tre grandi direttrici.
La prima è legata all’attualità, che vedeva il ritorno di pulsioni totalitarie ed eversive d’ispirazione neofascista, attorno alle quali si concentrava buona parte della cinematografia italiana del periodo che affrontava il passato per parlare del presente. Ma questa non è che un pretesto attraverso il quale Pasolini prende le distanze dalla polemica politica per mostrare quella che a suo avviso era la povertà concettuale delle analisi riguardo alla condizione della società italiana dell’epoca. La seconda è invece interpretativa: qual è la forma del fascismo contemporaneo e quali strumenti bisogna inventare per combatterlo in modo efficace. In questo caso, la preoccupazione di Pasolini è rivolta alla definizione delle strategie di azione del potere sui corpi e sulle coscienze nella nuova cornice della borghese società dei consumi, segnata appunto dal passaggio dalla coercizione disciplinare alla tolleranza governamentale sorretta dall’efficacia conformatrice della scuola e della televisione. La terza, infine, è di carattere memoriale: che cosa resta del fascismo storico nella società moderna. È quest’ultima direttrice che riguarda più da vicino il ruolo delle arti, capaci di interrogare lo spazio dell’immaginario prima ancora che quello del simbolico mettendo in relazione tempi distanti in un movimento volutamente anacronistico che produce nuovi e più fecondi effetti di senso.
Proprio quest’ultima sembra definire l’orizzonte più specifico della poetica pasoliniana, in particolare in campo cinematografico. Una prima traccia si può scorgere proprio all’inizio della sceneggiatura del film su San Paolo, scritta a partire dal 1968, dove si legge che «gli antichi dominatori romani sono dunque sostituiti dall’esercito hitleriano, e i farisei dalla classe conservatrice e reazionaria francese, tra cui naturalmente i collaborazionisti di Pétain». L’essere «una forza del passato» permette a Pasolini di sviluppare un personalissimo principio di comparazione che consente di vedere a rovescio lo stato delle cose presenti, di illuminarlo e rischiararlo:
Adesso preferisco muovermi nel passato proprio perché ritengo che l’unica forza contestatrice del presente sia proprio il passato: è una forma aberrante ma tutti i valori che sono stati i valori nei quali ci siamo formati, con tutte le loro atrocità, i loro lati negativi, sono quelli che possono mettere in crisi il presente.
Immergersi sino in fondo in questo oggetto terribile per portare il film oltre i limiti della metafora e provare a istituire una sorta di sintonia con esso, malgrado tutto: questo il piano di lavoro delle pagine seguenti. Per fare ciò, sarà però necessario soffermarsi a lungo sui minimi dettagli, mettendoli a sistema e muovendosi tra la verticalità della loro significanza incrociata e l’orizzontalità della loro evoluzione sintattica. Intrappolati nella perfezione di questo cristallo infernale, occorre far giocare differenze e ripetizioni: solo attraverso l’ostinazione di questo sguardo analitico sarà possibile individuare un varco di uscita.
Balcone, folla
L’orizzonte mitico che definiva ancora il centro focale della Trilogia della vita assume ora una tonalità politica totalizzante, benché questa si ponga quasi ai limiti della leggibilità: «Se posso dare attualmente l’impressione di ricercare un linguaggio ermetico e prezioso, apparentemente aristocratico, è proprio perché considero la tirannia dei mass media come una forma di dittatura a cui mi rifiuto di fare la minima concessione». L’inizio di Salò mostra perfettamente in che cosa consista questo ermetismo pasoliniano: un inizio tipicamente classico eppure completamente disorientante nell’asciugare il momento dell’esposizione del mondo normale...