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L’incalzare dell’incubo della storia:
la guerra per la conquista dell’Infosfera
Dal mio Come un incubo e come un sogno. Memorialia e Moralia di mezzo secolo di storia, pubblicato nel 2018, ho recuperato il concetto dell’incubo della storia, tratto dall’Ulisse di Joyce, associandolo al sogno professionale e di vita da me vissuto. La pandemia Covid-19 ha tutte le caratteristiche di un incubo, anche se è doveroso ricordare che nell’illustre scrittore irlandese esso ha un contenuto contingente, mentre per gli esseri umani è una condizione permanente di vita, tale da potersi considerare generatrice della loro stessa storia1. Senza incubi non vi sarebbe storia e senza sogni non vi sarebbe progresso. L’illuminismo ha accettato questa realtà, tramutandola in una filosofia di vita. La bibbia di questa corrente di pensiero è L’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert, pubblicata tra il 1751 e 1780 in francese, che contiene la raccolta del pensiero e delle tecnologie dell’epoca; essa rappresenta anche un caso finanziario perché prefinanziata con una sottoscrizione da parte di risparmiatori2.
In questo lavoro non si parla delle molte implicazioni della crisi sanitaria, ma di alcuni problemi che essa ha sollevato all’interno del Paese. L’esame è condotto tenendo conto dei mutamenti geoeconomico-politici, che si accompagnano con turbolenze sociali mai assopitesi e ora in decisa ripresa. Nel campo economico, l’anomalia subentrata al diffondersi del virus è stata giustamente descritta come un evento che non doveva affrontare una bolla inflazionistica, né un boom di domanda aggregata, né alterazioni sistemiche del mercato finanziario dovute a speculazioni o a errori di politica economica, come accaduto in passato, ma uno sconvolgimento dell’offerta produttiva, in gran parte metaeconomico perché afferente alla reazione degli esseri umani e dei governi ai timori degli effetti della pandemia sulla salute individuale e sul benessere sociale.
I modi in cui essa è stata affrontata – il c.d. lockdown è solo un aspetto rilevante, ma non unico – hanno creato inevitabili difficoltà alle imprese che si sono riflesse in una severa caduta della produzione (come sintetizzato dall’andamento del pil) e dell’occupazione; quest’ultima non solo in forma palese, ma anche occulta, in quanto mascherata dall’assistenza pubblica concessa per sostenerla. Le statistiche non hanno registrato la disoccupazione effettiva, dato che le imprese si sono tenute parte degli occupati senza che potessero produrre o producendo senza vendere e alcuni potenziali lavoratori si sono cancellati dalle liste di coloro che cercavano impiego, per sfiducia sulla possibilità di ottenerlo e per beneficiare delle provvidenze pubbliche di ogni tipo. Una complessità, quindi, che ne ha generate altre.
Per impedire che la situazione uscisse fuori controllo, soprattutto dal lato finanziario, le autorità italiane, europee e del resto del mondo hanno preso decisioni debordanti l’ortodossia istituzionale e le forme tradizionali di intervento della politica economica di tipo monetario e fiscale come erano andate strutturandosi dopo secoli di dispute sul ruolo del mercato e dell’intervento pubblico. Le decisioni prese non hanno il beneficio della verifica pratica e impongono riflessioni anche per la teoria. È questo il duplice compito che studiosi e politici devono assolvere. Prendiamo un esempio che emerge con più evidenza: la creazione monetaria e l’emissione di debiti sovrani hanno assunto dimensioni inusuali, per motivi che si possono considerare eccedenti i mandati istituzionali attribuiti alle autorità che le hanno decise. Non si conosce infatti che cosa comporterà nel più lungo andare l’aumento generalizzato di moneta e di titoli volti a stabilizzare i disequilibri insorti nei mercati bancari e finanziari, borse incluse, e a fronteggiare le spese per l’assistenza pubblica a famiglie e imprese. Le decisioni sono state prese soprattutto dalle autorità monetarie, che si sono caricate di responsabilità proprie delle autorità fiscali, argomento che approfondiremo più oltre.
Non sono mancate le solite dispute sull’opportunità e sulla sufficienza dei provvedimenti presi. Ben sappiamo che in economia (e non solo in questa) c’è spazio per ogni genere di elucubrazioni e, perciò, conviene consegnare agli storici il giudizio sui provvedimenti presi, anche considerato che, dopo quasi un secolo, ancora si discute quali siano state le cause della Grande depressione del 1929-’33. Ciò che si può fare è sollecitare la ragione per comprendere ciò che è accaduto e sta accadendo, al fine di prepararci per quanto possibile ad affrontare la realtà in prospettiva, superando le incertezze in cui siamo immessi. È questa la razionalità pratica che il lavoro si è proposto di seguire.
Per farlo conviene partire dall’esame delle istituzioni monetarie e finanziarie, per pervenire a discutere su come utilizzare il punto di forza della nostra società, ancor prima dell’economia, ossia il risparmio, e come incanalarlo verso il potenziamento della ripresa produttiva per portarla su un sentiero stabile e autopoietico (che si autoalimenta); nell’esame di questo secondo obiettivo verrà posta particolare attenzione alle esportazioni, soprattutto delle medie e piccole imprese, altro punto di forza della nostra economia.
Partiamo da una breve cronologia istituzionale.
Nel 1948 fu approvata la Costituzione della Repubblica Italiana che all’art. 47 assegna valore costituzionale all’incoraggiamento e alla tutela del risparmio. Non fa analoga menzione per la moneta, forse perché le scelte in materia erano già state fatte sottoscrivendo nel 1947 il regime monetario internazionale introdotto con l’Accordo di Bretton Woods del 1944. Il sistema bancario restò governato dalla Legge del 1936 che prescriveva un regime “specialistico”, distinguendo le banche commerciali dagli istituti per il credito a medio e lungo termine.
Nel 1971 l’Accordo di Bretton Woods ebbe fine e la stabilità monetaria entrò in difficoltà; la finanza iniziò a espandersi grandemente.
Nel 1974 fu istituita la CONSOB, l’autorità di controllo delle società e della borsa, quindi del mercato finanziario, in un contesto dove la Banca d’Italia aveva un peso determinante negli equilibri monetari e bancari; il sistema del credito era prevalentemente nelle mani delle banche e il mercato dei capitali aveva poco peso nel finanziamento dell’attività reale.
Nel 1982 fu istituito l’ISVAP, l’Istituto per la vigilanza delle assicurazioni, la cui attività investe il funzionamento del mercato finanziario. Esso fu riregolato nel 2012, ridenominato IVASS e messo sotto indiretta tutela della Banca d’Italia, che vide ampliarsi di fatto le responsabilità di vigilanza del mercato finanziario.
Nel 1993, fu approvata una nuova legge bancaria, introducendo il regime “universale” dell’attività delle banche, che hanno accresciuto la raccolta attraverso l’emissione di titoli finanziari. Questa decisione ha fatto venir meno la distinzione dei ruoli tra moneta e finanza del regime “specialistico”. Lo stesso anno nasce anche COVIP, il Fondo di vigilanza dei fondi pensione privati.
Nel 1998 nasce l’Eurosistema e la Banca centrale europea assume un ruolo centrale come creatrice della moneta unica, l’euro; la lira italiana confluisce in esso. La Banca d’Italia diventa membro di un’organizzazione sovranazionale.
Nel 2011 nasce l’EBA, European banking authority, nel 2012 il Meccanismo europeo di Stabilità, nel 2014 il Meccanismo unico di vigilanza e nel 2016 il Meccanismo unico di risoluzione con compiti incisivi sul sistema bancario italiano e sul mercato finanziario. Per completare l’unione bancaria manca il Fondo europeo di garanzia depositi, ma viene introdotta una clausola asimmetrica, nota come bail in, secondo la quale il possesso dei titoli finanziari delle banche ha minori protezioni rispetto ai depositi che raccoglie.
Nel 2014 nascono l’ESMA, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, e l’EIOPA, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni private (aziendali e professionali). Esse non hanno mai raggiunto un livello di incisività nelle scelte riguardanti i mercati finanziari nazionali, anche perché l’UE non è ancora riuscita a dare vita a un’Unione europea dei mercati dei capitali. Da questo che si può considerare un vuoto istituzionale, ne discende una dominanza del Meccanismo unico di vigilanza che poggia sulla Banca centrale europea, un’istituzione normativamente e organizzativamente meglio assestata, che si autofinanzia.
Riassumendo e limitando la considerazione alle sole istituzioni interne, la Banca d’Italia è l’autorità garante della stabilità monetaria e di quella micro e macro delle banche e del mercato finanziario, presupposti indispensabili per la solidità e continuità dell’attività reale, che resta la vera protezione del risparmio.
La CONSOB (Commissione nazionale per le società e la borsa) è l’autorità garante dell’informazione al mercato come viatico del buon funzionamento delle società e della borsa, anch’essa in funzione dell’obiettivo finale di proteggere il risparmio, un valore tutelato dalla Costituzione.
L’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) è l’autorità di controllo delle assicurazioni, che sono grandi operatrici sul mercato del risparmio; essa ha responsabilità nel settore analoghe a quelle della Consob.
La COVIP (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) è l’autorità di controllo delle assicurazioni professionali e integrative.
Le quattro istituzioni operano in diversa misura nel contesto delle istituzioni europee sopra ricordate e, in forme meno cogenti, di quelle internazionali. La proliferazione di norme interne e sovranazionali rende ancora più urgente pervenire a un Testo unico della moneta e finanza, come da me richiesto in occasione del mio Discorso al mercato del 16 giugno scorso. In quell’occasione non ho esteso l’analisi al ruolo importante dell’AGCM, l’Autorità garante della competizione e del mercato, perché la sua attività, pur incidendo sul funzionamento del mercato del risparmio, non presenta una diretta relazione con la dipendenza delle quattro istituzioni nazionali considerate dal comportamento della politica monetaria, oggetto principale del nostro esame.
Il tema della concorrenza non ha ancora ricevuto un trattamento univoco da parte della scienza economica e una chiara esplicitazione da parte dell’Unione europea. Per la piega che ha preso la creazione monetaria sugli andamenti dei mercati finanziari e reali ritengo che l’argomento debba fare parte dell’agenda dei lavori della Consulta alla quale ho proposto di dare vita per affrontare la definizione di una nuova, ormai indispensabile, architettura istituzionale che tenga conto dell’evoluzione intercorsa sul piano operativo delle politiche e dei mercati, dell’incalzare delle tecnologie informatiche e dei nuovi equilibri geopolitico-economici che si vanno delineando.
Il buon funzionamento dei mercati monetari e finanziari e la stabilità sistemica o, come si dice, macroeconomica sono due facce di una stessa medaglia che creano aree di azione complementare tra le autorità. Questa situazione riguarda in particolare l’attività delle banche che, per la loro caratteristica “universale”, raccolgono depositi e contraggono passività finanziarie per concedere crediti e acquistare altre attività, oltre a essere molto attive nel comparto assicurativo. L’attività di intermediazione da esse svolta in strumenti e scadenze trasferisce rischi dalla componente attiva a quella passiva dei bilanci bancari, coinvolgendo la raccolta in forma di depositi, con riflessi sugli equilibri dei mercati monetari e finanziari e, di conseguenza, su quelli dell’attività produttiva. Le banche svolgono un ruolo che il prestigioso governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, indicava essere analogo a quello svolto dai magistrati, ossia agire come giudici, ma del merito di credito; lo svolgimento di questo compito comporta la scelta degli imprenditori e delle iniziative produttive capaci di operare sul mercato guadagnando per progredire e per impedire che la competizione venga alterata da avventurieri rapaci, imprenditori incapaci o iniziative velleitarie.
L’ampliamento del mercato finanziario ha ridotto la centralità delle banche nel sistema del risparmio, senza però dare vita a una propria magistratura che estenda le proprie funzioni all’intero settore. Sul compito dei c.d. operatori professionali o istituzionali del mercato finanziario non esiste una pari letteratura ed esperienze confrontabili con quelle disponibili per le banche. Di seguito analizzeremo le conseguenze del mutamento di struttura dei modi d’essere di questo mercato dove convivono attività monetarie e finanziarie vecchie e nuove, sempre meno distinguibili, ma strettamente interagenti.
Le aree coincidenti di competenza tra le quattro istituzioni considerate necessitano un coordinamento che è stato da esse regolato con accordi volontari di collaborazione, ma la loro azione congiunta si è resa più complicata per il crescente coinvolgimento delle banche nelle regolazioni decise a livello europeo; in particolare quelle disposte per governare i debiti sovrani e i rischi di credito, che hanno posto vincoli all’entità dei loro capitali e al trattamento dei crediti dubbi o inesigibili (NPL, non performing loan, ossia prestiti che non rendono). L’intreccio tra politiche di stabilità e gli andamenti della crescita reale in Europa è divenuto molto stretto condizionando la libera scelta di portafoglio delle banche e, di conseguenza, degli operatori di mercato. Se esse possiedono, come accade in Italia, titoli pubblici che, come ogni altro titolo sovrano dell’Eurosistema, hanno la peculiare condizione di essere denominati in una moneta, l’euro, che non è sotto controllo dello Stato emittente, si determinano conseguenze sul mercato finanziario al fluttuare dello spread e del rating assegnato da società private; considero illogici questi aspetti dell’attività dei mercati. Infatti il primo è il risultato delle imperfezioni dell’istituzione monetaria europea sintetizzabile nell’assenza di uno Stato sovranazionale sovrano e democratico, che dovrebbe essere responsabile del rimborso dei titoli pubblici denominati nella sua moneta; il secondo per il riconoscimento delle funzioni di magistrati del credito a istituzioni private multinazionali, che rispondono a una propria strategia gestionale e sono state concausa della crisi del 2008. Le s...