Capitolo quarto
Morire nello Stato Islamico
Fino a questo punto ci siamo preoccupati di inseguire le manifestazioni del tema della morte filmata in due filoni circoscritti, evidenziando come – a fronte di differenze spesso non intercettate dalla critica – essi siano accomunati da una forte volontà di spettacolarizzazione, da una sorta di sguardo feticistico. Nello scenario contemporaneo, una delle forme più ricorrenti e culturalmente rilevanti di morte filmata ha invece a che vedere con i video prodotti da varie fazioni jihadiste, fra le quali spicca – per quantità e qualità dei materiali – lo Stato Islamico. Per comprendere il ruolo cruciale che le immagini occupano all’interno del progetto comunicativo di IS è stato essenziale non solo compiere un sopralluogo preliminare nel contesto dei contributi teorici più rilevanti che hanno discusso il rapporto fra guerre contemporanee e visualità, ma anche proporre delle considerazioni sulle modalità attraverso cui oggi è possibile problematizzare il rapporto fra immagine e referente e, al contempo, ragionare sulle qualità testimoniali dell’immagine stessa.
Le pagine seguenti hanno lo scopo di offrire una panoramica sulla produzione video dello Stato Islamico nel periodo del suo massimo protagonismo mediatico (2013-2017), con particolare riferimento alle istanze in cui appaiono immagini di morte. Lo studio di questo genere di immagini mobilita interrogativi etici su cui ci soffermeremo in seguito, ma appare opportuno formulare alcune precisazioni metodologiche. In primo luogo, chi scrive ha soltanto una conoscenza preliminare dell’arabo. Le osservazioni che seguono privilegeranno dunque l’analisi dell’aspetto visivo piuttosto che del contenuto linguistico dei contenuti video; ci si soffermerà invece su quest’ultimo elemento qualora i testi in questione siano stati reperiti con sottotitoli in inglese e/o francese. Si tratta, come si intuisce, di un limite importante che coinvolge più in generale parte degli studi sulla visualità bellica e terroristica; una comprensione completa della comunicazione di IS non può prescindere da una conoscenza diretta dell’arabo e, per questo motivo, i risultati di questa ricerca sono da intendersi come primi rilievi utili ad offrire una guida per future esplorazioni in materia.
Proprio per questo motivo è bene precisare che la nostra analisi non si prefigge lo scopo di fornire una prospettiva completa sulla produzione video dello Stato Islamico, ma intende limitarsi – per coerenza rispetto ai capitoli precedenti – ad analizzare il ruolo strategico delle immagini di morte. La mole di contenuti diffusi da IS merita senza dubbio di essere oggetto di un’analisi più dettagliata, che tenga conto della varietà dei format, della ricezione dei video da parte del pubblico, della circolazione nel contesto arabofono etc. La nostra analisi si basa su un corpus di circa 400 video, a partire dal quale è stato possibile verificare la presenza di strategie visive ricorrenti nella presentazione e nella ripresa della morte. La maggior parte dei video qui presentati sono facilmente reperibili grazie allo straordinario lavoro di Aaron Y. Zelin, che raccoglie giornalmente sul portale Jihadology le produzioni (video, audio e testuali) delle maggiori fazioni jihadiste. Ai fini della ricerca è tuttavia importante segnalare che alcuni dei testi analizzati in questa sede appaiono oggi non più reperibili, complice la censura di questo materiale su molti siti, fra cui Liveleak e Bestgore (recentemente chiuso).
Pensare il terrorismo
Una valutazione sulla produzione video dello Stato Islamico assume oggi un imprescindibile valore politico e sembra imporsi agli studiosi dell’immagine come una necessità improcrastinabile. Ciò è ancora più vero nel contesto di un’indagine sulla morte come spettacolo filmato a cavallo fra cinema di fiction e realtà. I video di IS costituiscono in effetti il punto d’approdo più coerente di questa esplorazione, dal momento che rimettono in campo la centralità del corpo morto, accordandogli – e qui si annida forse uno degli elementi più importanti – una inedita rilevanza politica. È vero che la morte del Califfo al-Baghdādī ha segnato un importante punto di arresto nelle mire espansionistiche di IS e che già almeno a partire dal 2016 la capacità dello Stato Islamico di controllare gli ampi territori conquistati era risultata gravemente compromessa dagli attacchi sempre più frequenti della Coalizione internazionale. Tuttavia, la storia di IS ha dimostrato come la resilienza sia un tratto ricorrente di questa organizzazione ed è dunque doveroso cercare di confrontarsi in maniera critica con le immagini e le narrazioni che ha prodotto, per comprenderne le dinamiche di generazione e diffusione, anche in vista di un possibile ritorno, magari alla testa di un più ampio fronte jihadista.
Quanto sia importante dotarsi di una strumentazione critica efficace per leggere il fenomeno IS (e la galassia del jihadismo contemporaneo) cogliendone le specificità senza incorrere in banali semplificazioni, può forse essere meglio esplicitato attraverso un rapido cenno ad un libro uscito nel periodo di massimo protagonismo mediatico di IS, rapidamente divenuto un vero e proprio best seller. Anche ad una lettura superficiale esso si rivela infatti particolarmente istruttivo sulle modalità attraverso cui il progetto politico del Califfato è stato comunicato dai media occidentali, che lo hanno in qualche modo sfruttato come testa di ponte per costruire una pericolosa connessione fra terrorismo, immigrazione, sospensione dei diritti ci...