FABIO CIABATTI
L’EROE SMASCHERATO EPPURE RIVENDICATO
Dal mito all’utopia passando per Hollywood, il romanzo e la cultura popolare
1.1 L’eroe smascherato
Luke Skywalker, il protagonista della prima trilogia di Guerre stellari, combatte con un’arma laser, ma questa altro non è che una spada con un fascio di luce tagliente al posto della lama metallica. Skywalker pilota una navicella spaziale dalla quale deve lanciare un missile per distruggere la mortale base dei suoi nemici ma, nel momento fondamentale della battaglia, abbandona i sistemi di puntamento computerizzati e si fa guidare, per centrare il bersaglio, dalla misteriosa “forza” che pervade l’intero universo. Skywalker si batte per ristabilire le istituzioni democratiche della repubblica galattica distrutta dal tirannico impero, ma lo può fare solo in quanto possiede i poteri dei cavalieri Jedi, un antico ordine cui si può accedere solo se predestinati. Luke Skywalker, uno degli eroi di maggior successo che Hollywood abbia mai concepito, ci appare dunque come un riuscito mix tra elementi iper-moderni e componenti arcaiche. Alla luce di questo esempio ci possiamo chiedere: che differenza c’è tra l’eroe delle moderne narrazioni e quello degli antichi miti?
Non molta stando a una delle guide al mestiere di sceneggiatore più diffuse di Hollywood. Christopher Vogler nel suo libro Il viaggio dell’eroe utilizza la struttura del racconto mitologico, così come illustrata ne L’eroe dai mille volti di Joseph Campbell, per spiegare agli aspiranti scrittori di copioni cinematografici l’articolazione essenziale di ogni possibile storia. Hollywood è la macchina per la produzione di immaginario più potente che sia mai esistita. Che bisogno ha di ricorrere a un modello così lontano e apparentemente inattuale? Il problema che poniamo non è evidentemente di natura filologica. Quello che ci interessa capire è l’uso dell’eroe mitologico, al di là del fatto che sia più o meno fedele all’originale. Il presupposto da cui partiamo è che le narrazioni hollywoodiane funzionano a livello planetario e sono in grado di affascinare e coinvolgere spettatori che appartengono anche a culture profondamente diverse da quella che gli hanno dato i natali. Anche per questo motivo Vogler non si nasconde dietro un dito nel descrivere l’importanza del suo testo: “Il viaggio dell’eroe si proponeva come una guida pratica per gli scrittori, ma può anche essere letto come una guida alle lezioni di vita attentamente costruite nelle storie di tutti i tempi”. Si tratta insomma di “un libretto di istruzioni completo per la vita”.
A partire dalle domande che abbiamo appena formulato intraprenderemo un percorso in tre tappe. La prima avrà un’attitudine sostanzialmente critica, decostruttiva, nei confronti della figura dell’eroe moderno, inteso soprattutto come immagine trasfigurata dell’individuo borghese nonostante i suoi mille volti mitologici. La seconda andrà alla ricerca di un altro eroe possibile, facendo riferimento, tra l’altro, all’arsenale narrativo della cultura popolare. Nella terza, infine, vedremo in che modo sia possibile rivendicare la figura dell’eroe a un immaginario antagonista allo stato di cose presenti.
1.2 Epica e romanzo
È davvero possibile estrarre dalle storie di tutti i tempi una lezione di vita per i nostri tempi? Ed è proprio questo il segreto del successo delle storie raccontate da Hollywood? I primi dubbi su questa ricostruzione possono nascere constatando che l’eroe moderno, l’eroe borghese, secondo una consolidata tradizione critica, si costituisce in opposizione a quello epico. Per György Lukács, per esempio, il romanzo rappresenta un mondo abbandonato da Dio. Nell’età dell’epos, l’anima che va in cerca di avventure “non mette mai in gioco se stessa; non sa ancora di potersi perdere e non la sfiora l’idea di doversi cercare”. Ma c’è di più. “A rigore l’eroe dell’epopea non è mai un individuo” perché l’oggetto dell’epos “non è un destino personale, ma il destino di una comunità”. Il romanzo moderno è invece contrassegnato da due realtà che si condizionano a vicenda: l’individuo problematico e il mondo contingente. Il romanzo è la forma dell’avventura interiore di un’anima che si mette in cammino per mettersi alla prova, trovare se stessa e confermare la propria essenzialità. Ma in questa ricerca si scontra con una contraddizione invalicabile: “il senso non sarà mai in grado di pervadere senza residui la realtà, salvo però che questa, senza quello, andrebbe a dissolversi nel nulla dell’inessenziale”.
Proseguendo nella nostra breve disamina dei rapporti tra epica e romanzo ci imbattiamo in Michail Bachtin. Per l’autore russo il romanzo è la prima forma artistica che si apre al presente e alla sua incompiutezza, mentre l’epica si situa in un “passato assoluto”. È un tempo che non ha bisogno di alcun futuro in quanto perfetto, compiuto. È il tempo dell’origine, fonte di ogni bene che non può essere oggetto di conoscenza critica ma può soltanto essere rammemorato con venerazione. Parallelamente l’eroe dell’epica è un tutto compiuto che è diventato ciò che doveva essere. In lui parvenza ed essenza, interiorità e esteriorità coincidono. Il modo in cui guarda a se stesso non differisce da quello in cui lo guardano gli altri. Il romanzo, al contrario, vive nel presente che per la sua connaturata incompiutezza apre al futuro. Allo stesso modo è incompiuto il suo protagonista che spesso è inadeguato al suo destino. In esso rimangono sempre potenzialità irrealizzate ed esigenze inattuate.
1.3 Il duplice viaggio dell’eroe
Abbiamo visto che identificare una comune matrice per gli eroi di tutti i tempi non è per nulla scontato. Rimangono però aperte le domande iniziali. Perché le narrazioni contemporanee prendono come modello gli eroi antichi? E come è possibile che, almeno a livello commerciale, questo modello funzioni così bene? Rivolgiamoci dunque a Campbell.
Questa struttura viene interpretata da Campbell in due modi diversi che hanno però lo stesso punto di arrivo: la conciliazione tra l’eroe e il mondo. In primo luogo, si tratta di un viaggio di iniziazione in senso proprio: l’individuo muore e rinasce nell’accettazione del ruolo da adulto che gli viene imposto dalla società, confermando l’appartenenza dell’individuo al gruppo. Il concetto tradizionale di iniziazione associa l’apprendimento di tecniche, di doveri e prerogative della propria missione, da una parte, e la liberazione da tutte le inopportune fissazioni infantili, dall’altra. Gli antichi riti di passaggio insegnano all’individuo a staccarsi dal proprio passato e a nascere una seconda volta; le cerimonie di iniziazione lo spogliano della sua personalità per vestirlo con il manto della propria vocazione.
In secondo luogo la funzione dei riti e dei miti è quella di facilitare il passaggio, attraverso l’analogia, dalla caotica molteplicità in cui sono intrappolate le forme della sensibilità e del pensiero umano all’essenziale unità del cosmo. Le strutture visibili del mondo sono infatti gli effetti di un potere onnipresente dal quale sorgono e nel quale devono infine dissolversi. Attraverso le pratiche religiose l’individuo si libera da ogni attaccamento alle proprie limitazioni personali, speranze e paure, ed è pronto finalmente alla grande conciliazione. In questa seconda accezione, l’avventura dell’eroe è innanzitutto un viaggio spirituale. Il mondo degli dei è una dimensione inconscia del mondo che, propriamente, viene riscoperto.
In realtà, parlando di una struttura unica che accomuna tutte le storie, Campbell finisce per sovrapporre queste due accezioni. Attribuendo così un significato spirituale universale al racconto che rappresenta in forme leggendarie il rito di iniziazione, questo può essere liberato dalla sua specificità storico-sociale. Ciò rende possibile, nei testi di Campbell, il ricorrere di una comparazione tra i riti di iniziazione delle società premoderne e i processi di formazione nella società moderna. E questa analogia si risolve, in ultima analisi, nel tentativo di recuperare gli insegnamenti dei miti per colmare le mancanze proprie dei processi di formazione contemporanei che sono privi, a suo dire, di adeguati riti di passaggio. Per essere più precisi Campbell, di fronte a questa mancanza, oscilla tra due posizioni: da una parte, gli antichi miti possono ancora avere ancora una funzione pedagogica; dall’altra, la società moderna ha bisogno di nuovi miti.
1.4 Il romanzo di formazione e la sua deformazione
A ben vedere, iniziazione premoderna e formazione moderna sono due cose esattamente opposte. Analizziamo dunque questo fenomeno moderno attraverso le lenti del romanzo di formazione ottocentesco, utilizzando quanto scritto da Franco Moretti sull’argomento. Comprendere questo processo e i suoi fallimenti ci aiuterà a capire per quale motivo sia possibile tornare a proporre modelli antichi di formazione della soggettività. Ma su questo punto torneremo più avanti. Per ora limitiamoci a osservare, insieme a Moretti, che nei riti di iniziazione l’individuo è introdotto in un ruolo che gli preesiste immutabile e di fronte al quale le ragioni del singolo devono restare mute. La socializzazione moderna, come viene narrata nel romanzo ottocentesco è, al contrario, un processo che incoraggia un momento dinamico, giovanile, soggettivo, un “di più” rispetto all’autorità immediata.