Professione giornalista
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Le tecniche, i media, le regole

Alberto Papuzzi

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Le tecniche, i media, le regole

Alberto Papuzzi

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Come si diventa giornalisti nell'epoca del progresso tecnologico e dei nuovi media, dell'espansione del giornalismo e dei fenomeni della globalizzazione? Le chiavi del successo sono la capacità di rispondere alle nuove esigenze di conoscenza e di informazione e la consapevolezza delle nuove tecniche e regole che oggi caratterizzano il «mestiere più bello del mondo». Con tali trasformazioni e tali interrogativi, cui corrispondono inedite figure professionali e impreviste responsabilità per i giornalisti, fa i conti la nuova edizione di Professione giornalista, manuale sui fondamenti teorici e tecnici, dalla stampa alla radio, alla televisione, all'online. Del pianeta dell'informazione, italiano e internazionale, inquadrato in una prospettiva storica, esplorato con esempi dal vivo, si mettono a nudo i meccanismi e le procedure che fanno sì che un avvenimento diventi una notizia, grazie al ruolo specifico del giornalista, testimone privilegiato. Questa quinta edizione, oltre agli aggiornamenti e agli accrescimenti dell'edizione precedente, contiene due capitoli inediti: il primo analizza la nuova figura del giornalista che opera attraverso il web, e si sofferma sugli strumenti multimediali e ipertestuali, con particolare attenzione alla realtà americana: forum, sondaggi, link, archivi, blog. Il secondo affronta gli aspetti specifici del giornalismo italiano in fatto di informazione politica. La pervasività di quest'ultima, spiega Papuzzi, ha indotto la nascita di un modello di giornalismo basato sul commento e sull'opinione, con una capacità a leggere e a interpretare in chiave politica anche i fatti che appartengono alle notizie e alle cronache quotidiane, dalla nera agli spettacoli, dalla cultura all'intrattenimento. Come dire che dal vecchio motto: «I fatti separati dalle opinioni» si passa al nuovo: «I fatti al servizio delle opinioni».

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Informazioni

Parte prima

Le tecniche

I. La notizia giornalistica

SOMMARIO: I six-penny papers – La rivoluzione della penny press – La svolta jacksoniana – I nuovi lettori – Mutano i titoli delle testate – L’inserzione pubblicitaria – Free press – Si amplia il concetto di notizia – Nasce il giornalista di professione – Dalla stampa d’opinione alla stampa commerciale – La centralità della cronaca di human interest – Un giornalismo di notizie – La stampa come industria dell’informazione – I libri di notizie tra Cinque e Seicento – La cultura della notizia – La complessità del concetto di notizia – La relatività della notizia – La notizia diventa tale in relazione al pubblico dei lettori – Selezione e interpretazione – Gli autori della selezione – È il giornalista che crea la notizia – La notizia non è mai la riproduzione della realtà – Le cinque W del giornalismo anglosassone – La tecnologia influenza il linguaggio – L’età del reporter – La funzione della notizia è di informare il pubblico – L’empatia tra la testata e il suo pubblico – L’Associated Press in Vietnam – L’opinione pubblica di Lippmann – Notizia e verità non sono la stessa cosa – Un fatto diviene notizia solo se è registrabile e misurabile – Il giornalismo non è un’esposizione di prima mano di materiale grezzo – La doppia natura dei giornali – La forma standardizzata rende riconoscibili le notizie – Suscitare emozioni e senso di identificazione – Criteri di selezione e valutazione – Il caso Fenaroli – Il criterio della rappresentazione – Herbert Marcuse a Venezia – Il criterio della contrapposizione – I gatekeepers – I news values – Lo sviluppo dell’industria dei media – Il carattere autoreferenziale dei mezzi di comunicazione – I valori notizia non sono norme oggettive – I dieci valori notizia in rapporto all’interesse del pubblico – Il linguaggio televisivo ha modificato il sistema dei valori notizia – I valori notizia in rapporto ai metodi e alle esigenze redazionali – La natura dell’avvenimento – La tempestività – La durata – Un patrimonio comune di riferimenti ideologici e culturali – I valori durevoli – I valori «di testata» – La selezione delle notizie come veicolo di trasmissione di un messaggio ideologico – Le implicazioni di valore delle notizie – L’idea di nazione – Realtà materiale e coscienza della realtà – Le varie teorie sui meccanismi di selezione delle notizie – Le notizie sono risposte alle domande che pone la realtà – Ambivalenza delle fonti – La fonte è sempre parziale e limitata – Il giornalista dovrebbe avere un numero di fonti sufficiente – Sul trattamento delle fonti lo storico e il giornalista hanno problemi comuni – È la natura dell’avvenimento che determina l’importanza delle fonti – Fonti primarie – Fonti secondarie – Le fonti secondarie devono sempre essere controllate – La regola delle due fonti non anonime – La forza di un cronista è la sua agenda – Il caso Lockheed – L’importanza del controllo delle fonti ufficiali – Quattro modalità di identificazione delle fonti – La pubblicità delle fonti come limite alla discrezionalità del giornalista – L’integrità delle fonti – Il rapporto con le fonti è il nodo più delicato della professione giornalistica – Le «notizie del diavolo» – Le fonti dirette – Le fonti indirette – Lo sviluppo dell’industria della comunicazione e le fonti indirette – Le principali fonti indirette sono le agenzie di stampa – Le prime agenzie di stampa in Europa – Le agenzie americane – In Italia: nel 1853 nasce la Stefani – Nel 1945 l’Ansa – La maggior parte dei materiali d’agenzia sono notizie già elaborate – L’universalità del pubblico delle agenzie di stampa comporta la tendenza alla completezza dell’informazione – I modelli di notizia tipici delle agenzie – I materiali d’agenzia subiscono trattamenti diversi – Una pluralità di funzioni – La definizione di agenzia di stampa – Le più importanti agenzie internazionali.

1. La penny press.

Negli anni trenta del XIX secolo la stampa americana venne messa a soqquadro dalla rivoluzione che prese il nome di penny press. All’inizio del decennio i giornali quotidiani erano ancora un prodotto riservato alle élites, in particolare agli uomini politici e d’affari, i quali se ne servivano per tenersi aggiornati sugli avvenimenti internazionali, sui conflitti bellici, sulle tariffe dei noli, sui prezzi delle merci, sulle novità della produzione e sull’andamento dei mercati. La stampa americana era divisa fra le testate che si occupavano di fatti commerciali e quelle che s’impegnavano nella competizione politica, ma si rispecchiava comunque in un unico modello di giornale quotidiano, confezionato in quattro pagine, con i testi a seguire in colonna. La prima e l’ultima pagina erano sempre riservate alle inserzioni pubblicitarie, preziose fonti di informazioni per i business men, mentre le due pagine interne erano dedicate in parte agli editoriali, sia economici che politici, in parte a notizie di vario genere, fra le quali primeggiavano i resoconti sugli arrivi delle navi e sui contenuti dei carichi. Stampati in genere da piccoli editori, venduti quasi esclusivamente in abbonamento, diffusi soprattutto nell’Est, concentrati nelle nascenti metropoli e redatti da giornalisti che nella maggioranza erano poco più che impiegati dei circoli politici e affaristici, questi giornali non arrivavano a superare le mille o duemila copie di tiratura e potevano sembrare dei bollettini piuttosto che dei veri giornali, non fosse stato per gli editoriali spesso impetuosi e partigiani. Costavano sei cents a copia in tempi in cui la paga giornaliera di un operaio si aggirava sugli ottanta cents.
Nel 1833 nasce il «Sun», primo quotidiano di New York venduto al prezzo di un solo penny, sull’esempio inglese, che non veniva più diffuso in abbonamento ma era venduto dagli strilloni per le strade. Il successo è immediato: il nuovo giornale in quattro mesi arriva a cinquemila copie, in due anni raggiunge le quindicimila. È il battistrada di un’avventura editoriale che infrange la tradizione elitaria dei six-penny papers. Nel 1834 e nel 1835 vedono la luce il «New York Transcript» e il «New York Herald». Quest’ultimo è fondato e diretto dal primo personaggio della penny press con la statura di editore: James Gordon Bennett, protagonista di accesi scontri con i direttori dei giornali tradizionali. Il movimento si espande velocemente a Boston, Philadelphia e Baltimora, scoprendo il pubblico di massa, segno che dietro questa rivoluzione c’erano profondi mutamenti che avevano per oggetto la società americana.
Se ogni fenomeno culturale è condizionato dal contesto economico, sociale e politico, ciò è ancora più vero per la storia del giornalismo, poiché il giornalismo non è altro che una presa d’atto di quanto accade quotidianamente intorno a noi: una lente d’ingrandimento posata giorno dopo giorno sulle fitte righe scritte dalla storia. Negli Stati Uniti gli anni trenta furono il decennio della svolta jacksoniana. Uomo dell’Ovest, eroe militare, avvocato e piantatore, Andrew Jackson, eletto nel 1828, era il leader di un giovane ed eterogeneo Partito Democratico, costituito essenzialmente da due blocchi: i pionieri, gli agricoltori, gli allevatori, i commercianti dell’Ovest e i lavoratori delle industrie che stavano proliferando all’Est. Il presidente Jackson rappresentava il nuovo spirito nazionale, che dai territori della nuova frontiera soffiava sulla cultura aristocratica della Nuova Inghilterra: «Fede nell’uomo comune; credenza nell’eguaglianza politica e nell’eguaglianza di possibilità economiche; odio contro i monopoli, i privilegi e i maneggi della finanza capitalistica» (Nevins - Commager 1980). Il suo insediamento a Washington è stato considerato l’inizio di una nuova era nella vita americana, un’altra grande ondata democratica dopo quella della presidenza jeffersoniana: «Fu uno dei pochi presidenti che, col cuore e con lo spirito, siano stati del tutto per la gente comune». La penny press non avrebbe potuto avere successo senza questo moto politico che mutò le condizioni sociali del paese. Immediatamente editori e direttori intuirono che si era aperto un nuovo mercato, in cui i giornali non erano più un privilegio riservato alle classi altolocate e ai ceti facoltosi, ma diventavano una merce a disposizione di tutti, soprattutto dei nuovi ceti – agricoltori, bottegai, operai, artigiani, piccoli imprenditori – che cercavano il loro posto nel paese in cambiamento. Due fattori contribuirono in particolare ad aumentare il potenziale numero di lettori di giornali: l’estensione del diritto di voto maschile e la battaglia per una scuola libera statale. I risultati conseguiti dalla penny press furono impressionanti. Fra il 1830 e il 1840, grazie anche all’incremento della popolazione da 13 a 17 milioni di abitanti, le testate passarono da 65 a 138, la diffusione complessiva aumentò da 78000 a 300000 copie al giorno. Ma ciò che più contava era che la penny press cambiò il modello del giornale quotidiano, proprio perché erano cambiati i suoi lettori.
Un primo singolare mutamento riguardò i titoli delle testate: prima del 1830, accanto al nome della città in cui erano stampate, tendevano a contenere parole tratte dal lessico commerciale – Advertiser, Commercial o Mercantile –, mentre dopo il 1830 si predilessero termini come Herald, Tribune, Star o Sun, più ricchi di personalità e suggestioni, assai più vicini al gusto della piccola borghesia. Un secondo mutamento avvenne nella politica delle inserzioni pubblicitarie: nei quotidiani tradizionali gli avvisi commerciali erano considerati parte dell’informazione, accreditata dal giornale, che si riservava di accettarli o meno, in base alla loro credibilità. Nella penny press l’inserzione pubblicitaria si allarga a ogni sorta di merce, soprattutto farmaci, ma perde il carattere di un servizio al lettore per assumere quello di una fonte di introiti, su cui il giornale non esercita più alcun controllo di qualità. Un terzo cambiamento, che segna una tappa decisiva nella storia della stampa americana, è l’affermazione di indipendenza della penny press dai circoli politici. Alla base c’era una ragione economica: non dipendendo dagli abbonamenti ma dalla vendita nelle strade, il «New York Sun», il «New York Herald», il «Boston Daily Times», fondato nel 1836, o il «New York Tribune», che nascerà nel 1841, non si sentivano più legati a un particolare ambiente. Come scrisse James G. Bennett sull’«Herald» nel 1837, soltanto la penny press poteva essere una free press, perché ignorava del tutto chi fossero o non fossero i suoi lettori. Frattanto la presidenza Jackson, combattendo aspre battaglie contro i monopoli finanziari, favorì nell’opinione pubblica un atteggiamento di distacco dai cosiddetti politicanti, che nel mondo della penny press si manifestò più come un «divorzio dalla politica», un’indifferenza rispetto a problemi che toccavano molto da lontano la gran parte dei suoi lettori che come una reale aspirazione all’indipendenza politica. «We have none», non abbiamo nessuno, proclamava nell’editoriale del primo numero il «New York Transcript». «Neutral in politics», neutrale politicamente, si dichiarava il «Boston Daily Times». In realtà diverse testate appartenenti alla penny press offrivano una puntuale copertura degli avvenimenti politici americani, spesso più completa rispetto ai six-penny papers, come l’«Herald», per esempio, che ebbe due corrispondenti fissi a Washington. Però questi giornali non si identificavano più con posizioni o schieramenti, in questo sentendosi interpreti privilegiati della libertà di stampa com’è affermata nel Bill of Rights.
Ma il cambiamento più rilevante riguardò i contenuti dell’informazione: per la prima volta qualsiasi fatto poteva acquisire lo status di notizia. «Anche gli eventi più irrilevanti – si leggeva in un editoriale del «New York Herald» – possono essere gonfiati a questioni di grande attualità» e, come scrive Michael Schudson in Discovering the News, «per la prima volta i giornali pubblicavano resoconti dai distretti di polizia, dalle aule dei tribunali e dalle case private», perché gli avvenimenti che acquisivano il diritto di cittadinanza sui giornali facevano parte dell’esistenza quotidiana dei nuovi lettori. Ai six-penny papers che accusarono la penny press di involgarire l’informazione, sfruttando il sensazionalismo e indulgendo ai gusti peggiori del pubblico – sebbene i giornali dell’epoca non potessero ancora contare né sulle fotografie di cronaca né sui titoli cubitali –, dalle colonne dell’«Herald» Bennett replicò che la stampa di Wall Street era al servizio del potere economico e della corruzione politica. Il conflitto arrivò a un punto tale che i six-penny papers minacciarono una «Moral War» contro l’«Herald», ma le ragioni del disagio e dei contrasti erano più profonde: l’informazione non era più concentrata sugli interessi e le esigenze di una ristretta cerchia di uomini d’affari e di personaggi politici, ma proiettava il suo sguardo periscopico sull’esistenza e l’immaginario di tutti i cittadini. Il consolidamento della penny press significò un preciso e storico passaggio: «La penny press – dichiara Schudson – inventò il moderno concetto di notizia». Perché è da questo momento che la notizia deve essere cercata, scovata, riconosciuta, selezionata, elaborata, comunicata, in funzione dei lettori, diventando una merce preziosa, per ottenere la quale si costruirono apparati progressivamente sempre più complessi: le redazioni dei giornali. La figura sociale del giornalista professionista, assoldato per battere strade e piazze, uffici pubblici, commissariati di polizia, aule giudiziarie, sedi di partito, club privati a caccia di notizie nasce allora. L’«Herald» di New York aveva corrispondenti, seppure occasionali, in Canada e a Londra. La stessa idea di concorrenza giornalistica, la corsa alla notizia e lo stereotipo dello scoop si svilupparono con la penny press, divenendo elementi fondamentali nei processi di modernizzazione della stampa e del giornalismo.
Se il fenomeno si manifesta con evidenza nella storia della stampa americana, in realtà fa parte di un’evoluzione generale dalla stampa d’opinione alla stampa commerciale, che interessa anche i giornali europei: nella seconda metà del secolo numerose imprese editoriali si organizzano nella forma di società per azioni, mentre si aggregano le prime concentrazioni di carattere capitalistico, come ha ricordato Jürgen Habermas nei suoi studi sull’opinione pubblica. «Analogamente cambia il rapporto tra editore e redazione – annota il filosofo –. L’attività redazionale, sotto la pressione di un’organizzazione tecnicamente progredita, si era già specializzata come attività non più letteraria, ma giornalistica; la scelta del materiale diventa più importante dell’articolo di fondo; l’elaborazione e l’esame critico delle notizie, la loro revisione e presentazione diventa impellente rispetto alla formulazione di una “linea” in termini letterariamente efficaci».
È in questa fase che la vecchia tradizione del giornalismo come istanza pedagogica viene oltrepassata dalla «cultura della notizia come merce, il cui unico banco di prova è costituito dal mercato». In questo rovesciamento «il reporter a caccia di notizie per la strada diventa più importante dell’editor che dirige il giornale dalla sua scrivania (nonostante che la paga del primo corrisponda mediamente a metà di quella del secondo). Viene attribuito a uno dei redattori del “Sun”, John Bogart, l’esempio rimasto poi classico dell’uomo che morde il cane come notizia (contrapposta alla non-notizia, perché normale, del cane che morde l’uomo). Vero o falso che sia, è un esempio che condensa bene la filosofia del “Sun” e della penny press: la centralità della cronaca di human interest in quanto filo diretto (per contrasto o per assimilazione) con l’esperienza personale di vita del lettore, la conseguente riduzione della storia a storie» (Gozzini 2000).
Alle stesse conclusioni è approdato il filone delle scienze sociali che ha elaborato il concetto di «campo giornalistico» per analizzare empiricamente i caratteri del giornalismo, partendo da studi del sociologo tedesco Norbert Elias e del sociologo francese Pierre Bourdieu. Il campo giornalistico si viene a costituire, come ha spiegato Giovanni Bechelloni, «quando l’attività specializzata di produrre informazione d’attualità diventa visibile e rilevante per intere comunità nazionali, economicamente remunerativa per imprese specializzate, decisiva per la formazione delle opinioni pubbliche e degli orientamenti valoriali di vasti agglomerati di individui». Così la storia del campo giornalistico «trova nel giornalismo americano degli anni trenta dell’Ottocento la sua fase iniziale, con il costituirsi per la prima volta di un “giornalismo di notizie”. Con la nascita della penny press, infatti, si assiste a una duplice rottura con la tradizione precedente: a) viene “inventata” la notizia, il prodotto più tipico, originale ed esclusivo di quello che diverrà il giornalismo moderno, e b) si costituisce la professione di giornalista come professione esclusiva e retribuita» (Bechelloni 1995).
La penny press è soltanto un episodio del processo di modernizzazione che ha trasformato la stampa in industria dell’informazione, snodandosi lungo l’asse di tre fenomeni storici: la rivoluzione industriale, il positivismo ottocentesco e la società di massa. In questo quadro la penny press segna il passaggio non soltanto da un sistema dell’informazione a un altro, bensì da un’idea del giornalismo a un’altra, in cui la concezione della notizia diviene il cuore del sistema informativo moderno: è allora che il rapporto fra eventi e pubblico si delinea come il filo d’acciaio su cui costruire la notizia giornalistica.

2. Il concetto di notizia.

La notizia giornalistica, processo informativo che prende in considerazione l’universo degli avvenimenti, non nasce dunque con l’invenzione del giornale, che affonda le radici nei libri di notizie del Cinquecento e nelle gazzette di avvisi del Seicento, ma solo dopo lo sviluppo di una tecnologia e un’industria. Se ogni fatto può aspirare al rango di notizia e se anche fatti in apparenza insignificanti possono diventare The News of the Week, l’evento della settimana, come si leggeva nel 1837 nel citato titolo del «New York Herald», allora diventa importante ragionare sui modi in cui una notizia possa essere riconosciuta. Tutti pensiamo di sapere cosa sia di fatto una notizia, ma quanti sono realmente in grado di rispondere all’invocazione di Igor Man, corrispondente e inviato della «Stampa» scomparso nel 2009, negli Ultimi cinque minuti, un breve racconto giovanile?
Cosa è una notizia, Signor Direttore, cos’è una notizia per un giornalista? Dico: per un giornalista che la riceve, da una parte del mondo qualsiasi, e che la deve passare, che deve leggerla, cioè giudicarne l’importanza, titolarla, mandarla a comporre […]. Tre morti, due morti, mille morti. Un furto, una caduta, l’aeroplano che si incendia. Nomi, fatti, avvenimenti.
Ogni volta che un giornalista scrive deve partire dal concetto di notizia, mentre scrive la sua preoccupazione deve essere quella di fornire il maggior numero possibile di notizie; la stessa impostazione e organizzazione dell’articolo – la successione di dati, descrizioni, argomentazioni – insomma la tecnica con cui un giornalista è in grado di rovesciare da cima a fondo un delitto o di costruire da zero un buon pezzo, sulla base di una laconic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Parte prima. Le tecniche
  7. Parte seconda. I media
  8. Parte terza. Le regole
  9. Appendici