Il futuro del passato
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I Punica di Silio Italico e lo sviluppo dell'epica storica romana

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I Punica di Silio Italico e lo sviluppo dell'epica storica romana

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Alla fine del I secolo d.C., durante il regno degli imperatori della dinastia flavia (69-96 d.C.), i Punica rivisitano un evento antico e "inattuale", legato alla fase più gloriosa dell'espansione politico-militare della res publica romana nel Mediterraneo: la vittoria contro Cartagine e Annibale. Ma l'intenzione di Silio Italico non è soltanto quella di offrire una nostalgica rievocazione del passato, all'insegna del gusto per l'erudizione antiquaria. Le virtù morali e civili che il popolo romano e i suoi più illustri rappresentanti avevano dimostrato nella circostanza sono, infatti, le stesse che hanno favorito la rinascita di Roma dopo la crisi dell'età neroniana e che potranno garantire un futuro stabile all'impero. Allo stesso modo, mentre – attraverso il grande "filtro" dell'Eneide – si collegano all'opera di fondatori della letteratura romana quali Nevio ed Ennio, i Punica di Silio Italico indicano una possibile nuova strada all'epica celebrativa di argomento nazionale.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857571720

CAPITOLO 1

UNA GUERRA CONTRO LA STORIA
Interpretazioni conflittuali del passato, tra Roma e Cartagine
*

1. Una prova difficile, ma necessaria
La rapida avanzata di Annibale nel cuore dell’Italia possiede un particolare rilievo nel racconto di Silio Italico, che dedica i primi dieci dei diciassette libri dei Punica alla trattazione degli eventi compresi tra il 218 e il 216, l’anno della battaglia di Canne1. I presupposti estetico-ideologici di una scelta che privilegia, di fatto, la rappresentazione delle sconfitte più brucianti subite da Roma nella penisola2 sono stati individuati nella tendenza (che Silio condivide con Livio, ma che era già stata elaborata dalla cultura romana di età tardo-repubblicana) ad esaltare il significato della seconda guerra punica come momento di svolta epocale: la prova più difficile affrontata da una comunità ambiziosa, che facendo appello a tutte le sue risorse umane, morali ed economiche era riuscita a ribaltare una situazione disperata, ottenendo un’affermazione che l’avrebbe portata a ricoprire un ruolo egemone nel Mediterraneo3.
La serie di cruente battaglie, che nella prima fase della guerra si succedono con ritmo incalzante davanti agli occhi del lettore, mette in risalto l’efficacia della macchina militare cartaginese e le qualità indiscutibili del suo condottiero. La figura solitaria di Annibale fa retrocedere in secondo piano quelle dei consoli romani che per diversi libri (dal 4 al 10) si alternano, per lo più con esito disastroso, nel tentativo di opporgli resistenza. A questi ultimi, d’altra parte, non si può rimproverare mancanza di coraggio o di valore: l’unica eccezione, probabilmente, è il Terenzio Varrone di Canne, perché in precedenza anche un generale demagogo, ambizioso quanto imprudente, come Gaio Flaminio, condottiero dell’esercito romano al Trasimeno, era comunque morto con le armi in pugno4. Prima di loro, Publio Cornelio Scipione padre, benché protagonista sfortunato al Ticino e al Trebbia, aveva compiuto imprese presentate con tratti addirittura meravigliosi, in omaggio alla tradizione omerica (e non virgiliana) di un epos aperto anche all’inverosimile fiabesco5.
Infine, l’eroico comportamento del console Emilio Paolo a Canne costituisce, addirittura, una sublimazione del gesto dell’autosacrificio: vittima incolpevole della scriteriata frenesia bellicista di un collega inetto (il Varrone di cui sopra), Paolo è costretto dal precipitare degli eventi a rinunciare alla prudentia strategica – una dote che lo distingue da Flaminio o dallo stesso Scipione padre, e la cui validità era stata poco prima dimostrata da Fabio Massimo –, immolando se stesso al fine di ritardare quantomeno la vittoria di Annibale (10,292 ss.).
Silio Italico, insomma, non risparmia alcuna delle risorse in suo possesso per addensare il pathos della tragedia, da cui deve programmaticamente risaltare e contrario il significato didattico ed emblematico delle sconfitte romane. Al contempo, tuttavia, il testo si preoccupa di relativizzare gli effetti di un quadro potenzialmente desolante evidenziando a più riprese il saldo e provvidenziale controllo esercitato da Giove sull’intera vicenda. Dopo aver rassicurato Venere, all’immediata vigilia della campagna militare di Annibale in Italia (3,571 ss.)6, il dio supremo prende nuovamente la parola a seguito della sconfitta al Trasimeno (la terza in ordine cronologico, dopo quelle subite al Ticino e al Trebbia) per sancire l’inviolabilità di Roma (6,600 ss.); e poi ancora, durante la battaglia di Canne, per annunciare l’avvento ormai imminente del giovane Scipione (9,543 ss.); fino al momento in cui – insieme agli altri abitatori del nuovo Olimpo (identificato nei colli di Roma, dove hanno sede i rispettivi templi delle divinità) – egli ingaggia addirittura personalmente una battaglia vittoriosa in cui respinge il “titano” cartaginese (12,605 ss.).
La rappresentazione delle divinità impegnate direttamente a combattere Annibale, e ad allontanarlo da Roma prima e poi dall’Italia, non costituisce solo una simbolica raffigurazione (e la prova tangibile) dell’ormai prossimo rovesciamento delle sorti della guerra, ma significa più in generale la garanzia provvidenziale del compimento di una profezia: quella, precedente di alcuni secoli la nascita di Roma, che assegna all’Urbe un imperium sine fine. Perciò a giocare contro Annibale non c’è solo il futuro immediato di questo conflitto, destinato a evolversi in un senso a lui sfavorevole. La seconda guerra punica costituisce la tappa fondamentale di un percorso che trova i suoi presupposti nel passato della città, da quello remoto delle origini, fino a quello più recente del primo conflitto con Cartagine. Ed è proprio questo “ritorno del passato”, la valorizzazione della sua permanente efficacia, che nel testo di Silio caratterizza la lunga e angosciosa attesa di una svolta, contribuendo a smorzare l’oscurità dei momenti più difficili e a dare idealmente ai protagonisti romani e al lettore il coraggio di resistere e sperare nel futuro.
I Punica tematizzano, dunque, il ruolo del passato come fattore in grado di condizionare concretamente la realtà presente, ma anche di anticipare il futuro. Nel corso del poema troviamo diversi casi in cui la rievocazione di eventi storici precede – e, al tempo stesso illustra, quasi talvolta giustifica, motiva – una svolta negli avvenimenti. Tale rievocazione è affidata a segmenti digressivi – descrizioni di oggetti, racconti interni di personaggi – che esprimono una dialettica di posizioni e di interpretazioni: del passato così come del presente, in quanto retaggio di quel passato. Anche questo può rivelarsi, alla fine, un modo di ribadire la superiorità della causa romana sulla pretesa, vana e velleitaria, di Annibale e Cartagine di modificare un copione già scritto: quello della storia.
2. Rievocazioni del passato e confronto di interpretazioni: i Galli alla battaglia del Ticino
La scelta di un tema antico come la guerra contro Cartagine permette, da un lato, al poeta flavio di avvalersi della tecnica virgiliana di anticipare il futuro dal passato, mediante repentini sguardi in avanti sul domani più prossimo7 e su quello più lontano8. D’altra parte, la stessa scelta gli garantisce anche la possibilità di guardare ulteriormente all’indietro, di prendere cioè spunto dal presente del racconto per individuare in epoche ancora più antiche il verificarsi di situazioni analoghe, in cui Roma – prima di ottenere la vittoria finale – aveva dovuto e saputo, soprattutto, soffrire. L’adozione della tipica prospettiva retrograda dell’epos storico nazionale – che dal presente guarda al passato più o meno recente – torna, dopo l’esperimento dell’anti-epica di Lucano, a presupporre finalità eminentemente celebrative. Tale presupposto favorisce, nei Punica, un recupero selettivo, mirato ed esemplare, anche della storia di Roma che precede la seconda guerra contro Cartagine9.
Un primo esempio concreto per illustrare questo procedimento è offerto al lettore in occasione della prima battaglia di Annibale in Italia, quella combattuta presso il fiume Ticino (218 a.C.), narrata distesamente da Silio Italico nel libro 4 dei Punica (vv. 81-479). Nella circostanza le truppe cartaginesi poterono avvalersi dell’appoggio di contingenti di Galli Boi che risiedevano nella Cisalpina. Agli occhi e alla memoria dei Romani, dunque, si ripresentava un’altra volta l’incubo di un’invasione più antica: accanto ai temibili Cartaginesi, che avevano appena valicato le Alpi, tornavano a combattere ancora quei Galli che quasi due secoli prima (intorno al 390 a. C.), guidati da Brenno, avevano sconfitto i Romani presso il fiume Allia e poi avevano conquistato e saccheggiato la città occupando, al termine di un estenuante assedio, la rocca del Campidoglio10.
Secondo la versione di matrice nazionalistica che dell’evento presenta Tito Livio (Liv. 5,48 s.), la presa e il saccheggio della città sarebbero stati vendicati immediatamente da Marco Furio Camillo, che – a capo di un esercito – era rientrato dall’esilio volontario di Ardea prima ancora che fosse pagato il riscatto chiesto dai Galli per abbandonare l’assedio del Campidoglio11. Dunque Roma, dopo aver dovuto subire l’onta della sconfitta e correre un rischio mortale, alla fine era riuscita a risollevarsi e limitare le conseguenze del disastro. A questo proposito, occorre notare che nei Punica la voce narrante ricorda più volte proprio la sconfitta dell’Allia, come modello addirittura superato dalla gravità delle prime sconfitte subite dai consoli contro Annibale12. Inoltre, sempre nella rievocazione della vicenda, si sottolinea come alla conquista momentanea della rocca capitolina (Sil. 1,625 … Gallisque ex arce fugatis; 6,555 s. … captaeque … / … arcis) avrebbe fatto seguito la riscossa romana13. In ogni caso, nel poema di Silio il narratore esterno non fa alcun cenno all’avvenuto pagamento di un riscatto: dall’unico tangenziale riferimento all’episodio ricaviamo soltanto che la spada gettata da Brenno sulla bilancia14 faceva bella mostra di sé fra i trofei di guerra custoditi nella curia del senato di Roma (Sil. 1,624 s.).
Sempre nei Punica il dettaglio imbarazzante dell’oro che i Romani avrebbero versato ai Galli invasori trova, viceversa, spazio nella propaganda di questi ultimi. Già a Sagunto, per es., la voce di Annibale si era levata verso la nave che portava a Cartagine gli ambasciatori latini, minacciando un nuovo attacco al Campidoglio: questa volta – aveva detto Annibale – ai Romani non sarebbe bastato trovare rifugio “sulle asperità scoscese della rupe Tarpea e nella rocca del Campidoglio”, né essi avrebbero potuto “riscattare la propria vita a peso d’oro”, come avevano fatto con i Galli (2,33 ss. Tarpeios iterum scopulos praeruptaque saxa / scandatis licet et celsam migretis in arcem, / nullo iam capti vitam pensabitis auro).
Più oltre, in occasione della battaglia del Ticino, di quell’antica memoria si fanno portavoce gli stessi Galli aggregatisi ad Annibale appena disceso dalle Alpi (4,143 ss.). Sono proprio loro, i Galli, che durante la prima parte dello scontro sottraggono la ribalta ai Cartaginesi (4,189 s.). Il loro capo, Crisso, nella...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. Dedica
  6. INTRODUZIONE
  7. CAP. 1 – UNA GUERRA CONTRO LA STORIA. INTERPRETAZIONI CONFLITTUALI DEL PASSATO, TRA ROMA E CARTAGINE
  8. CAP. 2 – EPICA, FILOSOFIA DELLA STORIA E LEGITTIMAZIONE DELL’IMPERIUM: LA PROFEZIA DI GIOVE NEL LIBRO 3 DEI PUNICA
  9. CAP. 3 – AD FINEM VENTUM: L’ULTIMO LIBRO DEI PUNICA
  10. CAP. 4 – LO SCUDO E LA SPADA. Q. FABIO MASSIMO E M. CLAUDIO MARCELLO
  11. CAP. 5 – LO SPETTACOLO DELLE VIRTÙ NEL GIOVANE SCIPIONE
  12. BIBLIOGRAFIA