Educare all’abuso
Come abbiamo avuto modo di vedere sinora, il rapporto di Mike Kelley con la psicoanalisi è volto a prelevare alcuni concetti ritenuti prolifici e a innestarli nella pratica artistica (intesa sia come lettura “militante” della storia dell’arte che come produzione d’arte). È un punto che va sottolineato, per sgombrare il campo da interpretazioni che sostengono la mera applicazione di quegli stessi concetti, per poi accusare Kelley di fraintendere Freud. Su tale questione l’artista di Detroit è stato chiaro: commentando il saggio Psycho-Analysis and the Problem of Aesthetic Value di Herbert Read, nel quale si critica il punto di vista sull’arte da parte della psicoanalisi freudiana (l’accusa è quella di riduzionismo: l’eccessivo interesse per il contenuto dell’opera comporterebbe una sottovalutazione delle sue qualità formali), Kelley specifica che «non è sufficiente considerare l’arte come mera illustrazione di un sintomo patologico, un sottoprodotto di una relazione problematica con il reale. D’altro canto, postulare che sia possibile avere una relazione strettamente “fenomenologica” con gli oggetti nel mondo, e che ciò debba essere la principale preoccupazione dell’artista, mi sembra ridicolamente ingenuo o, ancor peggio, una forma di mistificazione romantica che cerca di sollevare l’arte al di sopra delle preoccupazioni comuni».
Questo rapporto impuro con la psicoanalisi è esemplificato nelle opere di Kelley connesse al tema della memoria. Una memoria personale e politica, poiché la memoria autobiografica dell’artista – con tutte le complessità e complicazioni alla quale la sottopone Kelley al fine di evidenziarne la finzionalità che deriva dall’Ichspaltung, ovvero dall’alienazione strutturale della soggettività – è uno specchio che riflette l’osservatore sull’ambiente circostante. Anche per questo la psicoanalisi non può costituire l’unico riferimento teorico. In Sorvegliare e punire, per esempio, Foucault scrive: «La punizione cessa, poco a poco, di essere uno spettacolo. E tutto ciò che poteva comportare di esibizione si troverà ormai a essere segnato da un indice negativo». Questa modifica dell’inquadratura è la medesima che ritroviamo nell’opera di Kelley, nel passaggio dalla spettacolarizzazione della punizione in video come Family Tyranny (1987) e Heidi (1992) a una fase più elaborata del disciplinamento e della sua ermeneutica, evidente innanzitutto in Educational Complex (1995). Quest’ultimo, secondo George Baker, è «l’equivalente funzionale, all’interno dell’opera dell’artista, a qualcosa come Il Grande Vetro di Marcel Duchamp». Una tesi che lo stesso Kelley ha in qualche modo avallato ante litteram quando, per il catalogo della mostra “Educational Complex Onwards 1995-2008”, realizzò una Project-Related Flow Chart estremamente articolata e che copriva un arco temporale quasi trentennale.
Esposto per la prima volta alla Metro Pictures Gallery di New York, Educational Complex è una maquette che riformula gli edifici delle istituzioni formative e disciplinari frequentate da Kelley, facendole collassare in un utopian arts complex. Come fonte d’ispirazione per la componente utopico-architettonica, Kelley ha spesso citato il Goetheanum. I princìpi etico-estetici steineriani sono però sostituiti, in funzione di principio organizzativo, dalla teoria compositiva detta push and pull, elaborata da Hans Hofmann e il cui obiettivo consiste nel comunicare allo spettatore la sensazione di profondità e movimento della superficie pittorica tramite un gioco visivo di forze contrapposte. Un principio che Kelley definisce «una forma di indottrinamento istituzionale e abuso mentale» e che in Educational Complex funge da strumento compositivo a garanzia dell’equilibrio strutturale, che però è distopico piuttosto che utopico.
Se la teoria del push and pull ha una funzione formale, il contenuto è invece prodotto, o meglio integrato, seguendo i dettami della teoria della Sindrome della Memoria Repressa. Quest’ultima ipotizza che le amnesie parziali siano di natura post-traumatica, e che i traumi siano sempre di natura sessuale, rimandino cioè ad abusi subìti in età infantile e poi repressi insieme a interi blocchi di memoria. La medesima teoria, particolarmente in voga negli Stati Uniti nei primi anni novanta, postula la possibilità di recuperare queste tracce mnestiche tramite l’ipnosi. In opposizione è stata teorizzata la Sindrome della Falsa Memoria, i cui fautori sostengono che spesso siano gli stessi terapisti a inculcare falsi ricordi, con conseguenze devastanti sia sui pazienti sia sui presunti autori dell’abuso, visto che per un certo periodo la SMR ha avuto anche una legittimità legale e processuale.
Kelley prende dunque in considerazione le architetture delle istituzioni che hanno improntato la sua giovinezza: la casa in cui è cresciuto, l’asilo, la scuola elementare cattolica con la chiesa e la palestra, le scuole medie e superiori, due università e una scuola d’arte post-laurea. Dal punto di vista pratico, in un primo momento aveva tentato di ricostruire a memoria le piante degli edifici. Ma quei disegni gestuali erano inutilizzabili poiché non contenevano informazioni a sufficienza per realizzare i modellini, mentre l’obiettivo era «disegnare edifici che potessero essere effettivamente costruiti» racconta l’artista «e non produrre soltanto diagrammi bidimensionali di uno “spazio mentale”». Kelley si procurò allora fotografie e piante, e «il progetto si tramutò nel confronto tra la precisa realtà degli edifici e il mio ricordo di essi», tra l’accuratezza dei prospetti e l’incompletezza degli interni (le piante non indicano la funzione degli spazi interni, se non per alcuni locali specifici). A quel punto intervenne un nuovo quesito operativo. Kelley aveva infatti pensato di rimuovere letteralmente gli spazi dimenticati, riassemblando ciò che restava in strutture radicalmente nuove. Ma ciò avrebbe significato abbandonare gli spazi psichicamente rimossi. La scelta finale fu di esplodere gli edifici al fine di rivelarne i missing spaces, dando vita a una über-architettura. Un’alterazione che permetteva all’osservatore d’intuire che tali modifiche al significante architettonico rispecchiavano un cambiamento nel significato sotteso a Educational Complex. Quegli spazi manca(n)ti, corrispondenti a circa l’80% della superficie complessiva, vennero lasciati blank e – seguendo la teoria della SMR – Kelley postulò che in quelle aree si fossero consumati degli abusi, che a loro volta avevano causato la rimozione del trauma e dello spazio a esso connesso. Quei buchi topico-mnestici furono però riempiti non con un passato idealizzato, con quel che Freud nel 1908 definisce “romanzo familiare”, bensì con narrazioni traumatiche finzionali che miscelavano dettagli biografici e memorie “sociali” tratte da film, libri, fumetti ecc.
Vedremo come quest’aspetto del lavoro sia stato sviluppato in un’altra serie di opere, rimasta incompiuta. Qui ci limitiamo a notare come Educational Complex sia un lavoro necessariamente interminabile, come spesso è l’analisi: «Poiché continuo a ricordare le cose in maniera diversa, il modello dovrà essere cambiato per adattarsi a quelle differenze» dichiarava Kelley. «Nel “recupero”, un maggior numero di brani repressi del passato riemergeranno, e saranno potenzialmente in contraddizione con ciò che ricordavo prima. Il modello dovrà quindi essere messo a punto costantemente.» In questo modo, Kelley estende alla vita intera la teoria delle Deckerinnerungen relative all’infanzia, le quali – evidenzia Freud – si formano, non emergono, insieme alla memoria: «Il passato recuperato è effettivamente un “ricordo di copertura” che riflette i desideri attuali» scrive l’artista. «Le memorie e i desideri sono fusi, non li si può separare. Quando un desiderio cambia, cambia anche il ricordo, e i “fatti” cambiano per adattarsi al desiderio. È la ragione per la quale il modello non può mai essere definitivo; così come cambiano i miei interessi per questi edifici del passato, allo stesso modo cambieranno i miei ricordi relativi a essi, e il modello dovrebbe, idealmente, riflettere questa relazione mutevole.»
In realtà Educational Complex non ha subìto modifiche nel corso degli anni. Ciò non significa che Kelley sia stato inconseguente rispetto alle proprie dichiarazioni. L’opera del 1995 ha infatti innescato una nutrita serie di lavori a essa connessa. Nel 1998 Kelley espone Sublevel alla Galleria Jablonka di Colonia. Si tratta di una costruzione labirintica che si riferisce a un livello sotterraneo della CalArts, il California Institute of the Arts dove Kelley aveva studiato a metà anni settanta. In quel caso il rimando popolar-cronachistico è il sistema di presunti tunnel sottostanti l’asilo McMartin di Manhattan Beach, luogo in cui si pensò – complice il “recupero” permesso dall’analisi condotta secondo i princìpi della SMR – che si fosse abusato di decine di bambini. Per accedere al Sublevel, così come avveniva in Plato’s Cave, occorre strisciare sotto un tavolo; fatto ciò, il visitatore può stendersi e osservare dal basso in alto, come un voyeur, la struttura architettonica. E, come in Educational Complex, vi sono parti mancanti che rappresentano memorie traumatiche represse. Il tortuoso percorso del Sublevel culmina in una stanza non prevista nella pianta del piano; una sala in metallo, priva di accesso, costellata da «strumenti usati per esplorazioni scientifico-sessuali» come racconta Anne Pontégnie. A essa si accede attraverso un tunnel collocato in un...