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Storia dei media in Italia dal dopoguerra ad oggi

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Storia dei media in Italia dal dopoguerra ad oggi

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Viviamo talmente immersi nel flusso dei media da considerarlo come un ambiente «naturale», dimenticandoci spesso del suo carattere storico e culturale. I mass media sono invece prodotti culturali complessi nei quali la dimensione tecnologica e narrativa, la sfera sociale e politica, gli aspetti economici e istituzionali si integrano e si sostengono a vicenda: vanno affrontati, dunque, come un sistema articolato, tenendo insieme le varie dimensioni. Specchi infiniti racconta lo sviluppo del sistema dei media all'indomani della seconda guerra mondiale, analizzando l'evoluzione dei singoli media e la loro interazione con lo sviluppo sociale, economico e politico del paese, oltre che il modo in cui questi due processi hanno contribuito a formare il suo immaginario. Dai rotocalchi ai fumetti, dai giornali ai libri, dalla radio alla televisione, dal cinema all'industria musicale, dai computer alle reti digitali, si ripercorre la rinascita del paese dopo il trauma della guerra, con un sistema mediale raddoppiato, analizzando come le «rivoluzioni» del neorealismo e della televisione convivono con alcuni elementi di continuità degli anni del fascismo. Si attraversa poi il profondo cambiamento degli anni sessanta, in bilico fra la dimensione industriale di massa e l'emergere di modelli di controcultura, una contrapposizione che sembra ricomporsi – seppure non senza conflitti – nel decennio successivo. E si arriva a un nuovo mutamento di fondo negli anni ottanta e novanta, quando all'apparente dominio della televisione si accompagna l'emergere dei «nuovi media», prodromi di un profondo cambiamento linguistico e culturale che in Italia esploderà solo con il nuovo millennio, ma le cui radici affondano nelle pratiche, nei processi e nei linguaggi che hanno caratterizzato il sistema dei media nella seconda metà del Novecento.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788855221818

V. Anni affollati (1976-1983)

La seconda metà degli anni settanta sembrava caratterizzata da una crisi economica, sociale e politica che faceva venire meno le speranze che si erano alimentate nel decennio precedente: come cantava Francesco Guccini,
Le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte,
son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte1.
Erano gli anni in cui aumentava drammaticamente la violenza politica2 e nei quali, mentre la strategia della tensione sembrava esaurirsi con gli attentati di piazza della Loggia e al treno Italicus, il terrorismo rosso diventava sempre più virulento e la strategia delle Brigate rosse mirava a «colpire il cuore dello Stato» con il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro nel 1978. Contemporaneamente, lo shock petrolifero acuiva la crisi economica che segnava la fine della cosiddetta «età dell’oro»: «Io no, io no/ non esco di casa, no/ fuori c’è la crisi./ La crisi ci aspetta/ giù al portone/ studia dove andiamo./ La crisi ci segue/ come un granchio/ e non ci molla più», avrebbe cantato Ivano Fossati nel 19793, riassumendo anni di diminuzione della produzione industriale e di contemporaneo aumento della disoccupazione che delineavano una recessione i cui tratti erano resi ancora più duri dalle politiche di austerity4.
Quest’atmosfera così cupa, tuttavia, rischiava di nascondere processi di segno diverso che testimoniavano, invece, quanto il paese si stesse modernizzando: si pensi ad esempio alla legge sul divorzio, la Fortuna-Baslini del 1970, e al successivo nuovo diritto di famiglia del 1975, che «segnò un notevole passo in avanti rispetto alla precedente concezione giuridica di una famiglia patriarcale, autoritaria e a struttura piramidale»5; oppure – ancora – si pensi alla legge Basaglia, che portò alla chiusura dei manicomi6, e a quella sull’aborto7, entrambe del 1978. Ma, soprattutto, si pensi a quanto questa legislazione intercettasse una diffusa e profonda modernizzazione della società, a proposito della quale si è già ricordato l’emblematico titolo de «La Stampa» in occasione del referendum sul divorzio del maggio 1974, quel L’Italia è un paese moderno che suonava quasi come il sorpreso riconoscimento di una trasformazione ormai irreversibile8.
Nonostante i sempre più frequenti casi di corruzione politica e l’approvazione di una legge per il finanziamento pubblico dei partiti, anche la politica sembrava andare in questa direzione, in particolare grazie alla crescita elettorale del Pci: già nelle elezioni amministrative del 1975, infatti, i comunisti avevano guadagnato oltre 6 punti percentuali, per poi raggiungere, nelle politiche del 1976, il loro massimo storico con il 34,4% delle preferenze, ottenuto anche grazie al voto dei diciottenni, che lo avevano esercitato allora per la prima volta. Occorre ricordare, peraltro, che proprio allora il «compromesso storico» fra Dc e Pci sembrava concretizzarsi con l’avvio dei «governi di solidarietà nazionale»9 e che, tuttavia, la critica al Partito comunista sarebbe stata una delle caratteristiche della nuova fase di contestazione giovanile esplosa nel 1977, anno nel quale si condensarono tutte le tensioni che si erano andate accumulando fino ad allora e che costituisce un po’ uno spartiacque di questo periodo.
Anche il mondo giovanile, infatti, si stava trasformando: nel 1977 «L’Espresso» ne tracciava il profilo sulla base di un sondaggio Doxa parlando dei ventenni come dei figli di una società assistenziale, che vivevano con i genitori perché non trovavano lavoro e quindi non potevano permettersi un alloggio, che ricalcavano i loro valori su quelli del cittadino medio e che si consideravano riformisti, pur avendo uno spiccato senso dell’ordine10. Colpiva che, proprio in quell’anno di scontri di piazza in cui la politica sembrava essere ancora totalizzante, un altro sondaggio rivelasse che la maggior parte dei giovani tra i 15 e i 24 anni «non si appassionava a niente e non si impegnava per niente»11: in realtà, a ben guardare, negli anni precedenti c’era stata una crisi dell’attivismo politico anche nel segmento più giovane della società, ben testimoniata dal declino dell’esperienza dei gruppi extraparlamentari nati dal Sessantotto12.
La crisi del politico si inseriva in un sostanziale mutamento degli orizzonti culturali e ideali: la crisi del lavoro e la crescente disoccupazione, ad esempio, avevano modificato drammaticamente le condizioni di vita dei giovani producendo «un tendenziale distacco dal lavoro manuale, una crescente domanda di ozio e l’assenza di una linea di demarcazione netta tra la condizione di lavoro e di non lavoro»; in questo contesto, «l’emancipazione e i disegni essenziali si spostavano […] altrove, in primis nel campo del privato e su un presente sempre più aprogettuale»13. Uno dei luoghi dove questo cambiamento aveva preso forma erano stati i Circoli del proletariato giovanile14, punti di aggregazione nati nell’hinterland milanese nei quali i contenuti politici e ideologici erano stati sostituiti dalla socializzazione dei problemi personali, da un’«ideologia» della festa come luogo di costruzione dell’identità collettiva e da un approccio diverso al consumo, non più criticato ma visto come un «diritto» che avrebbe portato a una diffusione degli espropri proletari, una forma di lotta sociale nata nei primi anni settanta come autoriduzione dei crescenti costi dei servizi15.
Un altro fenomeno, peraltro, stava modificando radicalmente il panorama sociale, e in particolare quello giovanile: la diffusione dell’eroina, che aveva cominciato ad arrivare in grandi quantità proprio nel 1974-1975. Se prima di allora l’eroina in Italia era praticamente sconosciuta, alla fine del 1975 i suoi consumatori erano già circa ventimila, un numero che si sarebbe moltiplicato esponenzialmente arrivando a circa trecentomila all’inizio degli anni ottanta; nello stesso periodo si moltiplicavano i decessi, da uno nel 1973 a trentadue nel 1977, per poi continuare a salire. Ma, al di là dei dati, che mostrano con evidenza il diffondersi massiccio dello stupefacente, ciò che stava cambiando era il modo di consumare droga: se negli anni sessanta le droghe erano passate dall’essere considerate uno «strumento di edonismo individuale» a «un mezzo di liberazione politica collettiva», ora esse erano entrate in «un orizzonte culturale condiviso fino a diventare strumento di autodistruzione di massa»16. Anche la questione della droga, insomma, era un segno del lento trasformarsi degli orizzonti culturali collettivi nella seconda metà degli anni settanta, nella quale sarebbe fin troppo facile leggere solamente – com’è stato scritto – «il correlativo oggettivo della perdita dell’impegno e del ritorno ad una dimensione che ora si chiama “individuale” ma presto sarà ribattezzata come “privata”, dando a questo aggettivo una connotazione negativa, di riflusso»17; essa, infatti, era anche lo specchio di un cambiamento più profondo, di un rimescolamento delle classi sociali perché, come scriveva allora uno dei pochi studi attendibili sul tema, «il cliente tipo dell’eroina nel ’75, nel ’76, non è più il freak, l’emarginato, volontario o non, che vive sulla strada; né un piccolo borghese nevrotico incasinato con la famiglia. È un ragazzotto qualunque, piccolo borghese o proletario, che non ha mai visto altre droghe, a cui nessuno ha mai spiegato che l’eroina dà dipendenza fisica e che cosa è la dipendenza fisica»18.
Insieme a queste (e altre) trasformazioni, infatti, in quegli anni erano in corso altri mutamenti ancora più profondi che riguardavano la geografia produttiva19, il riconfigurarsi della stratificazione sociale, dove si andava costruendo un ampio ceto medio che intercettava, o per via acquisitiva o in senso aspirazionale, le classi inferiori, anche grazie alla crescente porosità dei confini tra gli strati sociali20; e, infine, il cambiamento dei valori e degli stili di vita degli italiani che veniva registrato per la prima volta da Gabriele Calvi e dall’Eurisko nel 1976-197721. Egli aveva individuato nove stili di vita che potevano essere distribuiti lungo una scala, dal più elevato – definito «denaro, cultura, progetti» – a quello di grado inferiore – chiamato «lotterie e cambiali» –, attribuendo a ciascuno di essi un peso in proporzione alla popolazione italiana: secondo questa analisi, il paese appariva diviso in due, con una maggioranza di italiani che aveva «convincimenti tradizionali» e «orizzonti culturali modesti», i quali si concretizzavano in una richiesta di ordine e disciplina nonostante l’orientamento politico fosse misto, e un altro gruppo leggermente meno numeroso i cui comportamenti erano più modernizzanti, democratici, con orizzonti culturali vivaci. Poiché gli stili di vita si modificavano in base all’età, a questi due gruppi occorreva aggiungerne un terzo composto di giovani tra i 18 e i 25 anni che erano più vicini a valori considerati di sinistra (antiautoritari oppure favorevoli all’emancipazione femminile, ad esempio) ma mostravano anche una forte componente individualistica e un grado più basso di condivisione di quei valori come la partecipazione oppure l’esercizio responsabile dei diritti civili e politici, che Calvi considerava «più autenticamente socialisti». Negli anni successivi questo tipo di ricerche si sarebbe moltiplicato confermando in parte queste prime tendenze22 ma individuando anche un progressivo allontanamento dai valori agro-pastorali tipici di una cultura arcaica e un progressivo avvicinarsi a quelli post-industriali23, i quali poi avrebbero caratterizzato il «riflusso» e il passaggio verso gli anni ottanta.
In questi anni così ricchi di trasformazioni profonde e spesso inavvertite, velate com’erano dall’asprezza della conflittualità politica e sociale, anche il sistema dei media si modificava radicalmente: si entrava infatti allora in uno dei periodi «esplosivi», fasi di accelerazione tecnologica in cui nascevano nuovi strumenti e quelli vecchi si rinnovavano con estrema rapidità24. Allo stesso tempo, i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. I. Rinascere: editoria, radio e cinema dopo la seconda guerra mondiale (1945-1954)
  7. II. Arrosti che bruciano e nuovi focolari (1954-1957)
  8. III. Gli anni del «miracolo» (1957-1967)
  9. IV. Prendere la parola (1968-1975)
  10. V. Anni affollati (1976-1983)
  11. VI. Dalla disponibilità all’abbondanza (1984-1993)
  12. VII. Promesse e paure: il futuro è qui (1994-2001)
  13. Epilogo: sul confine