E fummo liberi
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E fummo liberi

  1. 108 pagine
  2. Italian
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E fummo liberi

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Informazioni sul libro

IL LIBRO: Tra il 1943 e il 1945 una serie di bombardamenti devasta l'Italia da Nord a Sud, colpendo in particolare Milano. Sopravvivere diventa l'obiettivo principale per milioni di uomini e donne. Le partigiane e le sopravvissute ai campi di concentramento raccontano le loro vite di colpo lacerate dalla guerra: le fughe notturne, gli incontri furtivi, i volti dei loro cari ormai dispersi. I diari nascosti, le lettere di conforto, i messaggi in codice, le poesie nate dall'inferno compongono un reading teatrale in cui Jenide Russo, Ada Gobetti, Carla Tosi, Natalia Ginzburg, Maria Arata gridano tutta la loro indignazione. Le loro voci ardono e riescono a sollevarsi oltre l'orrore delle bombe, in un'unica richiesta: «Giustizia e libertà».

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788899918156
Argomento
Storia
TERZO ATTO
A: A proposito di Napoli. Vi voglio raccontare una storia che comincia a Bologna, prosegue a Napoli, si spinge a Milano, precipita a Roma… La storia di una donna dalla tenacia e dalla cultura straordinarie.
B: Mi chiamo Alda Levi e sono nata a Bologna il 16 giugno 1890. Sono stata la prima soprintendente donna ai beni archeologici. Mi nominarono a Milano.
C: Mio padre era ingegnere. Mio fratello Giorgio Renato, a 32 anni, era già titolare della cattedra di chimica generale e inorganica all’Università di Milano. Poi, in quanto ebreo, nel 1938, fu cacciato. Come me.
A: Avevo frequentato il liceo classico a Padova: ero così brava che mi esonerarono dagli esami. Se fossi nata appena pochi anni dopo il fascismo mi avrebbero vietato di frequentarlo.
B: Mi laureai in filologia classica a Padova, nel 1913, e poi presi un diploma alla facoltà di magistero. Nel 1915 fui assunta come ispettrice presso la soprintendenza agli scavi e ai musei a Napoli. Incredibile, per una donna.
D: Era stata la Prima guerra mondiale a permettere ad alcune diplomate e laureate l’accesso a posti pubblici che altrimenti sarebbero stati a loro preclusi.
E: Alda, però, fu serena per poco tempo.
A: Lavoravo con il soprintendente Vittorio Spinazzola, un antifascista. Quando Mussolini andò al potere, dopo la marcia su Roma del 1922, Vittorio cadde in disgrazia e io dovetti lasciare Napoli.
B: Passai l’esame per la libera docenza di archeologia nel 1923. Ma nel 1924 fui trasferita a Milano. Era il 16 dicembre. Era stato l’anno del delitto Matteotti e della fine della libertà di stampa. In quei giorni erano riprese le violenze squadriste. Mussolini era ormai saldo al potere.
A: Poiché Milano non era una soprintendenza autonoma, mi fu affidata la direzione dell’ufficio.
C: Un ufficio piccolo piccolo. Poca autonomia per le spese, poco personale. Ma dovevo difendere i beni archeologici di tutta la Lombardia. Mi trovai contro un muro di pregiudizi maschili. Durarono anni e anni: i miei lavori non furono nemmeno citati dai miei colleghi.
D: In quegli anni, tra il 1928 e il 1934, a Milano si discuteva del piano urbanistico dell’ingegner Cesare Albertini.
E: Fu il piano che sventrò la città, coprì i navigli, cancellò palazzi nobiliari, chiostri, chiese e giardini. Alcuni intellettuali tentarono inutilmente di opporsi.
A: Io, invece, scavavo e scoprivo meraviglie: le mura di epoca repubblicana e il fossato del IV secolo attorno a piazza Fontana, il teatro romano in piazza Affari, l’anfiteatro romano alla Conca dei Navigli. Individuai anche una piccola necropoli protostorica a Badia Pavese e una romana ad Angera.
B: Nel frattempo, a Roma, Mussolini s’inventava una città imperiale mai esistita, bianca e spettrale. Per questo faceva sventrare i fori, costruiva vialoni dove c’erano stati vicoli e case. Ma a Milano, nessuno sembrava interessato alle rovine: eppure per quasi due secoli Milano era stata la capitale dell’Impero romano d’Occidente. Non capivo.
C: Qualcuno mi diceva che avevo altro a cui pensare. Che dovevo guardarmi le spalle. Nel 1932 avevo sposato proprio il mio primo soprintendente, Vittorio Spinazzola. Sapevo benissimo in che guaio mi andavo a cacciare. Era un antifascista. E io, donna, continuavo a battermi da sola perché non abbattessero le vestigia della Milano antica.
D: Poi, nel 1938, arrivarono le leggi razziali.
E: Già nel 1936 c’era stata una violenta campagna stampa contro gli ebrei.
A: Ci vietarono di collaborare con giornali e riviste, di qualsiasi genere. Non potevamo partecipare ai concorsi ministeriali, fummo cacciati dalla scuola pubblica. Licenziati da tutti gli impieghi.
B: Ci negarono il diritto di possedere beni di valore superiore a 5.000 lire per i terreni e 20mila lire per gli edifici in città. I professori ebrei furono cacciati dalle scuole, dalle università, da tutte le istituzioni culturali italiane.
C: Oggi, chissà perché, qualcuno parla bene del ministro fascista dell’istruzione Giuseppe Bottai. Ma lui fu un nostro implacabile persecutore. Stabilì, per esempio, che non dovessero comparire negli Annuali i nomi dei professori ebrei cacciati dal servizio, come se non fossero mai esistiti.
D: Pretese che non fossero permessi i necrologi per ricordare i professori ebrei.
E: Impose che gli istituti intitolati a studiosi ebrei cambiassero nome.
A: Così, nel 1939, sono scomparsa dall’archivio della soprintendenza. Sono stata ovviamente sospesa dal servizio. Come se non ci fossi mai stata. Non mi tolsero però lo stipendio. Non so perché: una svista? Qualcuno che cercò di aiutarmi? Accadde tutto all’improvviso. Dovetti andarmene dal lavoro in fretta e furia.
B: Lasciai libri e carte chiusi a chiave nel mio ufficio. Pensavo di tornare. Li recuperò e me li spedì il fedele custode Antonio Silvani a guerra finita, nel 1947.
C: In quegli anni di me si persero le tracce. Ero braccata: ebrea, donna, moglie di un antifascista. Mi rimase fedele soltanto il custode, Silvani. È nelle nostre poche lettere che è rimasto qualcosa di me, di quello che mi è successo in quel periodo.
A: Il 2 giugno 1939 mi hanno tolto anche la libera docenza. Sempre per lo stesso motivo: ero ebrea. Mio fratello Giorgio Renato, a cui era stata tolta la cattedra, se n’era andato dall’Italia: prima in Olanda, poi a San Paolo in Brasile. Fondò un laboratorio di ricerca e riprese a insegnare all’università. Lui, ce l’ha fatta. Ma, al solito, per un uomo era più facile…
B: Io e mio marito Vittorio siamo rimasti a vivere in viale Romagna 37, a Milano. Ci avevano censiti, a noi ebrei. Per questo si sa dove siamo vissuti. Vittorio è morto il 13 aprile 1943. C’era la guerra. Rimasi sola. Avevo subito un’operazione, ero in convalescenza. Ero bandita dalla società.
C: Il 5 maggio 1943 decisi di rifugiarmi a Roma: mi ospitò la famiglia Aurigemma. Ed è da quel momento che Antonio Silvani, il custode del mio ufficio, assunse un ruolo fondamentale. Fu un angelo.
D: Nell’agosto 1943, come abbiamo visto, Milano subisce bombardamenti devastanti.
E: Silvani aiutò Alda a trasferirsi a Roma e a salvare i suoi beni. Li nascose a casa sua. Ma lei era preoccupata degli scritti del marito. In una lettera si chiedeva che fine avrebbero fatto.
A: Dopo l’8 settembre, le persecuzioni contro gli ebrei si inasprirono. Il 4 gennaio 1944 un decreto legislativo ordinò a tutti i capi delle province di confiscare tutti i beni di qualsiasi natura delle persone “di razza ebraica”. Chi avesse tentato di nasconderli o portarli via sarebbe stato duramente punito.
C: La verità è che molti italiani rubarono a man bassa ciò che apparteneva a vicini e conoscenti ebrei. Molti li denunciarono ai nazifascisti per poterli poi depredare.
D: Il 30 novembre 1943 il ministro dell’Interno aveva ordinato l’arresto e la deportazione di tutti gli ebrei.
B: Mi sono nascosta nel Museo delle Terme, a Roma, perché era chiuso. Vi immaginate? Io sola, in quelle sale immense di mattoni. Eppure solo tra quelle rovine romane trovavo un po’ di pace.
C: Poi però mi hanno accolta in un convento di suore. Così sono riuscita a sfuggire al rastrellamento del g...

Indice dei contenuti

  1. COPERTINA
  2. FRONTESPIZIO
  3. INDICE
  4. VOCI NARRANTI
  5. PRIMO ATTO
  6. SECONDO ATTO
  7. TERZO ATTO
  8. QUARTO ATTO
  9. QUINTO ATTO
  10. BIBLIOGRAFIA
  11. NOVITÀ