Di fronte all'inatteso
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Per una cultura del cordoglio anticipatorio

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Per una cultura del cordoglio anticipatorio

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Il volume, utile guida per gli operatori sanitari a sostegno di persone che stanno affrontando un periodo di difficoltà psicologica, presenta un'articolata riflessione sul lutto anticipatorio: un momento di cambiamento che ci coinvolge nel profondo.

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Informazioni

Prima parte
Definizione e contesto

Capitolo 1

Definizione e riconoscimento del cordoglio anticipatorio

Il vero modo per tenersi pronti per il momento finale
è quello di impiegare bene tutti gli altri momenti.
Tutta la vita non è forse che un sogno continuo
e il momento della morte sarà un risveglio improvviso.
François de Salignac de la Mothe-Fénelon, vescovo di Cambrai

Premessa

La storia naturale dell’uomo come è noto è accompagnata con continuità dall’incontro/scontro con eventi, attesi e inattesi, che sono all’origine dei necessari cambiamenti, fin dalla nascita. Di quello che accade si tiene memoria e rimane come imprinting, un apprendimento prezioso, che a volte si trasforma in ostacolo. L’uomo impara presto a riconoscere questa sequenza e memorizza l’esistenza di una successione di eventi piacevoli e desiderati, oppure spiacevoli e temuti o almeno indesiderati, comunque immaginati come inevitabilmente destinati a realizzarsi. Riconosce tutto questo nella propria storia personale e nella storia delle persone che frequenta.
A mano a mano che il tempo passa, se l’auto-osservazione e l’osservazione di ciò che accade intorno procede regolarmente, gli eventi prevedibili aumentano e quelli imprevedibili diminuiscono. Per esempio, il lattante che si dispera per l’apparente scomparsa della madre impara presto che, prevedibilmente, la mamma riapparirà.
Allo stesso modo siamo esposti in forma ricorsiva a eventi che si impara facilmente essere tutt’altro che imprevisti, come il ciclo stagionale, la fine dell’anno scolastico o delle ferie, la fine di una relazione amicale o affettiva, l’esaurimento della fertilità naturale… e molti altri ancora, che ogni lettore può senza sforzo richiamare alla mente.
Tutto questo costituisce un patrimonio cognitivo, esperienziale, relazionale: quando la persona si proietta nel futuro e immagina gli eventi che si preparano, per una parte di essi è in grado di intravedere indizi, prodromi, segnali, preliminari, che ricordano in modo inequivocabile eventi assimilabili che si sono già verificati.
Se l’evento precedente è stato vissuto negativamente, a volte proprio come una tragedia, per esempio la malattia mortale di un familiare, il riesame degli eventi precedenti sarà particolarmente attento e conservato nella memoria, orientando il vissuto emozionale verso il fastidio, la preoccupazione, l’ansia… e quindi i gesti di reazione verso l’evitamento o la fuga piuttosto che verso il fronteggiamento.
Naturalmente ciò che ha preceduto eventi positivi rievoca di certo le emozioni piacevoli connesse e induce a guardare con ottimismo e fiducia verso il loro rinnovarsi, senza creare quindi ostacoli al loro fronteggiamento.

Definizioni precedenti di cordoglio anticipatorio

La definizione di cordoglio anticipatorio è stata usata per la prima volta da Lindemann nel 1944. Nel 1960 è stato definito da Rolland come un’esperienza che genera un’ampia gamma di sentimenti, quali ansia da separazione, isolamento esistenziale, rabbia, senso di colpa e logoramento… ma anche intimità, speranza e gioia di vivere.
Credo che la studiosa che nel mondo ha maggiormente approfondito il tema sia Therese Rando. Il testo che lei ha curato (Rando, 2000) è tuttora fondamentale. Comprende numerosi contributi, con ragionamenti e conclusioni anche divergenti tra loro. Di seguito riporto alcuni spunti tratti dalla sua introduzione e dal primo capitolo, fondamentali per entrare nel merito dell’argomento. È subito un sollievo poter condividere la riflessione che il cordoglio anticipatorio è un fenomeno reale e, scrive, «come caregiver noi siamo obbligati a osservare bene e rispondere al meglio delle nostre capacità quando si presenta [con il termine caregiver, come è noto, si designa la persona che si prende cura di chi è gravemente e cronicamente sofferente]. Inoltre, approcci diversi e terminologia differente non rappresentano la questione più importante, ciò che conta è riuscire a essere di aiuto per le persone».
Per la verità lei cita solo i caregiver ma possiamo intendere che in questo caso ricomprenda tutti gli operatori sanitari e chi si prende cura di una persona e dei suoi problemi rilevanti di salute e di vita con regolarità e costanza.
Con importanti eccezioni, il riferimento prevalente nei contributi dei diversi esperti presenti nel suo libro guarda sempre al tempo di vita delle persone legato a importanti malattie, disabilità grave, terminalità, morte e lutto. In questo testo propongo di estendere esplicitamente gli appropriati ragionamenti di Rando e dei curatori degli altri capitoli all’intero ciclo di vita dell’uomo e non in forma limitata e incerta come proposto da numerosi studiosi.
Rando propone due motivi fondamentali per occuparsi del cordoglio anticipatorio:
  • offrire alle persone la possibilità di vivere nel modo migliore le esperienze vitali anche se dolorose;
  • facilitare l’elaborazione delle perdite, perché un cordoglio anticipatorio non riconosciuto o un suo fronteggiamento disfunzionale, con una riorganizzazione psicosociale inadeguata e la perdita di capacità di organizzare il futuro, predispongono all’infelicità e all’insuccesso a causa di una insufficiente elaborazione di qualunque perdita vitale.
Rando sostiene (giustamente a mio parere) che la maggior parte delle conclusioni sbagliate a proposito del cordoglio anticipatorio sia basata su due errori concettuali:
  • l’eccesso di attenzione sulla perdita finale della morte e l’interpretazione impropria che essere in lutto comporta, almeno per qualcuno, la necessità di una completa decathexis (il processo di disinvestimento mentale, emozionale verso una persona o un’idea, fase di regressione in cui la persona comincia a distaccarsi dalla realtà: nulla ha più interesse), o il lasciar andare la persona morente prima del tempo;
  • l’idea che i sentimenti riguardanti la perdita abbiano le stesse caratteristiche e lo stesso valore prima e dopo il suo verificarsi.
D’altra parte, sostiene ancora, è impropria un’attenzione estrema per la fase del fine vita combinata con una davvero scarsa attenzione per numerose altre perdite. Sebbene queste ultime possano sembrare minori, comparate con la morte, sono nondimeno reali e di grande impatto. Includono, tra molte altre, la perdita di precedenti funzionalità, salute, abilità, parti del corpo; la perdita dei progetti già in cantiere per il futuro per e con le persone amate; la perdita di speranze, sogni e l’investimento relazionale, anche con la persona amata; la perdita della sicurezza, della capacità previsionale e di controllo della propria vita e la perdita della convinzione della propria invulnerabilità.
Si intuisce che fronteggiare il cordoglio anticipatorio non comporta lasciar andare il qui e ora della persona quanto lasciar andare o meglio, come vedremo, riformulare e sviluppare adattamento di speranze, timori, sogni, problemi in arrivo.
Ricorrentemente in vari capitoli di Rando sono citate svariate ricerche che lasciano supporre come nel tempo della malattia terminale in alcune famiglie si viva il malato come fosse già morto e si mettano in atto comportamenti in linea con questo pensiero, che a volte sfociano nel suo abbandono, per l’appunto anticipato, affettivo e/o materiale (come anticipato nella Premessa). Sono citazioni che servono a mettere in discussione il contributo che il cordoglio anticipatorio può dare nei momenti critici: agirlo dando già per morta la persona cara provoca malfunzionamenti familiari e problemi nell’assistenza. Altre ricerche addotte dimostrano che viverlo appropriatamente favorisce l’interazione, lo scambio affettivo e quindi, direi io, è una buona scelta per tutti gli attori coinvolti, anche per gli operatori. Inoltre migliora la successiva elaborazione del lutto e di questo ho esperienze ripetute e molto confortanti, per i dolenti e anche per me che li avevo seguiti nel tempo della malattia.
Questo è un dibattito che interessa gli esperti che si occupano di terminalità e di lutto, e che pare non abbia ancora trovato una risposta definitiva. È comunque un suggestivo ammonimento perché in trasparenza mostra il grande potere trasformativo del cordoglio anticipatorio, e l’assoluta necessità di maneggiarlo con competenza.
La storia naturale umana è sostanziata da un percorso molto dinamico, è una via tutta lastricata da distacchi, separazioni, perdite e infine anche da lutti. Non è un caso, una condanna o una maledizione. È la regola che la vita offre per maturare, avere competenze per creare famiglia e comunità, concepire la differenza tra positivo e negativo… apprezzare entrambi e infine giungere al termine del viaggio sazi, preparati a lasciar andare la vita stessa, pur nell’inevitabile incertezza o insicurezza del dopo, a dispetto di qualunque nostra credenza.
In questo diuturno processo per aprirsi al nuovo e crescere, l’uomo apprende:
  • come agire gesti sempre più impegnativi di lasciar andare cose, persone, relazioni e parti di sé;
  • come prepararsi plasticamente al miglior uso possibile del nuovo.
Questi due apprendimenti sono inscindibilmente collegati.
Per lasciar andare, l’uomo ha a disposizione essenzialmente come strumenti narrazioni e riti, compresi i riti di passaggio e il tempo necessario per viverli.
Per prepararsi ai cambiamenti venienti, soprattutto quando non ambiti e cercati, si utilizzano gli stessi strumenti, o quali altri?
Sono in sostanza gli stessi, filtrati attraverso uno strumento cardine: la relazione con la comunità, iniziando con la famiglia, poi gli ambienti educativi, il gruppo dei pari, la prossimità che ognuno ha modo di riconoscere. Naturalmente la narrazione ha una funzione fondamentale: un primo livello è, per esempio, lo scambio narrativo che permette di comunicare l’esistenza dei problemi e di apprendere i possibili modi per fronteggiarli, oltre a offrire uno «scarico emotivo» e un legame sociale.
Tornando alla definizione di cordoglio anticipatorio, volendo riconoscerlo presente in tutta la storia naturale, prima dell’approssimarsi di qualunque morte, è evidente che «cordoglio», come accennato nella Premessa, non potrà essere intercambiabile con «lutto» ed è un termine appropriato per descrivere una condizione specifica.
Occorre collocarlo nel tempo, tramite abbinamento ad anticipatorio, un aggettivo che ha il significato di: previsto in anticipo, compiuto o sperimentato in previsione o in preparazione di un evento. Indica anche la capacità di formulare aspettative sulle conseguenze dei propri atti.
Se si accetta la definizione di cordoglio anticipatorio, sorgono alcune domande. Qual è il suo contenuto, il suo significato? È il segnale di allarme che la natura offre per dare un tempo per «parare il colpo»? È solo un presentimento negativo che prepara alla perdita? È forse un’emozione, negativa anch’essa?
Se consideriamo vera la prima ipotesi non ci dovrebbero essere esitazioni: è un segnale da accogliere e ci si deve attivare per prendere provvedimenti. Certo anche la seconda ipotesi ha fondamento. Se di un sentimento si tratta, sembra intuitivo definirlo appunto negativo.
Una spiegazione che è parziale, non sufficiente a spiegare come e perché nasca e non offre indicazioni su un possibile uso proattivo. Come è acclarato per il dolore fisico, come una scottatura, possiamo credere che anche le altre negatività dolorose rispondano a una finalizzazione vitale.
Riconoscere la sua negatività in senso assoluto aiuta a comprendere perché l’uomo tenda a evitarlo. Nello stesso tempo, il cordoglio anticipatorio è il motore che spinge verso la resilienza. Se ha questa funzione la sua importanza è chiara e merita che si proceda, per cercare di capire perché sia vissuto così negativamente, andando oltre l’ovvio.
Una traccia la offre Jerome Dokic ne Il perturbante e altri sentimenti esistenziali negativi (Tappolet, Teroni e Konzelmann Ziv, 2013, pp. 49 e ss.). In una disamina dei sentimenti negativi rilegge anche il saggio intitolato Das Unheimliche (Il perturbante) di Freud. Il suggerimento che scaturisce dai suoi ragionamenti propone il perturbante come «un sentimento che riguarda l’estraneità, di fatto, di ciò che si manifesta nel nostro ambiente di vita e che invece dovrebbe esserci familiare» (p. 49, riformulato, il corsivo è mio).
Il perturbante appartiene alla categoria delle esperienze affettive spiacevoli; si tratta dunque di un sentimento negativo […] sempre legato a un disagio o a un’angoscia più o meno palpabili. […] Il perturbante è un sentimento «esistenziale», nel senso che interroga in maniera generale il rapporto sensoriale, affettivo, pratico e cognitivo del soggetto con il mondo esterno. [I sentimenti esistenziali] sono «orientamenti di fondo» che danno all’esperienza una struttura unitaria (Tappolet, Teroni e Konzelmann Ziv, 2013, p. 50).
Sembra di poter dedurre che la mancanza di familiarità con un futuro incombente possa essere di per sé fonte di un sentimento esistenziale negativo, con il significato di perturbante, inteso come imbarazzo, incertezza, timore di inadeguatezza, che si amplifica con sentimenti di dolore, perdita e infelicità quando si proietta nel futuro come sottrazione di identità, di capacità, di relazioni vissute come fondanti il proprio benessere, la propria felicità.
Si deduce che se, nei limiti del possibile, viene meno l’estraneità dei contenuti del futuro vedremo calare la negatività, il perturbante, con ovvi benefici.
A questo proposito l’esercizio regolare e generalizzato dei riti di passaggio, brevemente ricordati nell’Introduzione, quando è vissuto coralmente offre un contributo decisivo: la condivisione sociale dei riti altrui istruisce i «novizi» spettatori o attori marginali e i riti diventano esperienze percorribili con livelli accettabili d’incertezza, anzi li rende appetibili e desiderati. La condivisione sociale di quel che accade dopo i riti di passaggio riduce a sua volta l’estraneità dei passaggi successivi, e rinforza il patto di comunità, lo scambio informale e formale di beni relazionali.
La diversità nella lettura del senso del vivere, accennata all’inizio, è in funzione del ruolo dei sentimenti negativi nella costituzione del «senso di realtà» o della relazione vissuta dell’«essere al mondo».
Che il contesto sia normale o patologico, la comparsa di un sentimento esistenziale negativo implica un cambiamento sul piano della relazione vissuta tra sé e il resto del mondo. Il problema è sapere qual è l’influenza di questo cambiamento sul senso di realtà o di essere al mondo del soggetto (Tappolet, Teroni e Konzelmann Ziv, 2013, p. 56).
Vivere la presenza del cordoglio anticipatorio, in assenza di una competenza per gestirlo e dell’esperienza di fronteggiamento precedente efficace di eventi similari, induce facilmente questo sentimento esistenziale negativo appena citato, che ha come effetto la crisi del senso di realtà e di una (solo supposta) stabilità della propria identità.
La conseguenza finale di queste considerazioni è che il cordoglio anticipatorio può essere descritto come un sentimento perturbante.
Verosimilmente è descrivibile anche come percezione, perché tramite la percezione si opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. Secondo la Treccani, essa è l’atto del percepire, cioè del prendere coscienza di una realtà che si considera esterna, attraverso stimoli sensoriali, analizzati e interpretati mediante processi intuitivi, psichici, intellettivi.
Parte da queste premesse, che offrono una spiegazione del come e perché il cordoglio anticipatorio affligga l’uomo, la ricerca della possibilità di trasformarlo da negatività, fonte di inerzia o fuga, a...

Indice dei contenuti

  1. L’autore
  2. Presentazione
  3. Introduzione
  4. Prima del cordoglio anticipatorio
  5. Prima parte - Definizione e contesto