1940 La guerra sulle Alpi occidentali
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1940 La guerra sulle Alpi occidentali

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Un capitolo poco noto della storia italiana ricostruito da uno degli storici più conosciuti dal grande pubblico: lo scoppio della seconda guerra mondiale e le prime battaglie del Regio esercito sulle Alpi occidentali. Gianni Oliva ricostruisce magistralmente i primi giorni della seconda guerra mondiale italiana, spesso poco approfonditi dalla manualistica contemporanea.Il volume comincia illustrando i tentennamenti e le resistenze dell'esercito ad accettare l'ingresso nelle ostilità, per soddisfare l'ambizione di Mussolini e il suo desiderio di sedersi al tavolo della pace. Vengono analizzati i retroscena politici e diplomatici, evidenziando la subalternità italiana nei confronti dell'alleato tedesco. Si passa poi a ricostruire le operazioni belliche che resero possibile la «pugnalata alla schiena» contro l'esercito francese, con una dettagliata cronaca dei combattimenti in Valle d'Aosta e alta val di Susa, ma anche nella valle Stura e nella valle di Barcellonette. Non mancano inoltre pagine dedicate alle imprese degli alpini sul ghiacciaio del Rocciamelone e sulla distruzione dello Chaberton, per una narrazione che mette al centro dell'attenzione gli uomini, che la guerra la subirono, e i generali che provarono a indirizzarla.
Con un ricco apparato iconografico e una dettagliata cartografia delle operazioni belliche realizzata ad hoc.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788877075567

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05
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I COLLOQUI DI MONACO DEL 18 GIUGNO
Scaramucce in alta quota
Sul fronte terrestre i primi giorni di guerra scorrono senza episodi di rilievo. Alcune scaramucce avvengono comunque in alta quota, lungo la linea di confine. Alle prime luci dell’alba del 13 giugno una SES (Section Éclaireurs Skieurs) tenta di occupare di sorpresa il passo della Galisia alla testata della valle dell’Orco, nel settore presidiato dalla 37a compagnia del Battaglione alpino Intra (comandato dal maggiore Fedele Martinoja). I francesi, guidati dal tenente Fernand Albouy, partono dalla base del rifugio Priarond e avanzano divisi in tre gruppi: approfittando del buio, arrivano a qualche decina di metri dalla linea italiana prima di essere avvistati da una sentinella. Gli Alpini sono a loro volta suddivisi in due squadre, una attestata nell’avamposto del Grand Cocor, a 3034 metri (dieci uomini al comando del caporalmaggiore Giuseppe Zanetta), un’altra (circa trenta uomini) a presidio delle vicine Rocce della Losa, al comando del sottotenente Cesare Tosi. Quando la sentinella dà l’allarme inizia uno scambio intenso di fucileria al Grand Cocor e, mentre l’avamposto trattiene i francesi, il sottotenente Tosi, partendo dalla posizione della Losa, tenta una manovra di aggiramento per prendere i nemici alle spalle. Accortisi del movimento e avendo già alcuni uomini feriti, i francesi desistono dall’attacco e si ritirano nella loro base di partenza. Tra gli Alpini, oltre a due feriti alle gambe non gravi, c’è una vittima, il primo soldato del Regio Esercito caduto nella guerra 1940-45: si tratta di Luigi Rossetti, classe 1918, ossolano di Craveggia in val Vigezzo, raggiunto da un proiettile alla testa mentre esce allo scoperto per cercare una migliore posizione di tiro. Trasportato a valle, Rossetti viene sepolto il giorno dopo a Ceresole Reale1. Nel corso della mattinata due squadre di mortai trasportate degli artiglieri sulla Galisia cominciano a sparare contro il rifugio Priarond, senza abbatterlo, ma costringendo i francesi a sgomberarlo.
I reparti di montagna francesi
Nello spazio adiacente la frontiera operavano unità mobili denominate SES, Sections Éclaireurs Skieurs («Plotoni esploratori sciatori»), che rappresentavano il meglio di ogni battaglione. Erano infatti formate da 35-40 soldati sceltissimi e volontari, tratti dai battaglioni e comandati da ufficiali subalterni di provata capacità e di spirito elevato. Le SES schierate sulle Alpi occidentali nel giugno 1940 erano in totale 86.
Per presidiare le opere avanzate e coprire gli spazi tra l’una e l’altra vi erano i Bataillons Chasseurs Alpins (BCA) e i Bataillons Alpins de Fortresse (BAF): i battaglioni di fanteria presidiavano invece le fortificazioni di linea arretrata. L’artiglieria, a sua volta, comprendeva reggimenti da montagna (RAM), reggimenti da posizione (RAP) e reggimenti di artiglieria pesante (RAL) e disponeva nel complesso di 65 gruppi di diversi calibri.
Alla battaglia delle Alpi parteciparono, inoltre, un battaglione di Chasseurs des Pyrénées, un reggimento di Tirailleurs Sénégalais e un battaglione di Infanterie légère (un battaglione, cioè, di punizione).
La divisa delle SES, Sections Éclaireurs Skieurs.
La divisa delle SES, Sections Éclaireurs Skieurs.
Un altro gruppo SES sorprende lo stesso 13 giugno nell’alta Valgrisenche una pattuglia a punta Maurin, sul fronte del Battaglione Ivrea, catturandola; per reazione, gli Alpini occupano quota 2929 a nord di colle Vaudet, distruggendo una postazione. In quella stessa giornata una squadra della 133a compagnia del Battaglione Duca degli Abruzzi occupa quota 2760, a nord di Col de la Seigne, approfittando della nebbia per sorprendere i francesi, e il giorno successivo occupa il colle, che collega l’aostana val Veny con la Vallée des Chapieux, in Savoia: i tentativi di contrattacco vengono respinti, ma cade un altro alpino, Giuseppe Moveri.
Nel settore dell’alta val Roja, al colle della Miniera, vi è un’azione da parte di una SES contro una compagnia del Battaglione Ceva, che riesce però a respingere l’attacco: il 14, al comando del tenente colonnello Gino Bernardini, gli Alpini del Ceva effettuano a loro volta due colpi di mano, assicurandosi il controllo di cima del Diavolo e di monte Scandail e facendo un prigioniero.
Nella giornata del 14 giugno, come risposta all’azione navale francese su Vado e Genova, lo Stato Maggiore dell’Esercito emana l’ordine n. 1601: «Effettuare piccole operazioni offensive per impadronirsi posizioni oltre confine, onde facilitare futuri sbocchi offensivi in grande stile». Alcune posizioni marginali vengono occupate senza combattimenti, azioni verso altre avanzate vengono programmate per i giorni successivi: in particolare, nel settore valli Germanasca-Pellice, si predispone un’azione di sorpresa per occupare la testata della valle del Guil fino ad Abriès, nel settore operativo francese del Queyras: mentre le batterie vengono trasportate verso le basi di partenza del colle della Croce e del colle d’Abriès, reparti dei battaglioni alpini Val Chisone, Pinerolo e Fenestrelle e del 2° Battaglione Camicie Nere prendono posizione. Stessi movimenti avvengono nel settore del Piccolo San Bernardo, al Col des Rousses e al Col de Serre, in quello Maira-Po-Stura al col Maurin e al col di Gippiera, nel settore Roja-Gesso tra il colle della Valletta e col del Diavolo.
Si tratta di posizionamenti sul campo necessariamente lenti, perché passare da uno schieramento difensivo a uno offensivo in alta montagna, con molti rilievi ancora coperti di neve e di ghiaccio, non è operazione semplice. Lo spostamento delle artiglierie, in particolare, è complesso: poiché il sistema fortificatorio italiano, concepito per respingere il nemico, è di scarso supporto per un’azione di attacco, occorre spostare i cannoni su posizioni utili, ma è operazione che va fatta da artiglieri e Alpini a forza di braccia o ricorrendo al traino animale, perché in quota pochi tratti sono percorribili con i mezzi meccanici.
Le previsioni di Badoglio sono esatte: il 4 giugno, in un colloquio con Mussolini, egli ha chiarito che per passare dallo schieramento difensivo a quello offensivo sulle Alpi occidentali servono 25 giorni. Le scaramucce di metà giugno, anche là dove sono vittoriose, non cambiano nella sostanza gli equilibri sul campo. Sulle Alpi sono necessarie ancora duetre settimane di mobilitazione per un attacco in profondità.
La fretta del Duce
Mentre sulle Alpi si scambiano i primi colpi di fucile, le operazioni militari sul fronte franco-tedesco corrono rapidissime e altrettanto le conseguenze politiche: caduta Parigi il 14 giugno, il 16 si dimette il primo ministro Paul Reynaud e il presidente della Repubblica Albert Lebrun affida il governo a Philippe-Henri Pétain, l’ottuagenario glorioso maresciallo della Grande Guerra. Mussolini si accorge che il conflitto si sta concludendo senza che l’Italia abbia davvero combattuto e decide per un’accelerazione. Convocato il 16 giugno il maresciallo Badoglio, gli ordina di attaccare il 18 giugno su tutto lo scacchiere delle Alpi. Di fronte alle perplessità del maresciallo, che ribadisce la necessità di tempo per passare allo schieramento offensivo, il Duce reagisce con stizza: «Maresciallo, lei come capo di Stato Maggiore generale è mio consigliere sulle questioni militari, non su quelle politiche; la decisione di attaccare la Francia è una questione essenzialmente politica della quale ho io solo la decisione e la responsabilità. Darò io stesso ordini al capo di stato maggiore dell’Esercito»2. Subito dopo Graziani viene convocato a palazzo Venezia e si decide per una via di compromesso: anziché un attacco generale, due azioni principali al Piccolo San Bernardo e al colle della Maddalena, la prima con l’obiettivo immediato di Borg-Saint-Maurice, la seconda con quello di Nizza; una terza azione secondaria viene preparata per puntare su Mentone, mentre nel settore Germanasca-Pellice viene riproposta l’azione sulla valle del Guil. Mentre i comandi danno disposizioni per raggiungere a tappe forzate la linea d’attacco, l’evoluzione internazionale impone di cambiare le tempistiche. Il nuovo governo francese prende infatti la decisione di chiedere l’armistizio e di conoscere le condizioni di pace. Nella notte tra il 16 e il 17 il ministro degli Esteri di Pétain, Paul Baudouin, consegna la relativa richiesta all’ambasciatore spagnolo perché la trasmetta a Berlino. L’analoga richiesta di trasmissione all’Italia viene invece affidata al nunzio monsignor Valerio Valeri la mattina del 17 perché, per una forma di cortesia nei confronti del prelato, non si è voluto svegliarlo nel cuore della notte. A causa di questo ritardo (e della maggior celerità degli spagnoli), Berlino viene informata della richiesta francese parecchio prima di Roma, dove la comunicazione ufficiale arriva solo a mezzogiorno del 18, dopo che il governo italiano è stato avvertito dalle ambasciate a Berlino e a Madrid, dopo che Pétain l’ha già annunciato alla radio francese dichiarando che è «venuto il momento di cessare il fuoco» (poi corretto per la stampa in «tentare di cessare il fuoco», in modo da far apparire la richiesta subordinata in qualche modo alle condizioni che il nemico avrebbe imposto) e dopo che i tedeschi hanno proposto un incontro urgente tra Ribbentrop e Ciano (poi esteso a Hitler e Mussolini) per discutere la situazione. Il ritardo nella comunicazione è quasi di sicuro casuale e non attribuibile a una consapevole volontà francese di manifestare disprezzo per chi ha inferto «la pugnalata alla schiena», ma suscita un profondo malumore nel Duce. Quando Ciano, subito rientrato dalla base aeronautica di Pisa a Roma, lo incontra prima di partire con lui per Monaco di Baviera, lo trova irritato e ferito nell’orgoglio: «Mussolini è scontento, questo improvviso scoppio di pace lo turba»3.
Philippe Pétain (ANSA/DPA).
Philippe Pétain (ANSA/DPA).
La richiesta di armistizio interrompe comunque i movimenti sulla linea di confine, almeno sino a dopo l’incontro con il Führer: ai reparti che si stanno muovendo in modo convulso in quota, giunge il contrordine, inviato dal generale Graziani alle 18:10 del 17 giugno al comando Gruppo Armate Ovest: «Le ostilità contro la Francia sono sospese dal ricevere del presente ordine»4. L’improvvisazione politica e quella militare s’intrecciano e si contagiano reciprocamente, come testimoniano fonti insospettabili. Il ministro Giuseppe Bottai, in linea tra i richiamati nell’entroterra di Ventimiglia, annota: «Non è la penuria di grandi mezzi che colpisce, ma una incuria più minuta e desolante, da ogni parte si corre agli espedienti di ogni giorno, ai mezzucci, ai ripieghi e alle bugie»5. Gli Alpini che presidiano il colle della Maddalena hanno avuto l’ordine di stendere reticolati, ma il capitano che deve eseguire avvisa il maggiore che non ci sono i paletti. Il maggiore riflette, poi decide: «Cercherò di farveli avere, intanto però dichiaro che li state mettendo»6. Il generale Lombardi, capo di Stato Maggiore della I Armata, si accorge che metà delle scarpe fornite agli Alpini sono prive di chiodatura: la telefonata ai fornitori è furibonda, ma questi replicano mostrando l’ordine di «consegna immediata in qualsiasi condizioni» giunto da un altro comando.
Molti alti ufficiali si sono formati nella Grande Guerra, dove tutto doveva essere programmato in maniera lenta e massiccia, e considerano la «guerra di rapido corso» alla stregua di uno slogan. A metà giugno la maggior parte delle artiglierie pesanti è ancora nei centri di retrovia di Alessandria e Piacenza, così come i forni Weiss destinati alle sussistenze per la panificazione: le radio in dotazione ai reparti di fanteria sono adatte ai terreni pianeggianti, ma sono diverse da quelle degli Alpini e risultano quasi intrasportabili in quota; molti autisti sono stati mobilitati senza un addestramento specifico e si trovano in difficoltà su strade impervie e intasate di traffico.
Nelle alte valli le disfunzioni sono più evidenti, perché lo spostamento dei reparti, tra ordini e contrordini, assume caratteri caotici: decine di migliaia di uomini con armamenti e carriaggi sono troppi per gli spazi stretti dei valichi alpini e si verificano ingorghi stradali, incidenti dovuti a imperizia, ammassamenti. In alcuni casi le salmerie restano bloccate a metà strada e alle unità avanzate i viveri giungono in ritardo: qualche reparto risolve il problema andando a cacciare nelle grandi riserve di Valdieri e del Gran Paradiso, dove i camosci e i cervi vengono abbattuti in quantità.
I conflitti tra comandanti
La catena di comando sul fronte alpino vede al vertice Umberto di Savoia, ma si tratta di un incarico formale assegnato per coinvolgere direttamente la casa regnante nelle responsabilità del conflitto: il principe ereditario non ha né le competenze né l’autorevolezza per ricoprire il ruolo, e oltretutto non è favorevole all’abbandono della neutralità. Qualche mese prima, parlando con Ciano, ha espresso le sue perplessità, pur con la prudenza tipica del suo carattere: «Il Principe di Piemonte è molto antitedesco e convinto della necessità di rimanere neutrali. Scettico – impressionatamente scettico – sulle possibilità effettive dell’esercito nelle attuali condizioni – ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Sommario
  5. 01 «L’ora delle decisioni irrevocabili»
  6. 02 Le forze in campo
  7. 03 I Bombardamenti su torino e genova
  8. 04 Guerra e popolazione alpina
  9. 05 I colloqui di monaco del 18 giugno
  10. 06 20-24 Giugno: le operazioni della iv armata
  11. 07 20-24 Giugno: le operazioni della i armata
  12. 08 L’armistizio del 25 giugno
  13. Postfazione