Espressione, movimento, poesia
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Studio su Ludwig Klages

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Studio su Ludwig Klages

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La "Scienza dell'espressione" rappresenta uno degli ambiti nei quali Ludwig Klages ha investito molti dei suoi sforzi teorici che meritano ancora di essere esplorati, tanto nel settore filosofico, quanto in quello letterario. Questo studio si propone di indagare i fondamenti della "Ausdruckskunde" di Klages con l'intento di isolare e analizzare i maggiori precipitati teorici in ambito estetologico e poetologico attorno ai due paradigmi centrali di "espressione" e "movimento". Tenendo altresì conto della biografia segnata dalla figura di Stefan George, si è infine proceduto a individuare l'essenza della definizione klagesiana di poesia sulla base della differenza tra "lingua espressiva" e "lingua comunicativa".

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857575537

III.

POESIA TRA “ESPRESSIONE VITALE” E “MOVIMENTO ANIMICO”

1.

IL CARATTERE DELL’OPERA

Lo scritto giovanile intitolato Aus einer Seelenlehre des Künstlers (Da una dottrina dell’anima dell’artista), pubblicato nel 1895 nella rivista diretta e curata da Stefan George Blätter für die Kunst (Fogli per l’arte)1, può considerarsi sotto molti riguardi una rielaborazione grosso modo fedele delle impostazioni teoriche del “George-Kreis” condivise dal giovane Klages – molte delle quali verranno poi in parte riviste già implicitamente nel saggio del 1902 dedicato al poeta e senz’altro dopo la rottura con questi dal 1904 attraverso l’epurazione di tutti gli elementi riconducibili all’estetismo e al concetto di art pour l’art. È tuttavia di notevole interesse per la nostra analisi seguire queste prime teorizzazioni di Klages, perché, sebbene appunto rivisitate e in parte rinnegate soprattutto in età matura, esse a ben vedere permangono come substrato di molte elaborazioni teoriche successive.
In questo scritto giovanile Klages sosteneva che “tra i più grandi errori della vecchia estetica rientra l’opinione secondo la quale l’arte sarebbe un tipo di conoscenza particolare”2. Pur con una certa forzatura argomentativa, evidentemente ancora poco matura, Klages intendeva in questo modo posizionarsi polemicamente nel contesto della riflessione estetica “tradizionale”, facendosi portavoce delle posizioni georgiane sul tema. Sottolineando l’imprescindibilità dell’abbandono ricettivo del soggetto nell’esperienza estetica, laddove il momento del “conoscere” segue a quello del “sentire” e non viceversa, Klages intendeva prendere decisamente le distanze dall’estetica di Kant e di Burke: all’impostazione teorica secondo cui il soggetto percipiente nel libero gioco delle sue facoltà si compiace di se stesso nel momento del “godimento” del bello o del sublime, in quello che Adorno ha definito come “sentimento del proprio dominio”3 laddove l’alterità del percepito passa sostanzialmente in secondo piano, Klages contrappone il momento di “imposizione” di tale alterità (fenomenologica) al soggetto recipiente, il quale in questo modo non sarebbe nella posizione di poterne disporne volontariamente e coscientemente, ma appunto la “subirebbe”. La presa di coscienza del percepito nel momento estetico, ovvero di un determinato “contenuto” dell’opera d’arte, il quale indubbiamente c’è, rappresenta nell’ottica di Klages un secondo momento a sua volta alquanto problematico.
L’esperienza estetica sottintenderebbe dunque un coinvolgimento “totale” del soggetto percipiente in quanto anima contemplante e “Leib”. Moretti ha messo compiutamente in evidenza questo punto, evidenziando per altro la differenza di Klages dai “cosiddetti irrazionalisti”, sulla base del paradigma del sentimento: nel momento in cui Klages “non contrappone il sentimento alla conoscenza” afferma “una corporeità sensibile, un sentire originario e profondo”, ovvero “quel sentire che nasce dal legame corpo-anima ancora non attaccato dallo spirito. La rivendicazione di un simile sentire, sul quale non solo poggia per Klages la conoscenza ma che è esso stesso scaturigine della conoscenza, acquista ai nostri occhi il significato di una affermazione dell’apprensione estetica del reale poggiante proprio sulla realtà di anima del sentire4. Se il vero artista è colui che “si serve del ritmo del suono del colore e della forma per rivelare segreti intimi comprensibili soltanto a pochi”5, la vera arte implicherebbe dunque su queste basi un’esperienza quasi “aptica”, senz’altro non meramente intellettiva. Questo discorso non riguarda naturalmente soltanto l’artista, ma anche il soggetto percipiente dinanzi all’opera. La vera arte infatti sarebbe in grado di “muovere” – termine che ormai abbiamo imparato a conoscere nelle sue diverse implicazioni nella “Ausdruckskunde” di Klages – colui che ne usufruisce o meglio colui che da essa viene investito con una dirompenza anche fisica. L’espressione artistica autentica, si legge in Aus einer Seelenlehre des Künstlers:
accende in noi il desiderio di portare alla luce qualcosa di immenso. In noi vengono scosse profondità sonnecchianti. Noi ci risvegliamo dalla vita quotidiana come da una morta glaciazione dei più potenti flutti del nostro intimo. Sbalorditi crediamo di scoprire nuove forze e prendiamo coscienza di una tensione insolita. Queste scosse e questa lotta sono la battaglia condotta contro il genio dell’artista – ma è una battaglia inebriante. L’arte scalda con la sete di vita e di grandi sentimenti e questo è l’effetto più grande che poeti e artisti possano augurarsi.6
Sulla base della distinzione ricorrente in quasi tutte le opere di Klages, a volte esplicitamente a volte meno, tra “vivere” e “esistere”7 (Seneca), laddove è al “Leben” che spetta il valore “vitale animico” che ormai conosciamo, Klages non esita ad affermare che l’artista è “soprattutto colui che ama la vita – la vita e i suoi stimoli”8 – esattamente come Goethe nell’accezione che abbiamo analizzato. La revisione klagesiana dell’estetica tradizionale va pertanto letta su questo presupposto, ovverosia nell’intento di correggere taluni errori considerati “fatali” consolidatisi via via nel tempo, quali: 1) la “sopravvalutazione della materia, del contenuto”9, 2) l’eccessiva concentrazione sulla forma e la confusione tra contenuto profondo e concezioni panteistiche, naturalistiche10, deterministiche, e infine 3) l’attribuzione di valori etici alla dimensione artistica in conseguenza della quale “si credette di dover esigere dall’opera d’arte effetti nobilitanti attribuendo all’artista scopi educativi”11.
Ci sembra difficile non riconoscere anche in questo caso l’impronta di Nietzsche, soprattutto della Nascita della tragedia, laddove il filosofo accusava una concezione errata del “fenomeno estetico originario” che l’uomo moderno avrebbe reso “complicata e astratta”12. Ciò che tuttavia distingue l’impostazione klagesiana della questione da quella nietzschiana è che su queste basi la dimensione estetica rappresenta per Klages, si potrebbe dire, una sorta di possibilità di riscatto nei confronti della supposta apocalissi seguente all’avvento del “Geist”; in altre parole si tratta dell’ultimo ambito nel quale all’uomo sarebbe possibile rapportarsi alle immagini originarie senza l’intervento della volontà e del pensiero concettualizzante e dividente in un coinvolgimento totale di anima e corpo. Tale impostazione è naturalmente comprensibile soltanto tenendo conto della Fenomenologia e dalla “Scienza dell’espressione” klagesiana. Una scienza estetica impostata sulla funzione primaria del soggetto percipiente e conoscente, infatti, misconoscerebbe il momento della contemplazione patica dell’immagine fenomenica, opponendo un presunto “Schein” (apparenza) – palese riferimento a Nietzsche – le cui condizioni sarebbero appunto poste, fatalmente, dal soggetto volitivo:
maturata nell’ambito della logica, l’estetica riconduce il suo oggetto, il contenuto del mondo fenomenico del quale è alla ricerca, ad una realtà delle cose da essa stessa presupposta, incorrendo in tal modo nel tragico errore di ritenere che la cosa indagata e da indagare abbia la forma di un’apparenza (Schein) le cui condizioni originanti vanno ricercate nel soggetto.13
Franz Tenigl, quale profondo e appassionato esperto della Fenomenologia di Klages, ha indagato tanto l’atteggiamento “emotivo” di Klages nei confronti dell’arte, quanto le basi teoriche che vi stanno alla base spiegando come l’arte in generale, su questi presupposti, non vada individuata nell’ambito dell’ideale, quanto piuttosto in quello del loro “carattere fenomenico”. La “sentenza” secondo cui l’arte produrrebbe qualcosa di non concretamente visibile, viene secondo Tenigl interpretata erroneamente “se si sostiene che il non essere visibile sia un qualcosa che vada al di là dei sensi, di qualcosa oltre, di qualcosa che abbia a che fare con il pensiero o l’ideale”. Pertanto l’essenza, quanto l’origine dell’opera d’arte non andrebbero ricercate nelle “caratteristiche accertabili oggettivamente, e neanche in ciò che è visibile, ossia in ciò che viene visto; tanto meno poi in qualche idea che possiamo derivare dall’opera d’arte, ma esclusivamente nel carattere fenomenico, che è allo stesso tempo il senso del fenomeno”14. Queste riflessioni ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Circa L’autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. Dedica
  7. Introduzione
  8. I. Espressione
  9. II. Movimento
  10. III. Poesia tra “espressione vitale” e “movimento animico”
  11. Sigle e opere di klages
  12. Bibliografia delle opere citate e consultate
  13. Filosofie