Lezioni di estetica
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Singolare destino, quello di Alexander Gottlieb Baumgarten. Universalmente considerato uno dei più significativi pensatori del suo tempo, è passato alla storia soprattutto come "padre" dell'estetica, della quale coniò anche la parola: "æsthetica" da "aisthesis", cioè "sensibilità". Eppure i suoi maggiori eredi disciplinari hanno finito per emarginare sensibilmente la sua figura, fin quasi alla rimozione. Salvo che, per un curioso gioco del destino, Baumgarten è prepotentemente ritornato in primo piano con una particolare carica d'attrazione. Per la semplice ragione che egli intese l'estetica in modo molto più articolato di quello che poi s'impose nell'Ottocento, ossia una mera "filosofia dell'arte"; laddove per Baumgarten l'estetica riguarda un orizzonte ben più generale, ossia l'intera esperienza sensibile nei suoi vari ambiti: dal mondo delle arti alla ricerca scientifica, dalla pratica religiosa alla stessa vita quotidiana. Il testo, che qui viene presentato, è la trascrizione delle lezioni con le quali egli spiegava agli studenti universitari la sua difficile Æsthetica, rendendola più accessibile anche grazie a uno stile colloquiale e talvolta persino scherzoso. Rappresentano dunque la migliore e più affascinante introduzione complessiva all'estetica di Baumgarten.

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Informazioni

Editore
Aesthetica
Anno
2020
ISBN
9788877261458

Introduzione*

§ 1. Intendiamo esporre in modo sistematico i principi primi di tutte le belle scienze1. La scienza intera è nota con il nome di estetica e poiché il nostro libro di testo nella prima definizione utilizza questa parola, dobbiamo occuparci della sua origine. Essa deriva propriamente da αἰσάνομαι; questa parola designa ciò che in latino designa la parola sentio e cioè tutte le sensazioni chiare. Dal momento che le sensazioni vengono divise in esterne e interne, in quelle che accadono nel mio corpo come a me coscienti e si riferiscono a tutti i sensi, o in quelle altre che accadono solo nella mia anima, allora questa parola, che designa “sensazioni chiare” in generale, si riferirà a entrambi i tipi. Siccome inoltre la parola sentio, proprio come del resto anche la parola greca, designa il percepire qualcosa in modo sensibile, allora designerà anche le rappresentazioni sensibili e in effetti viene impiegata in questo senso da Platone2, laddove gli αἰσθητά sono contrapposti ai νοητά in quanto, rispettivamente, rappresentazioni indistinte e distinte. Allo stesso modo Aristotele3 divideva le anime in αἰσθητά, che hanno ancora sensibilità, e ἀναίσθητα, che non hanno più neanche questa. Vediamo dunque che gli antichi comprendevano sotto questa parola tutto ciò che facevano rientrare nella sensibilità. Se si vuol sapere cosa nell’anima facessero rientrare in senso proprio nella sensibilità, si legga il Buchanan4, che, nel terzo capitolo, nella tredicesima sezione, dice, a proposito delle opinioni degli antichi, che essi vi facevano rientrare il sensus communis, la phantasia e la memoria sensitiva, perché ancora non si conosceva meglio l’anima. Come dunque da λογικός, da ciò che è distinto, si è formato λογική, che indica la scienza di ciò che è distinto, così noi ora da αἰσθητός formiamo αἰσθητική, la scienza di tutto ciò che è sensibile.
Quando gli antichi parlavano del perfezionamento dell’intelletto, si proponeva la logica come il rimedio generale, che doveva perfezionare tutto l’intelletto. Ora noi sappiamo che la conoscenza sensibile è il fondamento di quella distinta; se dunque deve essere migliorato tutto l’intelletto, l’estetica deve venire in aiuto alla logica.
L’estetica in quanto scienza è ancora nuova; si sono naturalmente date ripetutamente regole per il pensiero bello, ma in passato non si è ancora messo in ordine sistematico in forma di scienza l’intero complesso di tutte le regole e di conseguenza anche questo nome può essere ancora ignoto a molti. Il nostro primo paragrafo propone ancora diverse altre denominazioni, per il caso in cui dovesse giungere in mano a persone cui la prima denominazione fosse ignota. La si definisca dunque teoria delle belle scienze e questo è il titolo che il signor Meier ha dato al suo libro su questo argomento5. Si è a lungo balbettato il nome belle scienze, sebbene in senso proprio non vi fosse dentro nulla di scientifico. Le si definisca le scienze delle nostre facoltà conoscitive inferiori, o, se si vuol parlare in modo ancor più sensibile, le si definisca con Bouhours la logique sans épines6. Giacché fra noi tedeschi la dizione l’arte di pensare in modo bello è già conosciuta, ci si serva dunque anche di questa. Siccome poi ci è noto dalla psicologia che la nostra visione del nesso delle cose è in parte distinta e in parte confusa e che quella è la ragione e questa l’analogon rationis7, la si definisca di conseguenza. Se invece si vuol parlare per metafore e si ama la mitologia degli antichi, la si definisca la filosofia delle Muse e delle Grazie. Inoltre, dal momento che la metafisica contiene la parte generale delle scienze, si potrebbe definire l’estetica, sulla base di una qualche somiglianza, la metafisica del bello.
Questa scienza e il complesso delle sue verità non è qualcosa di così nuovo che prima non si sia mai pensato in modo bello. No di certo, si sono avuti estetici pratici prima che si siano conosciute regole dell’estetica e che le si sia portate nella forma di una scienza. Non sarà inutile fornire una piccola introduzione alla storia dell’estetica. Ne farà parte tutta la storia dei pittori, scultori, musicisti, poeti, oratori, perché tutte queste diverse parti hanno le loro regole generali nell’estetica. Trattare di tutto ciò per noi sarebbe troppo lungo; vogliamo limitarci solo a quelli che si sono dedicati in modo particolare alla conoscenza distinta. Vedremo che sono stati per lo più estetici pratici; e quindi possiamo concludere: se questi, che per così dire erano professionisti della conoscenza distinta, hanno per lo più pensato in modo sensibile, quanto più gli altri, cui la conoscenza distinta era sconosciuta. I filosofi antichi sono stati divisi in barbari, Greci e Romani. Mostreremo in riferimento a tutti la verità storica della nostra affermazione8.
Dei dotti barbari fanno parte soprattutto gli Egizi, i Caldei e i Celti. Questi si sono dedicati alle scienze rigorose prima di tutti gli altri popoli. Ma cosa facevano gli Egizi? Pensavano in modo sensibile e comunicavano i loro pensieri in modo sensibile in immagini geroglifiche. Si veda ciò che ce ne ha detto Pluche nella sua Histoire du ciel9. La stessa cosa ritroviamo fra i Caldei, che possedevano una erudizione astronomica non rigorosamente distinta, e fra i Celti, i cui druidi componevano in opere poetiche la loro erudizione, la loro dottrina politica e la loro religione e quindi le esponevano in modo molto sensibile.
Così andava anche con i filosofi greci. La loro visione non era esclusivamente distinta. La loro prima filosofia non era che indistinta e favolosa. Non parliamo qui dei poeti, ma solo dei filosofi. Si prenda Orfeo e i cosiddetti sette saggi come i più antichi fra i loro filosofi. Forse possedevano più poesia che politica. I loro apophtegmata non sono certo che belli in modo sensibile. Socrate, il capo di tante diverse sette, era dotato di grande senso estetico. I suoi allievi lo seguirono. Aristippo definiva persino la sua logica una scienza che guida al piacevole e tutta la sua setta si dedicava a presentare le materie in modo attraente. E non ha forse fatto Egesia una poesia così bella sulla morte, che molti si sono suicidati10? La setta di Megara, che si autodefiniva anche dei dialettici, poneva la sua cura principale nella sofistica e spingeva tanto in là l’aspetto estetico, che era possibile irritarsi mortalmente l’un l’altro con un sofisma. La setta eliaca, o l’eretriaca, detta così perché Menedemo di Eretria era il suo principale sostenitore11, poneva la sua cura maggiore in una certa forma di eloquenza, mediante la quale intrattenersi a bisticciare per un certo tempo. Ma si pensi soprattutto a Platone. Quanto non era intento a render tutto distinto! Eppure definiva la sua dialettica cura disserendi. Non doveva dunque essere frammisto già qui qualcosa di sensibile? Egli divideva questa dialettica in quattro parti: l’apodittica, l’epicherematica, la retorica, la sofistica12. Una divisione molto imperfetta! Ma si guardi quanto di sensibile c’era nella sua filosofia. La sua epicherematica era cura disserendi circa verisimilia vel probabilia. Definiva la sua retorica mediante l’entimema o imperfecta ratiocinatio. Ancora una volta una definizione imperfetta! Ma pure basta a vedere che gli brillava dinnanzi agli occhi qualcosa di vero. Infatti una dimostrazione imperfetta è un’opera dell’analogon rationis. Condannava la poesia, in conseguenza di ciò restava ancora del campo del sensibile la retorica, che egli manteneva – per quanto poi non fosse un nemico della poesia, perché si sa che lui stesso ha scritto delle piccole lettere amorose, che però ha poi bruciato, quando si è destata la sua seria coscienza filosofica. La scuola di Platone si divise a sua volta in quelle tre Accademie, fra quelli che rimasero più vicini ai suoi insegnamenti e quelli che si allontanarono di più e che avevano Aristotele come loro fondatore. Senocrate, il maestro della prima Accademia, non doveva certamente insegnare soltanto in modo rigorosamente distinto, perché una volta in un’ora ha convertito l’intemperante Polemone13, il che non è certo accaduto grazie a un’asciutta dimostrazione razionale. Arcesilao, il fondatore della seconda Accademia, era un retore e un poeta14; dunque non abbiamo bisogno di aggiungere che è stato un estetico pratico. Agitava dubbi contro la certezza delle cose. Carneade, della terza Accademia, voleva persuadere con certezza che non vi è nulla di certo. Un’affermazione sorprendente, ma lo faceva in modo persuasivo e dunque estetico. Ora viene Aristotele. Era stato alla corte di Filippo; aveva educato il giovane Alessandro, che lo stimò sempre immensamente, ma non di certo in virtù di un asciutto sillogismo razionale. Aristotele divide la sua filosofia, per mezzo della quale deve esser migliorata la conoscenza umana, in logica, retorica e poetica, che egli per primo espone come scienze15. La divisione stessa è imperfetta. Se io voglio pensare in modo sensibilmente bello, perché dovrei pensare solo in prosa o in versi? Dove resta il pittore o il musico? Se io voglio pensare in modo sensibilmente bello in prosa, utilizzo la retorica; c’è dunque in primo luogo ancora una suddivisione. Risulta scomoda anche perché ci costringe a ripetere più volte le stesse cose e a dire nella poetica esattamente quello che si è già sentito nella retorica. Per questo l’estetica deve essere più generale; deve dire ciò che vale per tutte le forme del bello e, in relazione a ogni forma particolare, si deve fare l’applicazione specifica delle regole generali. Dopo questo filosofo vengono i cinici. Forse non erano gli estetici pratici più accurati e ci mostrano quanto sia scadente ciò che è estetico solo per natura senza alcuna arte. Gli stoici erano laconici nelle loro espressioni, quando facevano filosofia; eppure avevano anch’essi una retorica, che definivano in modo molto bello come ars bene dicendi de iis, quæ copiosam orationem requirunt, ad persuadendum idoneam16.
Dopo i Greci vengono i Romani. Cicerone era certamente uno dei più famosi dei loro filosofi, ma se vogliamo investigare la cosa secondo verità era un miglior estetico che filosofo. Giudicheremo Seneca allo stesso modo. Nei tempi scolastici, in cui tutte le scienze erano immerse nella barbarie, nessuna venne tanto trascurata quanto l’estetica. Proprio questo è l’unico momento in cui si vedevano solo voluminose teologie e trattati di giurisprudenza, ma si condannava del tutto l’estetico e persino lo si ignorava. Pietro Ramo per primo osò tornare a riproporre l’estetico pratico, ma i tempi erano ancora troppo oscuri e infatti si stabiliva ancora in grandi concili a Parigi se si dovesse scrivere qui, quæ, quod, oppure qi, , qod, e Ramo e i suoi allievi furono per questo molto perseguitati. La grande asprezza che molti lasciavano trasparire contro tutto ciò che si chiama pensare in modo bello, poteva anche esser sorta dal grande miscuglio dell’intelletto e del bello che era di moda nella filosofia eclettica. Si conduceva una dimostrazione e le si aggiungevano un paio di versetti. Questo è sbagliato. Noi dobbiamo pensare in modo distinto e dobbiamo pensare in modo bello, ma dobbiamo distinguere esattamente i confini fra i due.
Dobbiamo affrettarci per brevità e arrivare a Cartesio. Chi lo conosce vede anche che era una mente straordinariamente vivace. La sua fisica è più bella in senso estetico che filosofico. Dei suoi cubi17 si potrebbe più facilmente cantare che parlare con rigore filosofico. L’opera poetica che ha scritto in tarda età in Svezia presso la regina Cristina18 ci dà una testimonianza del fatto che fosse capace di pensare in modo bello. A questo punto i filosofi iniziarono a dividersi; rimaniamo nel campo dei moderni. E qui Leibniz, che era grande da tutti i punti di vista, si mostra anche come una grande mente in campo estetico. La sua Theodicée19 è veramente bella e quante testimonianze ci danno anche i suoi studi storici e linguistici20! Wolff e Bi...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Circa l’autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. Presentazione, di Leonardo Amoroso
  7. Avvertenza del curatore
  8. Lezioni di estetica, di Alexander Gottlieb Baumgarten
  9. Introduzione
  10. Appendice biobibliografica
  11. Indice dei nomi