Capitolo II
Dalla metafisica primordiale
al Lume Triradioso
Tanto il drammatico cammino di uscita dalla scepsi – ripercorso attraverso quella “esemplare ricerca della verità colta nel suo valore logico, gnoseologico, ontologico e salvifico, come cammino verso la sapienza dell’amore” che è La colonna e il fondamento della verità – quanto la riflessione sui possibili frutti dell’allargamento della ragione, ci hanno condotto all’affermazione del sacro mistero della Trinità quale vertice ontologico supremo. La Trinità è stata colta come punto di arrivo del cammino di teodicea, come postulato del percorso conoscitivo-esistenziale che esige il superamento dello sdoppiamento del singolo e della cultura dell’epoca. In Essa abbiamo dunque scoperto il concreto presupposto ontologico e il principio primo di tutto ciò che esiste, il fondamento originario dell’autenticità della persona e della cultura.
Ora, in vista di compiere il passo conclusivo, che sempre seguendo Florenskij ci condurrà a tentare di lanciare uno sguardo nello splendore del Lume Triradioso, e quindi al completo superamento del raziocinio, dobbiamo tornare nuovamente all’ultima pagina delle sue memorie per cercare di individuare alcune radici che ricollegano il suo pensiero trinitario alla primordiale filosofia dei popoli. Questo ci permetterà di riprendere alcuni elementi a cui abbiamo già fatto riferimento nella seconda parte del nostro volume, lì dove abbiamo riflettuto sull’impostazione fenomenologica del metodo florenskijano e sulla vicinanza tra la visione del mondo di padre Pavel e l’esperienza originaria dell’homo religiosus che egli riprende e prolunga. Nel tentativo di ampliare quanto già sviluppato in altro luogo circa la forma particolare assunta dal platonismo nel pensiero di Florenskij, cercheremo di mettere in evidenza alcuni elementi riguardanti soprattutto la dinamica per cui l’esperienza religiosa del vero conducesse già l’uomo antico ad una sorta di intuizione profetica del mistero della Trinità. È infatti nell’ampio spazio della cultura primordiale, spesso ancora avvolto dalla coltre nebulosa del tempo, quando non dei pregiudizi, che Florenskij rintraccia alcuni segni anticipatori della Teofania trinitaria, che dopo la sua conversione è divenuta la colonna di ogni suo sforzo e pensiero. Infatti, pur non perdendo il loro intrinseco valore religioso, le antiche intuizione troveranno ovviamente conferma soltanto all’interno della Rivelazione.
2.1 “E loro?” L’ontologia arcaica e la filosofia dei popoli
Al culmine del proprio dissidio personale, in quell’estate del 1899, quando una flebile speranza aveva cominciato a baluginare come una piccola luce lontana che in piena notte indica una possibile meta, il giovane Pavel – che pure ha ricevuto come notizia il nome di Dio – non sa ancora dove far presa con i propri piedi infermi per spiccare il salto della fede. “Mi era chiara la necessità di costruire un mio pensiero […]. Tuttavia non potevo immaginarmi nemmeno orientativamente quale direzione avrebbe dovuto prendere il mio lavoro, né da dove cominciare; quel che avevo a disposizione non mi pareva avere nulla a che spartire con quel progetto”. Potrà sembrare in prima battuta strano, o per lo meno insolito, ma la risposta a questo quesito impellente, quella grande intuizione che darà a Florenskij le forze per compiere il passo della fede – rispondendo così definitivamente ad ogni sdoppiamento –, è semplicemente la risposta che le innumerevoli schiere dei popoli hanno dato da sempre nella loro religiosità elementare.
La decisione venne da dove meno me la sarei aspettata. La sua fonte fu quella scepsi riguardo alle convinzioni e alle dottrine umane di cui mio padre mi aveva permeato e di cui ero stato nutrito sin dall’infanzia. “La verità è la vita” mi ripetevo più volte al giorno; “senza verità non si può vivere. Senza verità non c’è esistenza umana”. Era lampante, ma su queste e altre considerazioni simili il mio pensiero si bloccava, incocciando ogni volta contro qualche ostacolo invalicabile. Un giorno, di colpo, sorse spontanea una domanda: “E loro?”. E con quella domanda il muro fu abbattuto. “E loro, tutti quelli che esistono e che sono esistiti prima di me? Loro, i contadini, i selvaggi, i miei avi, l’umanità in genere: davvero sono esistiti ed esistono senza la verità? Oserò dunque sostenere che gli uomini non abbiano avuto e non abbiano la verità, e che dunque non siano vivi e non siano uomini?”
Il muro del dubbio, dell’ottusità e della paralisi, il muro che come nella caverna platonica separava il mondo delle fredde e scientifiche ombre fenomeniche dal mistero delle calde e splendenti realtà noumeniche, crolla in un attimo. Si sbriciola per il prendere corpo di quel senso di unione e fratellanza, di intima parentela per il quale ciascuno di noi, nella profondità della propria coscienza – e in maniera del tutto incomprensibile per il razionalismo – si riscopre legato a tutti coloro che ci hanno preceduto nella religiosità della medesima esperienza. Florenskij ritorna a quella grande intuizione, che si rivelò lo spartiacque decisivo nella sua vita, anche nelle lezioni tenute all’Accademia Teologica.
Eppure, nell’anima, c’era una fede recondita: la Verità non può non esistere […]. E se per la vita è indispensa...