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8 modi per trasformare radicalmente il lavoro

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8 modi per trasformare radicalmente il lavoro

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Prefazione di Joshua VolparaPiù di 150 incontri in tutto il mondo con imprenditori, manager e studiosi, pionieri di un nuovo modo di concepire business e lavoro, un blog seguito da decine di migliaia di persone, i servizi di media planetari come NY Times, The Guardian, Forbes, BBC, la vittoria del Radar Award 2019 nel Thinkers50 (l'oscar del management), hanno portato in pochissimi anni due giovani olandesi al centro dell'attenzione internazionale. Un'ampia trasformazione era già in atto nel mondo del lavoro prima che l'emergenza Covid costringesse intere nazioni ad adottare massivamente quello che solo in Italia chiamiamo "smart working". Ma il vero lavoro "intelligente" emerge dalle pagine di questo libro che catturano un movimento epocale capace di trasformare il business in ogni angolo del pianeta: dal profitto al proposito, dalla piramide gerarchica alla rete di team, dall'autorità centralizzata alla leadership distribuita, dal comando e controllo all'autonomia e alla fiducia, dalla pianificazione strategica alla sperimentazione adattiva, dalla segretezza alla trasparenza radicale... Nel loro viaggio Pim e Joost hanno saputo intercettare i pionieri del cambiamento. Ora la crisi globale sta trasformando in strada maestra i sentieri alternativi del loro racconto.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788849865646
Argomento
Business

1.
Dal profitto al proposito e ai valori

È buio pesto nel camper. Sappiamo bene come trovare le cose al buio; abbiamo viaggiato attraverso la California per un mese e questa è la nostra ultima settimana negli Stati Uniti. La Highway 1 è stata casa nostra per tre settimane, una magnifica, sinuosa strada costiera che va da Los Angeles a San Francisco. Abbiamo puntato la sveglia presto perché oggi c’è lavoro da Ribelli. Arrotoliamo i nostri sacchi a pelo e pieghiamo i nostri letti con la motivazione di un proposito chiaro. La spiaggia di Ventura, ricordate? Eccoci poco dopo sulle fredde sabbie, osservando i delfini e i surfisti e aspettando il nostro primo pioniere del nuovo management: è Chipper Bro, uno dei primi dipendenti di Patagonia.
Patagonia è una società americana di retail fondata nel 1973 dal fanatico alpinista Yvon Chouinard. La mancanza di attrezzature specializzate all’epoca lo costrinse a fabbricarsele da sé. Ha imparato da solo a forgiare il ferro, per dare un’idea di quanto fosse determinato. E l’attrezzatura che produceva non era un’approssimativa cianfrusaglia fatta in casa. Divenne presto così popolare fra gli appassionati di montagna che decise di farne un’attività vera e propria. Lentamente, la società che aveva fondato è cresciuta fino a diventare un marchio globale. Si è anche diversificata nel corso degli anni e oggi Patagonia non si concentra esclusivamente sugli alpinisti; produce anche attrezzature per sciatori, snowboarder, surfisti, pescatori e runner. Noterete che nessuna di queste discipline richiede un motore; si tratta sempre di attività che privilegiano un legame diretto tra atleta e natura. Non sorprende quindi che il quartier generale di Patagonia si trovi solitario in questa parte idilliaca della costa californiana.
Passeggiamo lungo la spiaggia, assaporando la bellezza del mattino ma anche chiedendoci dove diavolo sia Chipper Bro. Continuiamo a esplorare nella penombra, ma prima che ci allontaniamo troppo Chipper Bro arriva in un furgone bianco. Sporge la testa: «Ragazzi, siete pronti per un po’ di surf oggi? Super!». Chipper Bro, dipendente doc di Patagonia ufficialmente noto come Chip Bell, è undici volte campione del mondo di Frisbee Freestyle. Con la sua criniera selvaggia di riccioli grigi, Chipper sembra proprio un hippie. Scende dal furgone e ci avvolge entrambi nel genere di abbracci che ti aspetti dagli spiriti liberi nel sud della California. Ci fa subito ridere, e dopo qualche chiacchiera apre il retro del suo furgone. È pieno di attrezzatura da surf. Chipper fruga e tira fuori due mute nere che ci vanno sorprendentemente a pennello. Ovviamente, è attrezzatura Patagonia. Un’altra mischia nel furgone e ricompare, questa volta, con due tavole da surf. Ce le spinge fra le braccia e ci fa strada. «Prima di raccontare di Patagonia», lo sentiamo dire mentre si avvia verso la spiaggia, «voglio che voi ragazzi facciate l’esperienza di cosa stiamo parlando». È ancora freddo e facciamo alcuni esercizi per riscaldare i muscoli.
Una sessione di surf è un’introduzione appropriata e totalmente in linea con la filosofia aziendale del suo fondatore. Il titolo dell’autobiografia di Yvon Chouinard la dice tutta: Che la mia gente faccia surf: educazione di un uomo d’affari riluttante (Let My People Go Surfing: The Education of a Reluctant Businessman). Per l’ora successiva facciamo goffi tentativi di trovare l’equilibrio mentre le onde grigie ci scagliano verso la riva. È più difficile di quanto sembri. Chipper prende onda su onda. Cerchiamo di illuderci che non stiamo andando troppo male e alla fine della sessione riusciamo a stare in piedi sulla tavola per un secondo o due. A un certo punto decidiamo di averne prese abbastanza. Esausti ma soddisfatti ci lasciamo cadere sulla sabbia; alle nostre spalle il sole finalmente si degna di mostrare il suo volto. Seduto a gambe incrociate sulla spiaggia, sguardo verso l’oceano, Chipper ci dice: «Ragazzi sono super entusiasta che siate qui. Andiamo in ufficio, voglio che conosciate bene la nostra organizzazione. C’è una buona colazione che ci aspetta». Mettiamo via le mute e le tavole da surf e in pochi minuti siamo al quartier generale di Patagonia. È un agglomerato sconclusionato di edifici compatti e colorati che ospitano circa 600 membri dello staff; non certo la tipica sede aziendale. Nel parcheggio notiamo alcuni camper e diverse macchine coperte di mute, lasciate fuori ad asciugare. Una sede davvero speciale!
Il modo in cui trascorriamo le nostre giornate è, ovviamente, il modo in cui trascorriamo le nostre vite.
Annie Dillard
Come afferma la scrittrice Annie Dillard, vincitrice del premio Pulitzer: «Il modo in cui trascorriamo le nostre giornate è, ovviamente, il modo in cui trascorriamo le nostre vite». Il lavoro che facciamo dice molto su come conduciamo le nostre esistenze. Immaginate di avere ottant’anni e di essere circondati dai vostri nipoti. Vi chiedono di cosa andiate più orgogliosi. Riflettete sulla vostra vita e cercate nel vostro passato. Pieni di orgoglio, raccontate loro della vita che avete vissuto... Citereste il vostro lavoro o qualcosa di significativo che avete fatto con i vostri colleghi? La vostra carriera ha contribuito a un mondo migliore? Una ricerca dell’Università di Leiden conclude che il 25% dei dipendenti dubita dell’utilità del proprio lavoro7. Nel suo libro Bullshit Jobs, l’antropologo David Graeber cita uno studio britannico che mostra come il 37% dei lavoratori consideri che il proprio lavoro non dia un utile contributo alla società8.
Naturalmente, un lavoro significativo non è sempre un’opzione, specialmente quando le persone si trovano a lottare per sopravvivere. Ma nel mondo occidentale di solito non è così. Perché accettiamo che il lavoro riguardi soltanto il far soldi? Perché accettiamo di lavorare per capi il cui unico obiettivo è diventare più ricchi e per azionisti che non sanno guardare oltre il trimestre successivo? Queste aspirazioni ristrette non si adattano bene al pensiero moderno e provocano dipendenti infelici. E se, invece di accettare questo stato delle cose, dedicassimo il tempo a un lavoro che genera un impatto positivo? Che bello sarebbe lavorare per organizzazioni che credono in un cambiamento positivo.
Su noi stessi avevamo avvertito la dolorosa incompatibilità tra il lavoro che svolgevamo prima e il nostro desiderio personale di sentirci utili. Le decisioni erano in gran parte basate sul profitto. L’intera strategia riguardava i soldi; l’unica misura di successo era finanziaria. Concentrarsi solo sulla massimizzazione dei profitti genera un pensiero patologicamente orientato al breve termine. I dirigenti sono spinti dagli investitori a prendere decisioni che garantiscano un rapido ritorno sugli investimenti, spesso a spese di tutto e tutti. Questo non è un bene per il mondo ed è demotivante per le persone. Un recente articolo su «Journal of Business Ethics», con alle spalle cinque differenti studi, ha mostrato come la motivazione dei dipendenti sia del 17-33% più alta quando il profitto non è la preoccupazione principale9. Non è certo una notizia dell’ultima ora: per decenni la ricerca ha dimostrato che il perseguimento di uno scopo più elevato motiva più fortemente le persone rispetto alla ricerca di un maggiore profitto. Quando siamo andati a trovare Daniel Pink, “nostro” pioniere e autore di bestseller (Drive. La sorprendente verità su ciò che ci motiva nel lavoro e nella vita), abbiamo approfondito il tema. «La domanda “Che differenza faccio nel mondo?” è fondamentale», ci ha detto. «Essere consapevoli del proprio contributo è estremamente motivante. Il paradosso è che molte organizzazioni non fanno nulla quando si tratta di cercare uno scopo più elevato».
«C’è una grande differenza tra ciò che la scienza sa e ciò che accade nella vita reale. Anche le organizzazioni consapevoli del problema commettono un altro grave errore: presumono che i loro dipendenti e clienti non siano abbastanza intelligenti. Ecco come va di solito: un leader si sveglia e pensa “Sì, dobbiamo essere al passo con i tempi”. Si decide di seguire “la moda del purpose”. Vengono chiamati consulenti per decidere il nobile obiettivo dell’azienda, senza coinvolgere i dipendenti. Il risultato? Un obiettivo. Meraviglioso. E adesso? La definizione del proposito non avrà di per sé l’effetto desiderato. Nel peggiore dei casi, sarà come del rossetto su un maiale, una finzione che demotiva ancora di più i dipendenti. Che ne dite allora di una campagna per far conoscere al mondo quanto l’organizzazione sia guidata dal suo purpose? Il risultato è un piacevole spot televisivo e un motivetto orecchiabile. Niente cambia. Le decisioni sono ancora basate sulla solita motivazione; i manager vengono promossi e premiati in base agli utili di breve termine e i progetti vengono valutati per il loro valore finanziario. Per i dipendenti, che non sono mai stati coinvolti, non cambia nulla».
La domanda “Che differenza faccio nel mondo?” è fondamentale. Essere consapevoli del proprio contributo è estremamente motivante. Il paradosso è che molte organizzazioni non fanno nulla quando si tratta di cercare uno scopo più elevato.
Daniel Pink

STILE CALIFORNIANO

L’atmosfera che troviamo in Patagonia ci ricorda in qualche modo una baita di montagna. La scrivania di Chipper è vicino all’ingresso. È, tra le altre cose, il receptionist in Patagonia, la prima persona che i visitatori incontrano. I dipendenti arrivano alla spicciolata mentre Chipper ci conduce nello spazio comune per la colazione. L’atmosfera è rilassata, si sentono risate e il mormorio delle conversazioni. Questo è il modo di iniziare la giornata. Alcuni sono accompagnati da bambini, altri da animali domestici. Questo è il luogo di lavoro informale che eravamo convinti esistesse davvero e che stavamo cercando…
Dopo colazione ci sediamo al tavolo da picnic in legno sotto il sole ora mite della California. Nel corso della giornata, c’è un flusso costante di dipendenti che viene a trovarci. Le persone condividono le loro storie e rispondono alla nostra raffica di domande. Non esiste un lavoratore tipo o una preponderante fascia di età; parliamo con ogni genere di persona. Ci sono esperti di social media, impiegati nella distribuzione, stagisti, membri della direzione. Tutti sembrano condividere le stesse passioni: vita all’aria aperta, sport adrenalinici, fitness, natura. In Patagonia, tutto riguarda questo scopo superiore. È incarnato nelle loro espressioni, nei loro atteggiamenti. Ne vien fuori una raccolta di pensieri liberi di persone diverse, intelligenti, insolite, interessanti, non di automi. Credono davvero in ciò che fanno e usano i prodotti che contribuiscono a realizzare nel loro tempo libero. Il legame con la natura crea qualcosa di simile alla compagnia di un’amicizia, ma c’è anche devozione per l’organizzazione. L’autenticità e l’impegno dei dipendenti di Patagonia sono evidenti e stimolanti. È qualcosa che non si vede spesso in un ambiente di lavoro. «Vogliamo stabilire gli standard che gli altri seguiranno», ci ha detto un dipendente, «ma alla fine, vogliamo semplicemente fare ciò che è giusto». È meraviglioso sentirlo, ma come funziona realmente?
Una placca di legno, incisa con la dichiarazione della missione di Patagonia, è appesa sopra la scrivania di Chipper. Si legge: «Costruisci i migliori prodotti, non provocare danni inutili, usa il business per ispirare e implementare soluzioni alla crisi ambientale». Prendete in considerazione la prima parte: costruisci il miglior prodotto. Questa è la ragion d’essere di Patagonia. L’azienda si sprona a fornire il meglio. Il fondatore Chouinard ha scritto nella sua autobiografia: «Siamo un’attività orientata al prodotto e senza questo non può esserci l’azienda. Prodotti utili di buona qualità rappresentano la nostra àncora»10.
Questo atteggiamento ispira i dipendenti a molti livelli. Qualunque compito venga intrapreso – la creazione di canali di social media, l’assistenza ai clienti, la realizzazione di studi e ricerche, l’allestimento di negozi al dettaglio, la gestione del servizio di assistenza all’infanzia – viene svolto con la massima cura. Dev’essere il massimo. Servizio di assistenza all’infanzia, chiedete? Certamente. Il nostro tavolo è circondato da bambini che giocano felicemente mentre i genitori lavorano. E ogni tanto un impiegato dedica qualche minuto per venire a giocare con loro. Questo servizio cattura l’essenza della nostra ricerca in molti sensi. Chiediamo a Chipper Bro di parlarcene. Era una soluzione pratica, spiega. «Durante i primi anni, molti di noi avevano l’età per metter su famiglia. Alcuni impiegati – tra cui Yvon e sua moglie Malinda – hanno iniziato a portare i loro figli al lavoro. Non passò molto tempo prima che apparissero i primi lettini. Naturalmente la cosa...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Colophon
  5. Prefazione Il lavoro oltre la crisi
  6. Dicono dei Corporate Rebels
  7. Londra
  8. Introduzione - Tuffiamoci
  9. 1. Dal profitto al proposito e ai valori
  10. 2. Dalla piramide gerarchica alla rete di team
  11. 3. Leadership: dal comando al supporto
  12. 4. Da pianifica&prevedi a sperimenta&adatta
  13. 5. Da regole&controllo a libertà&fiducia
  14. 6 .Da autorità centralizzata ad autorità distribuita
  15. 7. Dalla segretezza alla trasparenza radicale
  16. 8. Dai titoli al talento e alla competenza
  17. Unitevi alla rivoluzione Vedere per credere
  18. Bibliografia