MASSIMO BONAFIN, SANDRA GORLA
OSCENE AMBIVALENZE: SU ALCUNE RAPPRESENTAZIONI DEL SESSO NELLA LETTERATURA DEL MEDIOEVO ROMANZO
I.1
Questo intervento si propone in primo luogo di illuminare un aspetto della letteratura medievale meno conosciuto fuori dall’ambito degli specialisti, secondariamente di esemplificare qualche rappresentazione diretta, non velata, del sesso in testi d’invenzione del XII-XIII secolo, infine di attirare l’attenzione sul fatto che queste scritture oscene sono caratterizzate da un’ambivalenza di prospettive, cioè da una compresenza, maggiore o minore, di affermatività e di negatività riguardo al loro denotato.
I.1.
Se ammettiamo, con Georges Bataille, che “l’oscenità è una relazione”2, cioè non una cosa, ma un rapporto fra un referente o un denotato e la mente di una persona, un soggetto umano, da un punto di vista estetico-letterario non possiamo però limitarci a considerarne l’effetto nella sola reazione del destinatario, lettore o osservatore, ma dobbiamo anche chiederci come esso sia prodotto, con che mezzi stilistici, retorici, linguistici, si realizzi l’osceno.
Per semplicità, assumeremo che il territorio dell’osceno sia definito dalla designazione diretta, senza perifrasi ed eufemismi, degli organi genitali e degli atti che li coinvolgono: lasciamo, in questo caso, da parte il dominio della scatologia, che pure generalmente ricade nello stesso ambito.
Senza addentrarci in una disamina storica e linguistica e in una classificazione o definizione speculative3, si può quantomeno dire che è sentito come osceno tutto ciò su cui ricade un interdetto4 e, in primis, la sfera sessuale e ciò che ci ricorda la nostra animalità o creaturalità. Si noti, en passant, che, anche all’interno del nostro discorso, la definizione di questo ambito oscilla inevitabilmente da una delimitazione “neutrale” di una classe di oggetti a una percezione di ciò che è avvertito come perturbante, in altri termini dal denotato al destinatario. Il che equivale a dire che, di fronte a ciò che chiamiamo osceno, non possiamo mai prescindere dalla dimensione pragmatica, ovvero circostanziale, storica, culturale5.
Guardando al Medioevo e alla sua produzione letteraria in volgare, si capisce subito come i generi riconducibili all’universo cortese e cavalleresco, lirici o romanzeschi che siano, non ammettano oscenità nel lessico e nelle descrizioni. Ma poiché l’amore vi è uno dei temi cardinali, i riferimenti agli atti di intimità degli amanti, non potendo mancare, saranno oggetto di velature e di allusioni erotiche, talvolta anche circostanziate pur nella dissimulazione di un lessico indiretto o castigato.
Nella letteratura di carattere cortese, cioè più legata, come avrebbe detto Erich Auerbach6, all’autorappresentazione del ceto cavalleresco, aristocratico e nobiliare, il tabù colpisce dunque in due modi, sia nella vera e propria tacitazione, assenza delle cose e delle parole che insistono sulla sfera sessuale (e, a maggior ragione, scatologica), sia nella eufemizzazione, sostituzione dei nomi propri degli organi e degli atti con circonlocuzioni metaforiche o generiche, cioè non rinunciando alle cose ma alle parole7. Inoltre, la cultura cortese associa all’interdetto linguistico la connotazione di una marca di inferiorità sociale: parlare della sessualità in modo esplicito è villania.
Certo, anche pretendere di individuare un territorio estetico, o ai limiti dell’estetica, come l’osceno, avvalendosi della propria distanza temporale, e dare per scontato che una simile categoria abbia in generale interessato o sia addirittura esistita nella coscienza artistica del Medioevo, può apparire un gesto ermeneutico azzardato8.
L’importante, ci sembra, è compierlo consapevoli dei propri limiti, di orizzonte e di metodo. Accenno solo a questa elementare evidenza: è difficile per noi renderci conto del valore critico, trasgressivo, di infrazione estetica ed etica, dei singoli vocaboli del lessico medievale che designano organi e atti sessuali, all’interno di testi letterari, di invenzione, in cui le stratificazioni connotative possono essere molteplici. C’è per esempio chi ritiene, con buoni argomenti, che il linguaggio dei fabliaux, un genere che per i temi affrontati è spesso al centro delle ricerche sulla rappresentazione oscena, vada inteso come un linguaggio ordinario, proprio di una cultura indifferente ai tabù linguistici, un linguaggio naturalmente plurale negli argomenti e nei registri com’è di solito il discorso quotidiano9.
Ci sono tuttavia dei testi che non solo non rifiutano ma anzi sfruttano l’osceno nella propria scrittura e spesso gli conferiscono un ruolo centrale; sono queste opere che ci permettono di affermare, pur con certi limiti, a quali condizioni questo campo terminologico e semantico può comparire nella rappresentazione letteraria, può essere esteticamente giustificato. Perché di giustificazione estetica si tratta, cioè di messa in una cornice, in una distanza, che lo legittimi, lo faccia accedere alla parola in modo mediato, senza che esso susciti quelle reazioni fisiche e comportamentali che si assocerebbero “naturalmente” alle parti del corpo che esso evoca.
I testi a cui ci riferiamo sono quelli in cui le modalità del comico, della satira e della parodia sono più presenti, quando non essenziali. Prima di passare agli esempi specifici del Roman de Renart che illustrano, a nostro modo di vedere, l’ambivalenza dell’osceno nella letteratura del Medioevo romanzo, occorre rammentare una caratteristica saliente nei testi di intonazione satirica e morale, vale a dire quella di porre la denudazione oscena verbale all’interno della voce...