Breve storia delle bugie dei fascismi
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Breve storia delle bugie dei fascismi

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Breve storia delle bugie dei fascismi

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Da Hitler a Mussolini, i capi dei regimi fascisti hanno fatto della menzogna la base del proprio potere. I seguaci delle ideologie fasciste credevano ad ogni affermazione del capo, ritenendolo una sorta di incarnazione della verità stessa. Perché un fascista considera le menzogne più assurde, e spesso odiose come quella della razza, pura verità? Nel fascismo è l'idea stessa della verità empirica ad essere messa in discussione: la verità non corrisponde a ciò che si vede, ma a ciò che si crede, indipendentemente da qualsiasi prova o dimostrazione. Federico Finchelstein riprende la sua definizione ampia di fascismo e post-fascismo – secondo la quale gli attuali governi populisti non sono che manifestazioni di una forma di fascismo adattata alle regole democratiche – per far emergere la centralità delle bugie nei fascismi, a suo avviso uno degli elementi essenziali per comprendere il funzionamento non solo del fascismo storico, ma anche delle sue versioni odierne. La menzogna, infatti, è tornata a ricoprire un ruolo fondamentale nella politica: basti pensare a ciò che accade con la pandemia da coronavirus in paesi governati da «post-fascisti», come gli Stati Uniti di Trump o il Brasile di Bolsonaro, dove – come l'autore spiega nell'introduzione scritta appositamente per questa edizione italiana – il negazionismo sostenuto oltre ogni limite sta avendo conseguenze drammatiche per la popolazione, e il coronavirus è stato la scusa perfetta per concentrare ulteriormente il potere e portare avanti l'obiettivo autoritario. Si tratta di un caso eclatante, certo, ma non è raro nel presente che i fatti vengano considerati fake news, mentre le notizie davvero inventate vengano elette a grandi verità, amplificate e sostenute da governi che si servono della menzogna per orientare gli elettori: del resto, come avverte Angelo Ventrone nella prefazione al volume, ormai abbiamo «imparato che, nel tempo dei social media, un contenuto falso, se viene ripetuto infinite volte, rimbalzando da una mente all'altra, ha la possibilità di essere creduto vero, tanto da riuscire forse a condizionare addirittura i risultati di elezioni politiche nazionali».

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788855221740
Argomento
Storia

Epilogo. La guerra populista contro la storia

Sia che scrivesse le sue memorie in Argentina, sia che le scrivesse a Gerusalemme, sia che parlasse al giudice istruttore, sia che parlasse alla Corte, disse sempre le stesse cose adoperando sempre gli stessi termini. Quanto più lo si ascoltava, tanto più era evidente che la sua capacità di esprimersi era strettamente legata a un’incapacità di pensare, cioè di pensare dal punto di vista di qualcun altro. Comunicare con lui era impossibile, non perché mentiva, ma perché le parole e la presenza degli altri, e quindi la realtà in quanto tale, non lo toccavano.
Hannah Arendt, La banalità del male
Per decenni, i leader populisti hanno proceduto allo stesso tempo a distruggere, in senso letterale, la documentazione storica e a giocare con la memoria e le esperienze delle vittime del fascismo, e tutto ciò per un calcolo politico. Il loro operato fa parte di un fenomeno più profondo, nel quale le menzogne si confondono con la verità. L’affermazione del trumpismo nel 2016 ha rivelato ben poco di nuovo, ma il fatto che oggi il populismo sia al governo dei più potenti paesi della Terra ha fatto emergere il problema in primo piano. Secondo il «Washington Post», il record di menzogne pronunciate dal presidente Trump lo colloca su un piano diverso rispetto agli altri politici: «È (quasi) ufficiale: il presidente degli Stati Uniti è un bugiardo». Con tono più diplomatico, il «New York Times» ha osservato che esiste «una verità sulla sua presidenza: le notizie negative che lo riguardano sono false finché lui stesso non dice altrimenti». Molti dei suoi critici si sono perfino chiesti se egli non abbia raggiunto un livello di menzogna orwelliano1. Nel suo romanzo 1984 George Orwell scriveva: «Il partito raccomandava di non badare alla prova fornita dai propri occhi e dai propri orecchi. Era l’ordine finale, il più essenziale di tutti»2.
L’attribuzione di questa dimensione letteraria al trumpismo mette in luce le connessioni esistenti fra la storia delle bugie fasciste ripercorsa in questo volume e la situazione dei nostri giorni. Il trumpismo ha già conquistato un posto di rilievo nella storia della menzogna politica. Più specificamente, costituisce un nuovo capitolo di una più lunga storia che collega il fascismo del periodo fra le due guerre al populismo contemporaneo. Il trumpismo appartiene chiaramente alla lunga storia dell’invenzione di una verità alternativa, una «verità» che si fonda sulle intuizioni e sui desideri del capo.
Come avveniva quando Mussolini e Hitler facevano coincidere la verità con la loro personale infallibilità, il trumpismo ha fatto propria l’idea secondo cui la luce che guida il movimento incarna una natura divina e lui è un uomo diverso da ogni altro. Non solo, come ha immodestamente affermato, era «così di bell’aspetto e intelligente, un vero Genio con i nervi molto saldi!», ma anche, come suggerì l’addetta stampa della Casa Bianca Sarah Sanders, uno strumento di Dio: «Penso che Dio chiami ognuno di noi a svolgere diversi ruoli in momenti diversi, e che abbia voluto che Donald Trump diventasse presidente: ecco perché lui è qui». Lo stesso Trump ha presentato la propria politica come un mandato religioso, stabilendo addirittura una connessione fra la legalità, lo Stato e il divino: «I diritti non ci sono concessi dagli uomini, ci vengono dati dal nostro Creatore […]. Qualsiasi cosa succeda, non c’è forza terrena che possa privarcene». Lo stereotipo antisemita secondo cui gli ebrei americani non sarebbero fedeli agli Stati Uniti è stato ribadito da Trump quando in un’intervista ha dichiarato che gli ebrei che votano per i democratici dimostrano «o una totale mancanza di conoscenza o una grande slealtà».
Secondo questa logica, ignorando o tradendo la verità del capo gli ebrei americani sono infedeli dal punto di vista sia religioso sia politico. In seguito, il presidente è ritornato sulla sua posizione, ringraziando su Twitter un complottista di destra per aver affermato che gli israeliani «amano [Trump] come se fosse il secondo avvento di Dio». L’immagine di Dio e la metafora di Trump come Dio si ritrovano fuse insieme nel trumpismo. Quando gli è stata posta una domanda su Dio, Trump ha risposto lodando il Signore e se stesso, i propri successi negli affari e la propria leadership politica. In modo ancor più diretto, il responsabile della sua campagna elettorale ha affermato che il presidente era stato inviato da Dio per salvare il paese3. La fusione fra il leader e Dio è diventata un articolo di fede per i trumpisti, com’era avvenuto a suo tempo per i fascisti.
Mussolini si basò su quest’idea dell’ispirazione divina per pronunciare le peggiori menzogne. Come abbiamo visto, la propaganda fascista sosteneva che il duce aveva sempre ragione. Hitler rese ancora più esplicita questa connessione col divino; sebbene ammettesse raramente una qualsiasi fonte di ispirazione diversa dal proprio genio, da uomo si atteggiava come il papa, rivendicando per sé e per i suoi successori alla guida del partito l’infallibilità politica, e auspicando che il mondo ci si sarebbe abituato, come aveva fatto con l’infallibilità papale4.
Goebbels, il maestro della propaganda che contribuì a trasformare Hitler in un mito vivente, credeva realmente che il Führer fosse un «genio» e fosse stato inviato da Dio per la salvezza della Germania. La propaganda nazista presentava e perfino creava la prova del proprio successo. Gli stessi diari di Goebbels, «che sarebbero stati pubblicati postumi, erano concepiti per far parte della documentazione a prova del suo successo»: non c’era differenza fra documentazione e invenzione5.
La propaganda nazista forgiò un mito di Hitler che non poteva essere dimostrato nella realtà, e che lo ritraeva come un dio disceso dal cielo. Ma i nazisti non prendevano alla lettera questa affermazione. Come chiunque altro, vedevano che atterrava in aeroplano. Pur tuttavia, per loro, la discesa in terra di Hitler era una metafora ricavata dalla verità suprema enunciata dall’ideologia, e credevano che fosse reale. Le immagini di Hitler, fossero quelle del film Il trionfo della volontà o quelle veicolate dalla propaganda statale, erano metafore di una fede, di una verità che non aveva bisogno di essere dimostrata.
Quanto è distante il mondo populista di Trump dalla fusione che il fascismo operava fra infallibilità, verità e Dio? Di fatto, molti americani hanno creduto che la vittoria elettorale di Trump sia stata opera di Dio. Come affermò a suo tempo uno dei suoi sostenitori cristiani, «milioni di americani […] credono che l’elezione del presidente Trump abbia rappresentato la volontà di Dio di darci una nuova possibilità – forse la nostra ultima possibilità di rendere davvero nuovamente grande l’America»6. Trump stesso sembra aver creduto nel mito di se stesso, nella sua «grande e incomparabile saggezza» e nell’infallibilità che si attribuiva. Nel 2019, a una domanda su una falsità che aveva raccontato riguardo alla Russia e al Venezuela, ha risposto che se sul momento la realtà non corrispondeva alle sue affermazioni, queste sarebbero presto diventate vere. Il suo modo di ragionare non dipende dunque da nessun tipo di evidenza empirica, ma dalla fede nella propria innata e assoluta affidabilità. Una volta, durante una discussione con i giornalisti nella Sala Ovale della Casa Bianca, ha detto: «Bene, vediamo chi ha ragione». E ha chiesto loro: «Sapete cosa farete ora? Alla fine vedrete chi ha ragione, ok? State a vedere. Ok? E vedremo chi ha ragione. Alla fine, ho sempre ragione io»7.
L’idea che la voce diretta, e non contraddetta, del capo rappresenti la verità opera di concerto con la fantasia che i mezzi d’informazione tradizionali non abbiano niente da offrire al pubblico se non bugie. Le falsità messe in giro sull’esistenza di brogli diffusi ogni volta che il presidente non gradisce i risultati elettorali o dei sondaggi svolgono un ruolo cruciale in questa storia di menzogne trumpiane.
Da candidato alla presidenza degli Stati Uniti, nel 2016 Trump si rifiutò di accettare il risultato delle elezioni in caso di sconfitta. Dopo la vittoria, sostenne in svariate occasioni che Hillary Clinton aveva ottenuto i suffragi popolari solo grazie a procedure di voto illegali, un’accusa rimasta poi priva di prove. Come ha detto un ex consulente della Casa Bianca, il presidente «ha quindi istituito una commissione copresieduta dal vicepresidente Pence e dal segretario di Stato del Kansas, Kris Kobach, incaricandola di prendere in esame i brogli. Dopo che non è riuscita a far emergere prove di procedure di voto illegali ed è stata citata in giudizio da uno dei suoi stessi membri per aver agito illegalmente, la commissione è stata improvvisamente sciolta»8. Trump mentì quando disse che aveva perso il New Hampshire a causa dei brogli commessi dagli elettori liberal del Massachusetts, e mentì a proposito delle connessioni fra la sua campagna presidenziale e la Russia.
Forse però la bugia più ovvia di tutte fu quella relativa alla portata storica della sua vittoria, quando sostenne che «i democratici […] hanno subito una delle più grandi sconfitte della storia politica di questo paese». Ma come dimostrò la National Public Radio, questa sua affermazione era contraddetta dalla storia dei risultati effettivi: «Trump ha ottenuto 306 seggi del Collegio elettorale rispetto ai 232 di Clinton. Ma è difficile sostenere che si tratti di un trionfo di proporzioni storiche, dato che in 37 delle 58 elezioni presidenziali svoltesi, il vincitore ha ottenuto un numero di seggi maggiore»9. Queste menzogne sulla storia sono diventate un elemento centrale nella costruzione della verità attuata da Trump.
Ma per quale motivo il presidente è così ossessionato dalle questioni connesse alla sua elezione da aver spesso mentito al riguardo? Storicamente, il populismo trasforma le elezioni in una conferma plebiscitaria di una verità ideologica riferita al capo, e dopo averle vinte finge che esso impersoni il popolo e sia il suo unico vero rappresentante. Le elezioni sono l’essenza della legittimazione, in quanto confermano la sovranità del caudillo populista. In questo senso, il populismo è molto diverso dal fascismo, nel quale non vi è posto per vere e proprie elezioni10.
Sia il fascismo sia il populismo si richiamano, come fonte principale della loro legittimazione, alla trinità politica composta dal capo, dalla nazione e dal popolo. Per entrambi, non c’è contraddizione fra il popolo, la nazione e la rappresentanza del popolo nella persona del capo. Per queste ideologie la personificazione è rappresentanza, il che significa, di fatto, che la realizzazione della volontà popolare è integralmente delegata al capo. Questo mito trinitario della rappresentanza poggia sull’idea fantastica che in qualche modo la singola persona del capo coincida con la nazione e col suo popolo – un’identificazione che coinvolge una persona e due concetti. Nel fascismo, tuttavia, la personificazione non richiede alcuna mediazione razionale o procedurale, come la rappresentanza elettorale11. Diversamente, nel populismo le elezioni sono importanti per confermare la verità della supremazia divina del leader, e diffondere menzogne su di esse è un elemento cruciale per affermare l’idea che il leader stesso propone del proprio posto nella storia.
Vincendo le elezioni plebiscitarie, il politico populista conferma la duplice natura del proprio potere: egli è allo stesso tempo un rappresentante eletto e una guida di natura semitrascendentale del suo popolo. Come diceva spesso Juan Domingo Perón, «il popolo dovrebbe sapere […] che il conductor è nato. Non è fatto né con un decreto né con le elezioni». E aggiungeva: «È essenziale che il conductor trovi i propri stampi, per poterli poi riempire di un contenuto che sarà in rapporto diretto, a seconda della sua efficienza, con l’olio santo di Samuele che egli ha ricevuto da Dio»12.
L’idea dell’eterna incarnazione portò il fascismo, e porta oggi il populismo, alla proclamazione dell’infallibilità del capo, tanto da arrivare al punto che la selezione del capo rappresenta l’ultima opportunità della nazione. Questo senso di emergenza e di un pericolo imminente che minaccia la nazione e il popolo è un risultato del fatto che il capo attribuisce alle intenzioni dei suoi avversari i propri schemi di contrapposizione amico/nemico e le proprie strategie militari. Come affermò Trump quando era ancora un candidato alla presidenza, riferendosi ai suoi nemici in prossimità delle elezioni, «per loro si tratta di una guerra, e sono disposti a tutto. Credetemi, è una lotta per la sopravvivenza della nostra nazione. E questa sarà la nostra ultima chance per salvarla, l’8 novembre – ricordatevelo bene». Trump disse ai suoi seguaci che la sua ascesa alla presidenza segnava «il nostro giorno dell’indipendenza». In modo simile, Perón definì la propria elezione nel 1946 come una seconda «indipendenza», dichiarando: «Dio mi ha posto sulla terra per l’indipendenza e la libertà del popolo argentino». E identificò il suo ruolo di governo con una lunga storia di conquistatori militari che, come lui, si erano posti alla guida del loro popolo: «La storia del mondo, con gli esempi di Alessandro, Giulio Cesare, Federico il Grande o Napoleone, mostra che la vittoria spetta a coloro che sanno sollevare e condurre il popolo»13.
Se il populismo, quando dopo il 1945 conquistò il potere, riformulò il fascismo in chiave democratica, i nuovi populisti delle destre odierne appaiono più vicini al sogno fascista di distruggere la storia per sostituirvi il mito del capo infallibile. I primi leader populisti ebbero una certa esitazione a modificare radicalmente i dati storici, come invece avevano fa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione di Angelo Ventrone
  6. Il virus della menzogna politica Introduzione all’edizione italiana
  7. Prologo
  8. I. Le bugie del fascismo
  9. II. Verità e mitologia nella storia del fascismo
  10. III. Il fascismo incarnato
  11. IV. Nemici della verità?
  12. V. La verità e il potere
  13. VI. Rivelazioni
  14. VII. L’inconscio fascista
  15. VIII. Il fascismo contro la psicoanalisi
  16. IX. Democrazia e dittatura
  17. X. Le forze della distruzione
  18. Epilogo. La guerra populista contro la storia
  19. Ringraziamenti