Vincent Azoulay
Ripoliticizzare la città greca, trent’anni dopo
Quasi trent’anni fa, Nicole Loraux lanciava un sasso nello stagno degli storici dell’Antichità, senza prendere le parti né della “città degli storici classici” né della “città degli antropologi”, giudicandole entrambe incapaci di cogliere la specificità del politico nella Grecia antica. Da un lato la storica tesseva una severa requisitoria contro le posizioni degli storici istituzionalisti, maggioritarie nel campo degli studi greci e figlie di una lunga tradizione che risale ai Griechische Staatskunde del XIX secolo. Ispirandosi ai concetti del diritto pubblico, questo approccio giuridico tende ad assimilare la politica al funzionamento delle istituzioni civiche, dedicando (troppo) spazio allo studio minuzioso dei meccanismi istituzionali, focalizzando tutta l’attenzione su Tucidide – considerato un collega –, sulle Costituzioni della scuola aristotelica e sulle iscrizioni prodotte massivamente dalle città greche a partire dal IV secolo a. C. Secondo Nicole Loraux, questa tradizione storiografica è caratterizzata da una miopia documentaria e concettuale che la rende incapace di cogliere la politica in tutto il suo spessore.
Al tempo stesso, la storica prendeva le distanze anche dalla tradizione antropologica francese, accusata di adottare una definizione del politico troppo inglobante e consensuale. Ciò significava criticare la cosiddetta “Scuola di Parigi”, fondata da Jean-Pierre Vernant e Pierre Vidal-Naquet – e da cui proviene Loraux –, la quale, in linea con Émile Durkheim e Louis Gernet, aveva posto l’accento sulla stretta connessione tra politica e religione nella Grecia antica. È vero che, come ha fatto notare Oswyn Murray, gli storici-antropologi francesi hanno avuto una tendenza a promuovere una concezione “eucaristica” della città greca: così come i credenti vivono l’esperienza di essere una comunità consumando insieme il corpo di Cristo presente nell’ostia, i cittadini greci avrebbero fatto corpo partecipando a una serie di grandi rituali collettivi. Ora, secondo Loraux, questa visione del funzionamento civico non sarebbe che una ripresa dell’immagine idealizzata che i Greci vollero dare della propria società – una città irenica, che fiorisce in un ambiente omogeneo e che funziona in maniera egualitaria, da cui ogni conflitto sembra escluso, a meno di pensarlo nella forma del rovesciamento e della caduta momentanea allo stato selvaggio.
Da un lato, quindi, un approccio giuridico che riduce la politica a un’inezia istituzionale; dall’altro, una tradizione antropologica che diluisce il politico nell’insieme dei rituali sociali: il quadro è sicuramente schematico e non rende giustizia ai rinnovamenti profondi che la “città dei giuristi”, così come la “città degli antropologi”, hanno conosciuto negli ultimi trent’anni. Ciò non toglie che, all’epoca in cui scriveva queste pagine, Loraux aveva ragione di voler ripoliticizzare la città antica – al tempo un po’ assopita – per restituirne l’aspetto intensamente conflittuale. Poiché è proprio questo il suo postulato iniziale, su cui insiste articolo dopo articolo: il conflitto è “costitutivo della definizione greca del politico” e “bisogna imparare a decifrare il legame tra la stasis e la generalità del politico”.
Proclamare che il conflitto è “connaturato al politico” non basta tuttavia per risolvere tutti i problemi di definizione. Innanzitutto, questa proposta non spiega minimamente in che modo si debbano articolare, nel funzionamento stesso del politico nella Grecia antica, il ruolo delle istituzioni civiche e quello dei rituali collettivi – dato che il conflitto può nascere e divampare tranquillamente in occasione di un’Assemblea concitata così come in occasione di una festa religiosa che prende una cattiva piega. Inoltre, rimane da precisare che cosa si intende esattamente con “conflitto”. A leggere Loraux, la causa sembra evidente: assimilato alla stasis, il conflitto è pensato dai Greci unicamente nel registro della catastrofe e della lacerazione irreparabile. Esistono tuttavia modi meno drammatici di prenderlo in esame, che non conducono per questo a escluderlo dalla definizione del politico. Ripoliticizzare la città comporta quindi che sia precisato proprio ciò che, nell’opera di Loraux, resta del tutto fuori campo: come definire l’esperienza politica greca senza ridurla unicamente alla sua espressione istituzionale o, al contrario, dissolverla nell’insieme delle interazioni sociali? E quale ruolo attribuire al conflitto – e a quale tipo di conflitto – in questa definizione rinnovata del politico?
È per tentare di colmare queste lacune che il nostro articolo inizia con un percorso tra concezioni antiche e definizioni moderne del politico – per tentare di eludere la contrapposizione tra la città dei giuristi e quella degli antropologi, e pensare innanzitutto la loro articolazione. Questo sforzo di chiarificazione si concretizza in una proposta di ridefinizione che sottoporrò alla prova di un caso emblematico: la stasis del 404 a. C. ad Atene. Sarà l’occasione di ritornare sugli stessi luoghi in cui Loraux ha forgiato la sua concezione della “città divisa”. A partire dallo studio del celebre discorso di Cleocrito, nelle Elleniche di Senofonte, spero di poter mostrare che è possibile connettere diversamente la politica in senso istituzionale con il politico in senso antropologico.
Ma pensando l’esperienza politica attraverso il prisma di un evento così eccezionale come la guerra civile, si corre il rischio di privilegiare le rotture a scapito delle continuità e, di conseguenza, l’eccezione sulla regola. Come premunirsi allora a fronte di una rappresentazione catastrofista, se non apocalittica, del politico? Bisogna rinunciare ad interessarsi a questi momenti straordinari, anche se è in queste occasioni che si rivelano le configurazioni storiche più feconde? La soluzione risiede senz’altro in una riflessione rinnovata sui rapporti tra politica e regimi di storicità.
Definizioni: il politico e la politica
Lo sanno tutti: è in Grecia, e più precisamente ad Atene, che viene inventato e teorizzato per la prima volta il termine “politica”. L’orazione funebre pronunciata da Pericle nel 431 a. C. ne fornisce la prima elaborazione autentica:
Una stessa persona può al tempo ...