Darwin, dio e il senso della vita
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Se la rivoluzione copernicana ha fatto venir meno la centralità della Terra rispetto alla vastità dell'universo, l'evoluzionismo darwiniano ha cambiato per sempre la posizione dell'uomo, ponendolo all'interno di un più ampio processo di selezione naturale. Di fronte a questa presa d'atto, la nozione di dio risulta priva di significato e non più necessaria per dare un senso ultimo alla vita. Ma allora, senza dio, la vita ha ancora un senso? Si può pensare un'etica al di fuori della religione? Quali sono le conseguenze della teoria darwiniana per l'esistenza umana? Come si può realizzare una società laica fondata sulla dignità e il rispetto? Con un linguaggio rigoroso ma diretto e accattivante, Stewart-Williams sostituisce la prospettiva religiosa tradizionale con una proposta etica che mira alla riduzione della sofferenza. Darwin, dio e il senso della vita apre un nuovo capitolo del dibattito scientifico-filosofico, offrendo un contributo intellettuale di grande importanza, che sintetizza le migliori riflessioni sviluppate sul tema negli ultimi decenni e lancia un forte messaggio di impegno civile contro obsolete eppur perduranti credenze. Un libro che si rivolge a chiunque voglia interrogarsi sul perché dell'esistenza prescindendo dai pregiudizi della tradizione religiosa ed entrando in sintonia con la più avanzata riflessione filosofica informata dalle migliori conoscenze scientifiche.
Nuova edizione italiana curata da Maurizio Mori, nella postfazione, un'intervista a Steve Stewart-Williams.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9791280134080

Capitolo 1

common

Darwin e le grandi domande

Per i posteri il suo nome potrebbe benissimo suonare come un punto di svolta nello sviluppo intellettuale dell’Occidente […]. Se è nel giusto, gli uomini dovranno datare al 1859 l’inizio del pensiero moderno13.
Durant 1931:22
Dal momento che tutti gli uomini discendono da un progenitore comune, è corretto dire che la biosfera complessivamente considerata conquistò il pensiero alla nascita dell’umanità.
Se le altre forme di vita ne sono il corpo, noi ne siamo la mente.
Wilson 2002:131
Molto semplicemente, non posso sopportare una visione delle cose che si fermi a questa Terra, sento che la vita sarebbe poca cosa se non avesse finestre su altri mondi.
Lo sento in modo prepotente e istintivo, e con il mio intero essere.
Russell, cit. in Monk 1996:248
Perché siamo qui?
La teoria dell’evoluzione risponde a una delle domande più intime e radicali che gli uomini si siano mai posti, un quesito che ha assillato le menti capaci di riflessione dal primo momento in cui queste hanno visto la luce nell’universo: perché siamo qui? Come si spiega la nostra esistenza su questo pianeta? Sotto molti aspetti, questo è un pianeta come tanti altri. È in orbita attorno a una stella come molte altre ed è parte di un sistema solare che per il resto è come gli altri – a sua volta parte di una galassia, una dei miliardi di galassie dell’universo visibile. Ma, in un altro senso, questo è un pianeta molto particolare, perché una ristretta porzione della sua superficie, in qualche modo, si è tramutata in vita. E, ciò che è ancora più strano, una piccola percentuale delle forme di vita sono consce della propria esistenza e capaci di comprendere, almeno in qualche misura, il mondo attorno a sé. Com’è accaduto tutto questo? In che modo minuscoli frammenti dell’universo si sono organizzati fino a sviluppare una coscienza di sé e del proprio piccolo angolo di mondo? In altre parole: perché siamo qui?
La risposta a questo quesito è stata data per la prima volta dallo scienziato inglese Charles Darwin: siamo qui perché ci siamo evoluti. Non tutti, però, accettano questa spiegazione: la teoria darwiniana dell’evoluzione per selezione naturale è uno di quegli argomenti che può scatenare grandi dibattiti. Da una parte, molti ne sono semplicemente innamorati: la trovano elettrizzante e piena di fascino, in grado di illuminare la loro comprensione del mondo. D’altro canto, altri la odiano – e la odiano veramente: pensano sia pericolosa e corrosiva per la società. La concezione darwiniana, per questi ultimi, è fredda e particolarmente inquietante – a tal punto che un commentatore l’ha descritta come «un dogma fatto di oscurità e di morte» (Bryan 1925). Alcuni sono persino giunti a sostenere che la teoria dell’evoluzione fosse parte di una gigantesca cospirazione, architettata allo scopo di allontanare le persone da dio e spingerle verso l’ateismo. Ma c’è una cosa su cui amici e nemici dell’evoluzione dovrebbero essere d’accordo: nella storia del pensiero la teoria di Darwin occupa, nel bene o nel male, uno dei posti più importanti – di fatto, secondo molti, il più importante. Una delle ragioni per cui è così rilevante dipende dal fatto che le sue implicazioni si estendono ben al di là dell’ambito esoterico delle questioni accademiche (che interessano soltanto a una piccola minoranza di intellettuali): a differenza, per esempio, della teoria degli atomi o quella della relatività, la teoria dell’evoluzione influenza il modo in cui concepiamo noi stessi e il nostro posto nell’universo. Essa ha conseguenze dirette su ciò che per noi è veramente importante, cui teniamo, su cui per lo più abbiamo un’opinione: sono queste le cose di cui ci occuperemo.
Più nel dettaglio, studieremo come le implicazioni della teoria dell’evoluzione tocchino le seguenti questioni filosofiche «scottanti»:
1. l’evoluzione e l’esistenza di dio;
2. l’evoluzione e il posto occupato dall’umanità nella natura;
3. l’evoluzione e la morale (ovvero la domanda su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato)14.
Al primo sguardo sembrerebbe che la teoria di Darwin – o qualsiasi altra teoria scientifica, per quel che ci riguarda – non abbia implicazioni su alcuna questione filosofica: la scienza tratta del mondo empirico e dei fatti, laddove la filosofia, quasi per definizione, si occupa di oggetti che stanno al di fuori di quest’ambito. Entro il suo confine di applicabilità, la teoria dell’evoluzione ha certo un successo travolgente; ma questa non ha alcuna implicazione ovvia o immediata su questioni di interesse filosofico – secondo alcuni, anzi, essa non ha proprio alcuna implicazione filosofica. C’è chi sostiene, per esempio, che la teoria dell’evoluzione non abbia rapporto con l’esistenza o meno di dio, a meno che non si abbracci il creazionismo o una lettura strettamente letterale della Bibbia. Secondo altri, non vi sono implicazioni nella sfera della morale, dal momento che l’evoluzione è una questione di fatto, mentre l’etica ha a che fare col valore, e non si possono derivare valori da fatti. Ludwig Wittgenstein, alla sua maniera enigmatica, ha riassunto la propria posizione generale in questi termini: «La teoria di Darwin non riguarda la filosofia più di qualsiasi altra ipotesi formulata nella scienza della natura» (Wittgenstein 1921:4.1122).
A ogni modo, molti non concordano con questa valutazione e per buone ragioni: se non altro, le nostre convinzioni filosofiche tradizionali assumono un aspetto molto differente quando vengono osservate attraverso la lente della biologia evoluzionistica. Nelle parole del grande filosofo inglese Bertrand Russell:
Se l’uomo si è evoluto da forme di vita più elementari attraverso passaggi graduali insensibili, molte cose divengono difficili da capire. Qual è stato il momento in cui i nostri progenitori hanno conseguito il libero arbitrio? A quale stadio del lungo viaggio a partire dall’ameba hanno iniziato a possedere anime immortali? Quando sono divenuti capaci di quel genere di debolezza che potrebbe giustificare il fatto di essere spediti tra i tormenti eterni da un creatore benevolente? La maggior parte di noi avvertirebbe una punizione simile come eccessiva su delle scimmie, a dispetto della loro propensione naturale a lanciare noci di cocco in testa agli europei. Ma come la mettiamo col Pithecanthropus erectus? È stato lui in realtà a mangiare la mela? O è stato l’Homo pekinensis?15 (Russel 1950:146).
Sono domande scomode – e dove troviamo queste ce ne sono molte altre: perché il creatore onnipotente dell’intero universo dovrebbe essere così attaccato a una scimmia bipede tropicale? Per quale motivo dovrebbe assumere la forma corporea di uno di questi particolari primati senza coda? Perché un essere così magnificente dovrebbe preoccuparsi in modo ossessivo e meticoloso di faccende irrilevanti, come il modo di vestirsi e la vita sessuale di una specie di mammiferi (e soprattutto dei suoi esemplari femminili)? Cosa sono gli angeli? Si sono evoluti attraverso la selezione naturale? Sono primati, cugini dell’Homo sapiens come gli uomini di Neanderthal? E, se non lo sono, perché ci assomigliano così tanto?
Già in quesiti come questi cominciamo a percepire il rischio che la teoria dell’evoluzione rappresenta per le nostre convinzioni filosofiche tradizionali; ma essa fa ben più che porre domande scomode. Fin dall’inizio si è percepito che le idee di Darwin avrebbero avuto delle conseguenze radicali in materia filosofica. Darwin stesso lo sospettava; in uno dei suoi primi manoscritti sulla trasmutazione delle specie troviamo un’osservazione un po’ criptica: «L’origine dell’uomo ora è stabilita. Fiorisca la metafisica. Chi capisce la natura del babbuino farà di più per la metafisica di quanto abbia fatto Locke» (cit. in Barrett et al. 1987: 539). Essendo un uomo piuttosto prudente, non sviluppò molto questa intuizione. Altri, però, non hanno avuto le stesse remore: nella seconda metà del XIX secolo fiorivano ovunque interpretazioni della teoria darwiniana; e il disaccordo non mancava di certo (questo non ci dovrebbe stupire più di tanto: come diceva lo psicologo William James, la sola cosa di cui si può esser sicuri a proposito dei filosofi è che sono sempre in disaccordo). Alcuni ritenevano che l’evoluzionismo fosse una seria minaccia al teismo, altri lo definivano «un progresso nel pensiero teologico» (cit. in White 1986:103). Alcuni pensavano che la teoria ci scalzasse dalla nostra posizione di preminenza nel regno animale, altri che spiegasse come e perché l’avessimo conquistata. Alcuni ritenevano che l’evoluzione ci mostrasse cosa è giusto, muovendosi in direzione di questo, altri che la teoria implicasse che nulla è giusto o sbagliato – che, insomma, essa minasse alla radice la morale stessa. A un decennio soltanto dalla morte di Darwin, Josiah Royce giunse a scrivere, a proposito del suo capolavoro L’origine delle specie per mezzo della selezione naturale, che «con la sola eccezione dei Principia di Newton, nessuna singola opera scientifica ha mai avuto da sola più importanza per la filosofia di quest’opera di Darwin» (Royce 1982:286).
Sfortunatamente, però, per la maggior parte del XX secolo, i filosofi si sono pressoché dimenticati di Charles Darwin (Cunningham 1996): gran parte di essi ha seguito Wittgenstein, escludendo che la teoria dell’evoluzione avesse implicazioni per il proprio campo. Per vedere i primi mutamenti nella fortuna di Darwin presso i circoli filosofici, bisogna aspettare gli ultimi decenni del XX secolo, quando pensatori come Daniel Dennett, Michael Ruse e Peter Singer mostrarono nei propri lavori un profondo apprezzamento per la teoria in questione. Dennett in particolare ha fatto del tessere le lodi di Darwin la propria missione: a suo modo di vedere, il darwinismo è una sorta di «acido universale», che si diffonde per contaminazione in ogni area del pensiero umano – e la filosofia non fa eccezione.
Certo, la filosofia stessa ha già fama di potente acido corrosivo, in grado di sfidare e scalzare le nostre più fondamentali convinzioni. Nel XIX secolo, il pensatore dispeptico Friedrich Nietzsche (che era fortemente influenzato dalle idee di Darwin) descrisse la filosofia come «un terribile esplosivo dal quale niente è al sicuro». Pertanto, la domanda che ci porremo in questo libro è: cosa accade quando si mescola un acido universale con un terribile esplosivo? La risposta breve è che vengono messe in crisi alcune delle convinzioni più amate e durevoli a proposito di dio, dell’uomo e della morale; la risposta lunga è il resto di questo libro. Ma prima di lanciarci in una discussione dettagliata di ciascuno di questi temi, diamo un’occhiata al territorio che esploreremo, alle domande che saranno poste e alle opinioni che incontreremo lungo il percorso.
Parte I: Darwin si prende gioco della religione16
Il primo problema che affronteremo è l’esistenza di dio. Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza o siamo stati noi a creare lui a nostra immagine? Per usare le parole di Nietzsche: «L’uomo è un errore di dio o dio dell’uomo?».
Affronteremo anche altre questioni: chi crede nell’evoluzione può credere anche in dio? – dio dirige in modo diretto il processo evolutivo? – dio ha scelto la selezione naturale come proprio strumento di creazione indiretta? – dobbiamo chiamare in causa dio per spiegare l’origine della vita, dell’universo e della coscienza? – la sofferenza che accompagna la selezione naturale esclude l’esistenza di dio (o implica che, se c’è un dio, è malvagio)?
Non prenderemo in esame tutti gli argomenti pro e contro l’esistenza di dio, ma soltanto quelli che hanno una relazione diretta con la teoria darwiniana. Ecco una sintesi dei capitoli di questa prima parte.
CAPITOLO 2: LOTTA TRA TITANI
Cominceremo proprio dal principio: la nostra condizione attuale è frutto dell’evoluzione o dio ci ha creati così sin dall’inizio? Queste non sono certo le sole opzioni disponibili, ma riassumono quelle che hanno una maggiore circolazione nei media e che sono ritenute più significative. Una di queste, tra l’altro, è corretta. I lettori che abbiano già familiarità con la teoria dell’evoluzione e con il dibattito «evoluzionismo versus creazionismo» forse preferiranno saltare direttamente alla sezione successiva del libro, ma la mia speranza è che queste pagine possano avere qualche valore anche per loro. Il capitolo inizia delineando in abbozzo il punto di vista creazionistico, quindi segue la teoria dell’evoluzione (sapevate già che il concetto di evoluzione non nasce con Darwin?). Successivamente passeremo in rassegna alcuni dei fatti più affascinanti e bizzarri che comprovano la teoria in questione. Vedremo come essa offra una spiegazione per fenomeni biologici altrimenti inspiegabili (per esempio: perché le ali di pipistrello sono più simili alle pinne di una balena che alle ali di un uccello? Perché anche gli uccelli che non volano hanno ali? Perché gli embrioni di essere umano hanno fessure branchiali? Perché capita che nascano balene con gli arti posteriori e uomini con la coda?). Per finire, esamineremo alcuni argomenti contro la teoria dell’evoluzione. Secondo uno dei più persuasivi, ci sono alcuni fatti biologici che, molto semplicemente, non possono essere frutto di selezione naturale (per esempio il flagello dei batteri, il sistema immunitario e la coagulazione del sangue). Questo è in apparenza un argomento più che ragionevole, che può causare qualche segreto vacillamento anche nei laici dalla mentalità più scientifica; se è accaduto anche a voi, significa che siete caduti vittime dell’ingegnoso marketing del movimento del «disegno intelligente» – se tutto va per il verso giusto, per la fine del secondo capitolo sarete ormai immuni da questo morbo.
CAPITOLO 3: L’IDEA DI PROGETTO DOPO DARWIN
Nel terzo capitolo rivolgeremo la nostra attenzione a un importante argomento filosofico a favore dell’esistenza di dio: la tesi del progetto. L’idea centrale è la seguente: alcune parti del mondo naturale sembrano il frutto di un progetto (per esempio gli occhi, i denti e gli artigli); ma non è possibile che ci sia un progetto senza un progettista; pertanto ci deve essere un progettista – e il progettista è dio. Vedremo che la teoria dell’evoluzione fa cadere questo argomento e rappresenta una seria minaccia per il teismo, anche per quanti credano in dio per motivi diversi. Capiremo poi per quali ragioni, in quest’area del pensiero filosofico, Darwin abbia avuto un impatto maggiore di uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi: David Hume.
CAPITOLO 4: IL DIO DI DARWIN
I restanti capitoli della prima parte affrontano questa domanda: chi accetta l’idea di evoluzione può credere anche in dio? C’è un senso in cui la risposta è chiaramente sì: è possibile accogliere entrambe le tesi e lo sappiamo perché ci sono molte persone che credono nell’evoluzione come credono in dio. Spesso, questo dato di fatto è offerto come una prova della compatibilità delle due credenze, ma trarre questa conclusione sarebbe troppo; tutto ciò che questo fatto mostra è che, se sono credenze incompatibili, non lo sono in modo ovvio e immediato: insomma, può ancora darsi il caso che, a uno sguardo più accurato, esse risultino incoerenti. Nell’affrontare questo tema vedremo un piccolo campionario dei modi più intelligenti che sono stati trovati per fondere la fede in dio e la verità dell’evoluzione. Alcuni hanno avanzato l’idea, per esempio, che dio guidi personalmente, in tutto o in parte, il processo evolutivo; altri che, invece di intervenire, dio scelga la selezione naturale come mezzo per creare la vita. Molti eminenti scienziati e intellettuali hanno abbracciato posizioni di questo tipo. Pertanto, se ritenete che questi siano tentativi ragionevoli di riconciliazione tra dio ed evoluzione, siete in buona compagnia – ma ciò non toglie che siate in errore. A ogni modo, convincervi di questo sarà il mio obiettivo nel quarto capitolo.
CAPITOLO 5: DIO COME TAPPABUCHI
In questo capitolo tratteremo di un controargomento cui alcuni lettori a questo punto avranno già pensato: certo, la teoria dell’evoluzione può spiegare l’apparenza di progetto che riscontriamo nel mondo biologico, ma restano molti misteri da risolvere – misteri la cui spiegazione potrebbe richiedere di...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione dell’autore all’edizione italiana
  6. Introduzione del curatore
  7. 1. Darwin e le grandi domande
  8. Parte I. DARWIN SI PRENDE GIOCO DELLA RELIGIONE
  9. Parte II. LA VITA DOPO DARWIN
  10. Parte III. LA MORALE SPOGLIATA DALLA SUPERSTIZIONE
  11. Suggerimenti per la lettura
  12. Riferimenti bibliografici
  13. Postfazione
  14. Indice dei nomi