Pierpaolo Ascari
Il lavabo
Bloch, Benjamin, Kracauer
e la cancellazione delle tracce
Secondo Freud sarebbe proprio nella dimensione domestica che gli oggetti della quotidianità o della coscienza possono generare una profonda insicurezza, quel perturbante al quale soltanto una riflessione estetica non più limitata alla teoria del bello ma finalmente estesa alle “qualità del nostro sentire” avrebbe saputo procurare una definizione adeguata (Freud 1919; tr. it. 1991). In una prospettiva più contemporanea, la critica femminista doveva poi evidenziare come a volte la casa non coincida affatto con un ambiente protetto, ma possa piuttosto delimitare uno spazio caratterizzato dal controllo e dallo sfruttamento, dove anche il rapporto più intimo con gli oggetti tenderà a risultare tanto abusivo da rinviare alla condizione dei senzatetto (Bennett 2011; Pilkey, Scicluna, Gorman-Murray 2015). Viceversa, ha scritto Mary Douglas, “si può essere felici in un hotel o in un campo di transito, che però rimangono non case [nonhomes]” (Douglas 1991, p. 289). Tuttavia, a fornire una sintesi tra lo spaesamento sempre in agguato tra le mura domestiche e il rapporto non più antitetico che si verrebbe a creare tra le abitazioni e i luoghi del transito, aveva già provveduto Ernst Bloch nelle pagine iniziali di Spirito dell’utopia, laddove scriveva: “Non v’è più uomo che sappia che cosa sia l’abitare durevole e che riesca a rendere calda e solida la propria casa” (Bloch 1923; tr. it. 2004, p. 19).
Solo pochi mesi separano la prima edizione del libro di Bloch (1918) dal saggio di Freud sul perturbante, ma le modalità in cui entrambi sembrano reagire alla Grande Guerra risultano molto differenti. Freud rintraccia l’incombenza di un’energia distruttiva nella grammatica senza storia dell’inconscio, mentre Bloch rimane probabilmente fedele alla lezione di Georg Simmel, per quanto siano esattamente la “svolta nazionalista” e l’interventismo del maestro ad aver causato la rottura del loro rapporto (Münster 2001; tr. it. 2014, pp. 51-59). Proprio Simmel, infatti, aveva provveduto ad affrontare il problema di quanto l’economia monetaria e l’esperienza storica della metropoli convergessero nella creazione di un mondo in cui viene smarrito “il nocciolo delle cose, la loro particolarità, il loro valore individuale, la loro imparagonabilità. Le cose – aveva concluso – galleggiano con lo stesso peso specifico nell’inarrestabile corrente del denaro” (Simmel 1903; tr. it. 1995, p. 43). L’impossibilità di rendere calda e solida la propria casa, quindi, avrebbe origine in un processo ugualmente orientato alla cancellazione di qualunque particolarità, della quale viene descritta la realizzazione attraverso il ricorso alla medesima metafora.
Scrive Bloch:
La macchina è riuscita a rendere ogni cosa inanimata e subumana nel particolare come lo sono nel complesso i nostri nuovi quartieri. Sua autentica meta sono la stanza da bagno e il gabinetto, le realizzazioni più indiscutibili e originali del nostro tempo, esattamente come i mobili rococò e le cattedrali del gotico erano nella loro epoca le opere d’arte rappresentative che determinavano tutte le altre. Ma oggi regna sovrana la lavabilità. È come se l’acqua scorresse dalle pareti ovunque e in ogni modo, e l’incanto dei moderni impianti sanitari entra impercettibilmente, come apriori della merce meccanica finita, anche negli odierni prodotti industriali più pregiati e accurati (p. 20).
L’acqua che scorre è la stessa sulla quale le cose galleggiano indistintamente, private di qualunque caratteristica, ma se per un verso il principio della lavabilità si lega all’apriori della merce e alla filosofia del denaro di Simmel, per un altro conviene associarlo al dibattito più specifico nel quale lo stesso Bloch intende intervenire, quello relativo al rapporto tra la forma e la funzione (Mecacci 2012, pp. 73-106). In particolare, è molto probabile che il riferimento polemico della stanza da bagno e del gabinetto vada già rintracciato nel celebre articolo del 1908 con il quale Adolf Loos aveva messo al bando la sopravvivenza di qualunque elemento non immediatamente funzionale, che equiparava a un incidente lombrosiano nella ricapitolazione della filogenesi.
Scriveva Loos:
Si può misurare la civiltà di un popolo dal grado in cui sono sconciate le pareti delle latrine. Nel bambino è una manifestazione naturale: scarabocchiare le pareti con simboli erotici è la sua prima espressione artistica. Ma ciò che è naturale nel Papua e nel bambino è una manifestazione degenerata nell’uomo moderno. Io h...