Capitolo 1
Manzoni economista
un saggio più che
un sapiente
Quando nel 1861, in età ormai avanzata, scrivendo al signor Professore Girolamo Boccardo “intorno a una questione di così detta proprietà letteraria”, Manzoni si diceva “ben lontano dall’avere una profonda cognizione delle Scienze Economiche”, tralasciava di menzionare la sua formazione professionale nel suddetto ambito che, partendo dall’analisi delle Riflessioni sulle leggi vincolanti principalmente nel commercio de’ grani scritte l’anno 1769 con applicazione allo Stato di Milano di Pietro Verri (pubblicato nel 1797) e de Sul Commercio de’ commestibili e caro prezzo del vitto di Melchiorre Gioia (pubblicato nel 1802), è individuabile in due diverse stagioni di studi.
La prima, dal 1818 al 1823, caratterizzata dalla lettura del Traité d’économie politique di J. B. Say che condizionò la stesura del Fermo e Lucia, si affianca ad alcuni appunti contenuti in un quadernetto olografo intitolato Dell’economia politica sui rapporti con la religione cattolica. Oggetto del trattato abbozzato nel quaderno sono “alcuni punti di Economia politica” che serviranno a prendere le distanze da un’economia politica che aspira a diventare il punto d’osservazione privilegiato della realtà, distinto e lontano da quello cristiano e cattolico. Manzoni sembra rifiutare la pretesa universalistica dell’economia politica, svincolata dalla morale evangelica. Ne é testimonianza, tra l’altro, un brano della Lettera sul Romanticismo (1823) in cui l’Autore manifesta il bisogno di una risposta “integralmente razionale e cristiana”:
Ed ecco, che, per un progresso naturale delle scienze economiche, per un più attento e esteso esame dei fatti, per un ragionato cambiamento di princìpi, altri scrittori, in questo secolo.....hanno stabilite dottrine conformi ai precetti, e allo spirito del Vangelo; e, s’io non m’inganno, quanto più quella scienza [economica] diventa ponderata e filosofica, tanto più diventa cristiana.
Invece, durante la seconda stagione di letture che si svolge dal 1830 al 1841, Manzoni si dedica al Corso di economia politica dello stesso Say e di altri autori, parallelamente alla rielaborazione de I Promessi Sposi, prima dell’edizione del 1840. Qualche anno dopo compare un articolo pubblicato anonimo sul giornale torinese “La Concordia” il 15 settembre 1848 in risposta ad una petizione dei commercianti di Praga al governo austriaco, affinché non conceda l’indipendenza al Lombardo Veneto, data l’enorme importanza delle province italiane nel sistema economico imperiale.
Nell’articolo Manzoni risponde “che il commercio ci guadagna sempre ad aver a che fare con popoli liberi” ed auspica che “i governatori italiani abbiano il buon senso di non proteggere l’industria nazionale con proibizioni e con dazi spropositati”, per favorire l’entrata delle merci dell’Impero col “favore delle leggi”. Invece, se 58 anni dopo la morte di A. Smith “i...legislatori staranno fissi in quello sventurato proteggere”, la conseguenza non potrà che essere l’illegale pratica del contrabbando.
Forse ancora di più le glosse alle opere economiche di Galiani, Smith, Vasco, Carli, Gioia, Pietro Verri, Sismondi, confermano la profonda conoscenza, da parte di Manzoni, della dottrina economico-politica classica ed in esse, di nuovo, emerge la fedeltà al cuore etico di ogni argomentazione economica.
Perció, se é vero che “l’origine della cultura economica del Manzoni si colloca in quel dibattito di politica economica che si svolse in Italia tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento in cui gli echi post-fisiocratici si intrecciarono con una lettura solo liberistica della lezione smithiana”, se é vero che la dottrina di Smith arriva al romanziere milanese indirettamente, filtrata dagli studi sulle pagine di Verri e Say, tuttavia ciò che emerge dalle postille manzoniane risulta essere l’idea di un liberismo moderato in cui il libero mercato e la proprietà privata devono essere talvolta regolati dagli interventi dello Stato. Si tratta di un liberismo inteso...