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Guerra fredda e geopolitica: George Kennan da Stalin a Putin

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Guerra fredda e geopolitica: George Kennan da Stalin a Putin

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Da Stalin a Putin, nei suoi centouno anni di vita George F. Kennan è stato dapprima l'eminenza grigia della politica estera americana e poi il suo critico più autorevole, pur restando sempre ben addentro agli arcana imperii di Washington. Oggi il mondo pericoloso del XXI secolo, i rapporti fra Occidente e Russia e le sfide della geopolitica si possono leggere alla luce delle analisi e delle prescrizioni di Kennan, affiancate da quelle di Henry Kissinger, di Niall Ferguson e degli altri esponenti della corrente "realista" delle relazioni internazionali.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857573212

SCHERZARE COL FUOCO: LA DIPLOMAZIA NUCLEARE

“Il genere umano non può sopportare troppa realtà” diceva Thomas Stearns Eliot. Dopo essere vissuti per decenni sotto la cappa di piombo di una guerra nucleare totale fra America e Russia che rischiava di scoppiare da un momento all’altro, abbiamo rimosso quel pensiero dal novero delle nostre preoccupazioni più urgenti, non appena l’Urss è crollata, e collettivamente ne abbiamo derubricato i residui a questione tecnica, da delegare ai diplomatici che si occupano di disarmo per mestiere.
Ma è un abbaglio. I consigli alla cautela, appena rievocati, di Ferguson e di Kissinger nei rapporti con la Russia nel XXI secolo, sono anche dovuti alla constatazione che il rischio di uno scambio di colpi atomici in Europa e nel resto del mondo non è affatto scomparso, e che l’incubo di una crisi europeo-orientale che scappa di mano come nel 1914, ma stavolta con migliaia di testate nucleari pronte al lancio, grava ancora e sempre su di noi. Né Ferguson né Kissinger né Kennan hanno mai sostenuto che a quell’incubo si possa sfuggire con il disarmo unilaterale o sfilando in piazza e gridando “pace, pace”, ma il problema nucleare non ha mai smesso di essere al centro delle loro preoccupazioni in tema di Russia e li ha sempre indotti a sconsigliare le provocazioni a Mosca e la retorica anti-russa, o più personalmente anti-Stalin o anti-Putin, a cui una parte dell’opinione pubblica occidentale sembra talvolta incline. Non si scherza col fuoco. Trattandone, nello specifico, in relazione a Kennan, è il caso di tornare all’origine del problema delle armi atomiche, un’origine che per la Storia non è avvenuta in un vuoto politico ma è stata inestricabilmente legata ai rapporti dell’Occidente col Cremlino; poi quella specifica origine ha continuato a proiettare la sua ombra sulle varie guerre fredde con la Russia succedutesi dagli anni ’40 a oggi.
Il peccato originale, ammesso che tale si possa definire, non sta nell’invenzione delle armi atomiche presa in sé; quella era inevitabile, perché è discesa in automatico dal progresso delle conoscenze della fisica delle particelle. E non sta neanche nel fatto che gli americani abbiano poi tecnicamente realizzato la bomba, anziché scegliere la via di una virtuosa astensione, semplicemente perché l’opzione “no grazie” sarebbe stata impraticabile: Fermi, Oppenheimer e Einstein sapevano perfettamente che i nazisti stavano lavorando alle loro proprie armi atomiche (per fortuna con la ricetta fallimentare dell’acqua pesante) e a quella sfida non si poteva non rispondere. Questo è un punto fermo.
Tuttavia, era già opinabile che le armi atomiche fossero necessarie per piegare il Giappone, e ancora più discutibile che le si dovesse far esplodere su Hiroshima e Nagasaki con il preciso scopo di lanciare un segnale all’Urss e avviare generazioni di equilibrio del terrore; questa scelta, se davvero fosse stata fatta con tale criterio, come molti storici sono ormai orientati a ritenere, gettò le basi della corsa agli armamenti nucleari e precluse l’alternativa della dissuasione minima e della rinuncia al “first use” della bomba che invece George Kennan ha perorato invano per decenni.
Riportiamo le lancette della Storia alla metà del 1945 e alle varie opzioni che si presentavano agli americani per sconfiggere i giapponesi. La vulgata dice che il Giappone avesse ancora la volontà e i mezzi necessari a combattere fanaticamente fino all’ultimo uomo e che per gli americani lo sbarco sull’arcipelago si prospettasse troppo sanguinoso e costoso; da qui sarebbe discesa l’inevitabilità del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Il presidente Truman dichiarò (e una parte della storiografia continua a sostenerlo) che quel duplice attacco atomico fosse, senza ironia, un’iniziativa umanitaria, destinata a risparmiare vite americane e giapponesi in numero ben superiore a quante ne avesse materialmente spente sul momento.
Le tesi di Truman sono state tuttavia vivacemente contestate, fin dal primo momento, da militari americani di primissimo piano come Eisenhower e MacArthur, e in seguito da un numero crescente di storici che ne ha messo in dubbio le reali motivazioni. È stato sottolineato, fra l’altro, che già prima del bombardamento di Hiroshima la distanza fra la concezione americana di resa senza condizioni e quella giapponese di pace negoziata si era praticamente annullata1: nel luglio del 1945 il Giappone tramite l’ambasciata a Mosca (Tokyo non fu in guerra con l’Urss fino all’8 agosto) tentò disperatamente di arrendersi agli Stati Uniti ponendo l’unica condizione di preservare la monarchia; Stalin sottopose personalmente a Truman le richieste giapponesi il 28 luglio alla conferenza di Potsdam. Quanto a Truman, aveva già espresso l’opinione che nell’ambito della formula della resa incondizionata l’America avrebbe potuto impegnarsi, unilateralmente, alla preservazione delle istituzioni imperiali giapponesi, e questo è proprio quello che fece l’11 agosto dopo Hiroshima e Nagasaki, quando sollecitò la resa che il Giappone accettò il giorno 14. Non sembra dunque che fra il governo americano e quello giapponese esistesse alcun divario riguardo ai termini di una possibile pace già prima di Hiroshima; in effetti, alla luce di queste considerazioni è difficile spiegare perché in quei giorni si continuasse a combattere, e perché il bombardamento atomico si sia reso necessario.
Inoltre, l’opinione di Truman che la bomba fosse indispensabile a piegare il Giappone non era condivisa, sul piano tecnico, dai vertici militari angloamericani. Lo storico Gar Alperovitz rileva addirittura che “prima che l’arma atomica venisse sganciata, tutti i capi dello stato maggiore unificato fecero presente che si poteva costringere il Giappone alla resa incondizionata senza bisogno né della bomba né dell’invasione”2. Il generale Eisenhower ha scritto in seguito che quando fu informato dell’imminenza dell’attacco di Hiroshima manifestò la sua profonda avversione: “il Giappone era già sconfitto ed era assolutamente superfluo sganciare la bomba […] il cui impiego […] non era più necessario a salvare vite americane”3. Anche il capo di stato maggiore degli Usa, ammiraglio Leahy, si disse contrario al momento, e in seguito dichiarò che “l’impiego di questa barbara arma a Hiroshima e Nagasaki non fu per noi di alcuna utilità pratica nella guerra contro il Giappone. I giapponesi erano già sconfitti e pronti ad arrendersi”4. Per quanto riguarda i dirigenti militari britannici, il generale Ismay, capo dello stato maggiore imperiale, ebbe “un moto di repulsione nell’apprendere dell’imminente bombardamento di Hiroshima”5. Il fatto stesso che Truman prima di ordinare l’attacco non si curasse nemmeno di consultare il generale MacArthur, che dopotutto era il comandante in capo delle forze americane nel Pacifico e avrebbe ben potuto e dovuto dire la sua (in seguito, MacArthur definì la bomba atomica assolutamente inutile in quelle circostanze)6, sembra indicare che non furono considerazioni strettamente militari a spingere Truman a far esplodere le due bombe atomiche.
Che cos’altro allora? L’uso della nuova arma nucleare ebbe un impatto globale sulla distribuzione del potere fra Usa e Urss, influenzando i loro rapporti in tutti i settori. Che abbia sortito questo effetto non è contestato da alcuno; Truman e molti suoi collaboratori hanno però sempre sostenuto che si trattò di un prodotto derivato, gradito ma non cercato in sé, delle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki; la bomba era un’arma come un’altra ed essi la usarono pensando solo al Giappone e non all’Unione Sovietica.
Contro questa tesi il direttore dei laboratori di Los Alamos dove venne prodotta la bomba atomica, quel Robert Oppenheimer che era destinato a incrociare il suo destino con quello di Kennan, testimoniò in seguito che fra il maggio e il giugno del 1945 lui e i suoi collaboratori furono “sottoposti a una pressione incredibile perché finissimo il lavoro prima della conferenza di Potsdam”7, dove Truman doveva incontrarsi con Stalin e Churchill. La preparazione di questo incontro da parte americana mette in luce lo stretto intreccio fra diplomazia e bomba nucleare, perché Truman, dopo aver sollecitato il vertice con Stalin nella convinzione di potervi arrivare come possessore dell’arma atomica, poi cercò (al contrario) di rinviarlo il più possibile, per un sopravvenuto ritardo nei lavori di Los Alamos, ritardo che impedì di bombardare il Giappone con la nuova arma alla data inizialmente prevista; incidentalmente, questo ritardo del bombardamento atomico determinò il fallimento della conferenza di Potsdam, dal momento che Truman aveva tutto l’interesse a non concludere accordi con Stalin e a rinviare ogni discussione fino a dopo Hiroshima.
È pure un fatto che il lavoro a Los Alamos proseguì senza soluzione di continuità dopo la resa giapponese, subendo anzi un’intensificazione nei primissimi mesi del dopoguerra, quando le spese per il progetto Manhattan salirono dai 43 milioni di dollari dell’agosto ai 51 del settembre e ai 59 dell’ottobre8. Non ci fu alcuna pausa in cui, per ipotesi, gli Stati Uniti riesaminassero il loro programma nucleare in coincidenza del cambio della guardia fra il vecchio nemico giapponese e il nuovo avversario sovietico: l’evidente continuità e unitarietà dello sforzo sembrano invece avvalorare la tesi secondo cui i dirigenti americani avevano concepito fin dall’inizio la bomba come strumento della nuova “diplomazia atomica” nei confronti dell’Urss.
È possibile che il sacrificio di Hiroshima e Nagasaki, per quanto (forse) ininfluente sulla guerra col Giappone dall’esito ormai segnato, non sia apparso un prezzo troppo altro per mettere l’Unione Sovietica di fronte all’evidenza della superiorità americana e della determinazione degli Stati Uniti a far uso della bomba atomica, così da costringere l’Urss ad accettare i termini americani di una pace stabile nel mondo.
Se questo era l’obiettivo, va peraltro osservato, gli americani non lo colsero affatto: riuscirono sì a preoccupare l’Urss, ma anziché all’arrendevolezza la indussero a un ostile arroccamento. Sulla rivista Encounter (settembre 1976) Kennan cita Stalin, secondo cui “le armi nucleari sono qualcosa con cui si spaventa la gente dai nervi deboli”9. Diretta e immediata è la testimonianza del generale Eisenhower, che in occasione di una visita a Mosca subito dopo la fine della guerra notò come una sgraditissima novità, e la legò proprio alla bomba di Hiroshima, il sospetto e l’ostilità dei sovietici verso le intenzioni degli Stati Uniti: “[p] rima che venisse usata la bomba, io avrei detto che sì, ero sicuro che potessimo restare in pace con la Russia. Adesso non so […]. Dappertutto la gente è spaventata e turbata. Tutti si sentono di nuovo incerti”10. E questa non era destinata a essere una semplice sensazione del momento.
È il caso di ripetere, di tanto in tanto, che qui non si sostiene che gli Stati Uniti avessero torto e la Russia ragione, men che meno la Russia di Stalin; il punto di vista della scuola realista è differente: bisogna accettare il mondo com’è, e anche accettare i nemici, o meglio i potenziali avversari, o più semplicemente i problemi, così come sono, senza polemiche o deplorazioni inutili, e poi chiedersi “che cosa possiamo fare” per migliorare la situazione dal nostro punto di vista occidentale e nel nostro interesse, come si è domandato Kennan nel discorso di accettazione del Premio Einstein per la pace11: conviene manifestare al nemico la maggiore aggressività militare possibile fino all’orlo della guerra, o invece bilanciare forza, negoziato e ricerca di interessi comuni? Secondo Kennan un corso d’azione di questo tipo sarebbe stato possibile, e più proficuo per l’America e per l’Occidente di quello storicamente intrapreso, già al tempo di Stalin, e a maggior ragione sarebbe stato preferibile in seguito, e fino ai giorni nostri.
A giudizio di Kennan un interesse comune che America e Russia avrebbero potuto coltivare (per l’appunto) già al tempo di Stalin, oppure riprendere in qualunque momento successivo, e ancora nel XXI secolo, sarebbe stata la rinuncia al “first use” dell’arma atomica per favorire uno schema di deterrenza minima, così da evitare un’inutile corsa agli armamenti nucleari e ridurre al minimo il rischio di guerra atomica per errore in caso di crisi internazionale. Già il 20 gennaio del 1950 Kennan propose in un documento scritto, consegnato al segretario di Stato12, che gli Usa proclamassero unilateralmente di non voler essere mai più i primi, come avevano fatto contro il Giappone, a usare le armi atomiche: in futuro avrebbero colpito un nemico in quel modo solo per reagire a un attacco dello stesso tipo. Questo, a giudizio di Kennan, avrebbe allentato la tensione internazionale, persino se l’Urss non si fosse associata; ma egli riteneva che alla dichiarazione americana ne sarebbe seguita una analoga russa. In un articolo su Foreign Affairs del luglio 1976 Kennan scrive retrospettivamente che Stalin, “visto lo scompiglio che [l’esistenza delle armi atomiche] provocava in alcune sue predilette concezioni marxiste sulle presunte modalità di funzionamento del mondo […] sarebbe stato ben felice di vederle scomparire dagli arsenali di tutte le nazioni, compresa la sua, se solo fosse stato possibile farlo senza dover accettare imbarazzanti forme di verifica internazionale. E se invece i suoi successori furono costretti, e forse lo furono, ad adottare un punto di vista alquanto diverso sull’uso di tali armi, furono le potenze occidentali, dichiarandosi disposte fin dal principio a usare per prime le armi nucleari in caso di guerra di vaste proporzio...

Indice dei contenuti

  1. COPERTINA
  2. CIRCA L’AUTORE
  3. FRONTESPIZIO
  4. DIRITTO D’AUTORE
  5. INDICE
  6. PREFAZIONE: DI DOMENICO QUIRICO
  7. IL CONTENIMENTO, LA GEOPOLITICA E PUTIN
  8. I DESTINI DEI DUE KENNAN IN RUSSIA
  9. MISTER “X” DECIDE LA STORIA
  10. SÌ AL PIANO MARSHALL, NO ALLA NATO, E IL GENERALE MACARTHUR SI RIMETTE IN RIGA
  11. NEMESI: MCCARTHY, OPPENHEIMER E KENNEDY
  12. VIETNAM, LA GUERRA DEI PRESIDENTI
  13. DALL’IMPERO DEL MALE AI NUOVI HITLER
  14. SCHERZARE COL FUOCO: LA DIPLOMAZIA NUCLEARE
  15. ARCANA IMPERII: I “FRATELLI NEMICI”
  16. POSCRITTO NON È PIÙ LA RUSSIA DI ELTSIN: DI ERNESTO PREATONI
  17. BIBLIOGRAFIA
  18. ETEROTOPIE