Brain stimulation in psichiatria
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Brain stimulation in psichiatria

Tecniche e impiego di TMS, tDCS, VNS e DBS

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Brain stimulation in psichiatria

Tecniche e impiego di TMS, tDCS, VNS e DBS

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Le tecniche di brain stimulation comprendono una serie d’interventi differenti il cui fine ultimo è quello di modificare, a scopo terapeutico, l’attività di alcuni circuiti neuronali ritenuti responsabili dello sviluppo di specifici sintomi e comportamenti psicopatologici.
La comunità psichiatrica, rappresentata non solo dai clinici ma anche da quanti operano nel settore della salute mentale (psicologi, infermieri, assistenti sociali e operatori di comunità), oltre che, naturalmente, dai pazienti stessi, ha registrato nell’ultimo decennio un crescente interesse, sia in ambito clinico che di ricerca scientifica, nei confronti dei suddetti interventi di stimolazione cerebrale.
Con la rapida e crescente diffusione nell’impiego delle tecniche di brain stimulation all’interno della comunità psichiatrica, occorre che lo specialista sappia stare al passo con i tempi, non solo dovendosi mantenere adeguatamente informato e aggiornato in merito, ma, soprattutto, al fine di riuscire a valutare la potenziale idoneità di un proprio paziente ad essere sottoposto a tali interventi.
L’obiettivo del presente volume, il primo libro di testo davvero esaustivo sull’argomento in lingua italiana, è quello d’informare in maniera approfondita e aggiornata lo psichiatra o qualsiasi altro lettore interessato all’argomento, e di introdurlo all’area dei principali interventi di brain stimulation non solo attraverso un puntuale inquadramento delle singole tecniche, ma anche degli specifici step di valutazione clinica che lo psichiatra deve affrontare nella valutazione dell’idoneità di un determinato paziente a ricevere o meno il trattamento in questione.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788833792552

CAPITOLO II
La stimolazione magnetica transcranica
(transcranial magnetic stimulation, TMS)

Introduzione

La stimolazione magnetica transcranica, conosciuta più comunemente come TMS, è una tecnica di brain stimulation che si basa sui principi dell’elettromagnetismo. Com’è noto in fisica, infatti, elettricità e magnetismo sono fenomeni profondamenti legati, essendo in grado, in presenza di specifiche condizioni, di generarsi reciprocamente. Fondamentalmente, nella TMS utilizzata per il trattamento di alcuni disturbi psichiatrici – la tecnica è utilizzata anche per altri scopi –, vengono adoperati i campi magnetici, al fine di attuare una stimolazione elettrica selettiva a livello di alcune aree della corteccia cerebrale.

Origine, sviluppi e utilizzo in psichiatria

Dal 1820, diversi scienziati hanno iniziato a studiare il fenomeno dell’elettromagnetismo, osservando come il passaggio di corrente attraverso un filo elettrico fosse in grado di generare un campo magnetico. Una decina d’anni dopo, tuttavia, il chimico e fisico britannico Michael Faraday riuscì a dimostrare il fenomeno inverso, ossia che il movimento di un magnete attraverso una bobina era in grado di generare una corrente elettrica. Alla fine del 19° secolo, lo scienziato francese Jacques d’Arsonval conduceva per primo degli esperimenti, con dispositivi in grado di creare campi magnetici, riuscendo a indurre fosfeni, vertigini ed episodi sincopali in pazienti, il cui capo veniva collocato all’interno di una voluminosa bobina elettromagnetica. Ai primi del ‘900, gli psichiatri Pollacsek e Peer, a Vienna, documentavano per primi il trattamento di un paziente con depressione e nevrosi tramite l’utilizzo di un dispositivo elettromagnetico. Kolin e collaboratori, nel 1959, hanno per primi utilizzato un campo magnetico alternato per stimolare il nervo sciatico nell’animale, inducendo il movimento del muscolo gastrocnemio di una rana. A metà degli anni ’60, Bickford e Fremming, tramite l’applicazione di campi magnetici a livello dei nervi sciatico, ulnare e peroneale, sono riusciti a provocare, in soggetti umani, delle contrazioni a livello dei rispettivi muscoli. Si deve, tuttavia, all’inglese Antony Barker l’utilizzo, in chiave più moderna, della TMS e, in particolare, l’applicazione dei campi magnetici tramite TMS a livello del sistema nervoso centrale. Barker e collaboratori sono riusciti, infatti, a dimostrare che l’applicazione dei campi magnetici, tramite una bobina posizionata sul capo del paziente a livello della corteccia motoria, era in grado di provocare delle contrazioni muscolari a livello periferico. La possibilità di stimolare in maniera non invasiva la corteccia motoria ha aperto, a quel punto, la strada a una serie di applicazioni della TMS in ambito clinico e di ricerca, in particolare nell’area della neurofisiologia e della neurologia, dove la tecnica viene utilizzata per lo studio di diverse patologie quali la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, e così via. Infine, si deve ancora al gruppo di Bickford, alla fine degli anni ’80, la descrizione di un effetto antidepressivo a opera della TMS. Tramite l’utilizzo della TMS in modalità a singolo impulso, a livello della corteccia motoria, gli autori hanno registrato una temporanea elevazione del tono dell’umore in un gruppo di volontari sani. Da quel momento in avanti, si è succeduta una serie continua di studi scientifici con TMS in un’ampia gamma di disturbi neuropsichiatrici.

Meccanismo d’azione e descrizione del device

La TMS si avvale dell’applicazione dei campi magnetici a scopo terapeutico. Tale razionale è alla base di altre tecniche utilizzate a scopi analgesici e riabilitativi. Nella TMS, tuttavia, si fa specificamente riferimento all’utilizzo dei campi magnetici al fine di attuare una stimolazione transcranica, ossia in grado di attraversare lo scalpo e la scatola cranica, raggiungendo il sistema nervoso centrale. Nella TMS, infatti, il passaggio di corrente elettrica all’interno di una bobina (coil) produce un campo magnetico pulsante a livello dell’area cerebrale che s’intende trattare – tipicamente la parte anterolaterale dello scalpo, qualora il target sia rappresentato dalla corteccia prefrontale dorsolaterale (CPFDL). Il campo magnetico penetra all’interno dei diversi tessuti a una profondità variabile – tipicamente 2-3 cm al di sotto della bobina stimolatrice, qualora si intenda stimolare la corteccia cerebrale tramite un coil tradizionale – generando, a sua volta, una corrente elettrica che interferisce con i processi di depolarizzazione neuronale, aumentando o riducendo l’eccitabilità corticale, a seconda dei parametri di stimolazione utilizzati (Fig. 2.1).
Il device utilizzato per la TMS viene prodotto da diverse aziende in tutto il mondo, con caratteristiche differenti a seconda dello specifico utilizzo clinico. Mentre i primi macchinari per TMS erano in grado di produrre per lo più impulsi singoli, utilizzati prevalentemente a scopo di ricerca in neurofisiologia, i moderni devices sono in grado generare treni di impulsi in rapida successione. Tale stimolazione è indicata come ripetitiva (repetitive TMS o rTMS) ed è quella che viene utilizzata in clinica per il trattamento di disturbi psichiatrici, quali la depressione maggiore. I diversi macchinari per TMS sono sviluppati secondo un principio comune: un generatore d’impulsi di corrente in grado di accumulare energia elettrica e scaricarla velocemente in una bobina stimolatrice (coil). Il coil produce un campo magnetico di forte intensità, compreso tra 1.5 e 3 Tesla, che è in grado di attraversare lo scalpo e la scatola cranica, penetrando all’interno della superficie corticale dove, a sua volta, induce una corrente elettrica, che dà luogo a una serie di modificazioni nei processi di depolarizzazione neuronale e dell’eccitabilità corticale. Un moderno apparecchio per TMS, sviluppato per il trattamento della depressione, non differisce sostanzialmente da quanto descritto (Fig. 2.2a-b). Il macchinario viene collegato a una presa di corrente e la corrente elettrica è utilizzata per caricare un sistema di dispositivi che accumulano energia (capacitori o condensatori). Il sistema dei condensatori, all’interno di quella che generalmente è chiamata main unit, è collegato a un coil mobile oppure regolabile, se posizionato su una sedia sulla quale viene fatto accomodare il paziente.
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Figura 2.1. Rappresentazione del meccanismo d’azione della TMS: il passaggio di corrente elettrica all’interno di un coil induce un campo magnetico che penetra all’interno della scatola cranica dove produce modificazioni a livello dei processi di depolarizzazione ed eccitabilità della corteccia cerebrale.
Una classica sessione di TMS ha una durata variabile dai 15 ai 45 minuti, a seconda dei parametri di stimolazione utilizzati. Il coil attualmente più utilizzato per il trattamento del paziente depresso è a forma di 8 (“figure 8 coil”), in quanto tale conformazione permette una stimolazione più focalizzata al di sotto del segmento centrale della bobina. Esistono, tuttavia, coils di dimensioni e forme diverse, alcuni raffreddati per evitare il fenomeno del surriscaldamento, che avviene durante le sedute di stimolazione ad alta frequenza più protratte, interrompendo in automatico, per ragioni di sicurezza, la stimolazione. Esistono anche coils che non forniscono una stimolazione reale, pur mostrandosi identici ai comuni coils attivi e producendo il medesimo suono. Tali bobine vengono impiegate nei protocolli di ricerca nell’ambito degli studi randomizzati e controllati con placebo, nei quali il placebo altro non è se non una stimolazione simulata con uno dei suddetti coils, noti anche come “sham coils”. Negli apparecchi per TMS più moderni, i coils a forma di 8 sono incorporati in una struttura di rivestimento ergonomica, la quale presenta una conformazione concava, che meglio si adatta alla superficie del capo dove viene applicata. Ciò è anche in ragione del fatto che i comuni coils piatti a forma di 8 possono avere un potere di penetrazione differente, qualora venga modificato il loro orientamento rispetto al capo del paziente (producendo in genere una stimolazione meno focalizzata ed efficace). Stante il limitato potere di penetrazione dei campi magnetici prodotti all’interno dei coils tradizionali – massimo 3 cm, tipicamente a livello della giunzione tra sostanza grigia e bianca –, negli ultimi anni sono state sviluppate bobine stimolatrici a forma differente: i cosiddetti coils a forma di H o H-coils, in grado di permettere una stimolazione a livello di regioni situate a una profondità di massimo 6 cm (deep TMS). Tali coils, così come la deep TMS, il cui utilizzo è già stato oggetto di diversi studi clinici, sono in una fase di crescente sviluppo e ricerca. A tal proposito occorre menzionare come uno specifico device per deep TMS abbia ricevuto una specifica approvazione nel 2013 da parte dell’FDA americana, per l’utilizzo nella depressione maggiore. Tuttavia, sono le implicazioni fisiopatologiche di una stimolazione che vada oltre il target tradizionale (gli strati superficiali della corteccia cerebrale) a necessitare di ulteriori approfondimenti e ricerche. Indubbiamente è lecito aspettarsi ulteriori sviluppi clinici e di ricerca nel campo della deep TMS. Occorre, ancora, ricordare che alcuni macchinari per TMS sono compatibili con – o incorporano direttamente – moderni sistemi di neuro-navigazione, al fine di permettere una localizzazione del target anatomico da trattare più precisa (Fig. 2.3). Altri ancora vengono collegati con apparecchi elettromiografici, elettroencefalografici e di neuroimaging, prevalentemente a scopi di ricerca più che di terapia.
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Figura 2.2. Immagine di un tradizionale (a) e più moderno (b) apparecchio per TMS.

Fisiopatologia della depressione maggiore ed effetti a livello cellulare della TMS

Dopo aver esaminato il meccanismo d’azione della TMS e prima di prendere in considerazione gli effetti che la stimolazione è in grado di produrre a livello dell’area corticale trattata, occorre soffermarsi sui principali modelli fisiopatologici dei disturbi depressivi, al fine di intendere al meglio come l’effetto della TMS possa manifestarsi in tali condizioni. L’ultimo decennio di ricerca e acquisizioni nel campo della fisiopatologia dei disturbi depressivi ha inequivocabilmente comprovato come anche il modello etiologico oggi ritenuto più valido, ossia quello che prevede l’interazione geni-ambiente alla base dello sviluppo della patologia depressiva, presupponga una complessità intrinseca la cui natura non è stata ancora del tutto identificata. Certamente è risaputo che nel soggetto depresso si viene a creare una serie di alterazioni multisistemiche, in particolare a livello neurochimico – dove intervengono i farmaci –, a livello di risposta immuno-infiammatoria (si considerino in tal senso le modificazioni dei livelli delle citochine e di altri fattori pro-infiammatori, documentate nel soggetto depresso), a livello endocrinologico (attivazione del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene e secrezione del cortisolo). Ancora, negli ultimi anni, sono state documentate diverse alterazioni a livello neurofisiologico per mezzo di studi di neuroimaging – in particolare tramite risonanza magnetica funzionale, PET (tomografia a emissione di positroni) e SPECT (tomografia a emissione di fotone singolo) – così come a livello di neuroplasticità e trofismo cellulare [tramite l’azione del BDNF (brain derived neurotrophic factor) e di altri fattori neurotrofici]. Infine, a livello genetico e, più recentemente, nel campo degli studi di epigenetica, è stato mostrato come la patologia depressiva sia una condizione poligenica (molti geni conferiscono un contributo limitato) e come vi possano essere differenze a livello della metilazione e dell’acetilazione degli istoni di alcuni geni e dei loro promotori nel paziente depresso, con minore o maggiore tendenza alla trascrizione e all’espressione genica.
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Figura 2.3. Coil a forma di 8 accoppiato a sistema di neuro-navigazione.
In uno scenario così complesso, l’azione delle tecniche di neuromodulazione e della TMS, in particolare, si va a contestualizzare in maniera selettiva a livello di specifiche aree anatomiche, intervenendo – come evidenziato nell’introduzione – a livello della trasmissione elettrica neuronale (e non chimica come avviene attraverso l’azione dei farmaci). È verosimile, tuttavia, che, indipendentemente dall’elemento della catena causale sul quale s’interviene farmacologicamente, piuttosto che tramite la psicoterapia o la brain stimulation, l’effetto che ne risulta sia in grado di creare una serie di modifiche a vari livelli.
Tornando più specificamente al modello fisiopatologico sul quale si presuppone intervenga la TMS (e, verosimilmente, anche la tDCS), viene attualmente dato per assodato che nel paziente depresso esistano due networks responsabili dello sviluppo dei principali sintomi: uno ventrale e uno dorsale. All’interno di tale modello, si ritiene che la sintomatologia depressiva derivi da una concomitante ipoattivazione delle regioni prefrontali dorsali e iperattivazione di quelle ventrali, particolarmente a livello dell’emisfero cerebrale sinistro. Come documentato attraverso una serie di studi di neuroimaging, un efficace trattamento antidepressivo con risoluzione dei sintomi andrebbe ad attuare una stimolazione delle aree prefrontali dorsali e un’inibizione di quelle ventrali, ripristinando il fisiologico equilibrio funzionale tra i due emisferi. Ciò è esattamente quanto avviene per mezzo della TMS, la cui principale modalità di applicazione consiste nella stimolazione ad alta frequenza (con finalità di attivazione) della CPFDL, a livello dell’emisfero di sinistra, o, alternativamente, nella stimolazione in bassa frequenza (con finalità opposta) a livello della CPFDL dell’emisfero destro. Quanto qui riportato, in maniera necessariamente semplificata, rappresenta solo un modello generale dell’azione della TMS, i cui effetti, in realtà, si manifestano a diversi livelli.
In particolare, per quanto venga sottolineato come l’effetto diretto della TMS si limiti all’attivazione degli strati di materia grigia corticale presenti al di sotto del sito di stimolazione, effetti a distanza a livello di strutture più profonde sono più che plausibili, essendo tali strutture tra loro collegate. In realtà, che un’azione selettiva della TMS possa poi tradursi in un effetto su aree più distanti è facilmente verificabile ogniqualvolta si proceda con la valutazione della soglia motoria di un paziente. In tale situazione, ad esempio, una stimolazione a livello di una specifica area della corteccia motoria è in grado di evocare una contrazione muscolare a livello dell’arto controlaterale.
Gli effetti sinaptici di maggiore rilevanza riconducibili alla TMS, differenziabili a seconda dei parametri di stimolazione utilizzati, sono stati descritti in termini di long-term potentiation (LTP) e depression (LTD) della trasmissione sinaptica. I due fenomeni si riferiscono, rispettivamente, a un aumento e a una riduzione a lungo termine nella trasmissione del segnale tra due neuroni stimolati in maniera sincrona. Sempre sulla base dei parametri di stimolazione utilizzati, in particolare della frequenza, la TMS ha mostrato specifici effetti a livello della perfusione sanguigna regionale. Inoltre, a livello molecolare, la TMS ha mostrato la capacità di indurre diversi effetti, quali l’aumento del turnover delle monoamine, l’incremento dell’espressione genica di fattori neurotofici (BDNF, in particolare) e la normalizzazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

Modalità di TMS e parametri di stimolazione

Si è già accennato al fatto che l’uti...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Prefazione, a cura di A.C. Altamura
  6. Premessa
  7. CAPITOLO I. Brain stimulation: background, sviluppi e attualità
  8. CAPITOLO II. La stimolazione magnetica transcranica (TMS)
  9. CAPITOLO III. La stimolazione transcranica con corrente diretta (tDCS)
  10. CAPITOLO IV. La stimolazione del nervo vago (VNS)
  11. CAPITOLO V. La stimolazione cerebrale profonda (DBS)
  12. CAPITOLO VI. Altre tecniche di brain stimulation
  13. CAPITOLO VII. Prospettive future e conclusioni
  14. Materiale e testi di approfondimento
  15. Glossario