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Far rivivere la speranza sociale

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Far rivivere la speranza sociale

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In un periodo storico caratterizzato dal mito del progresso individuale, Ronald Aronson richiama la nostra attenzione sul concetto e sulle pratiche della speranza sociale, che può costituire la base per la riscoperta della volontà collettiva e di nuove forme di azione politica. Questa tipologia di speranza non si è mai realmente assopita e la ritroviamo oggi in alcuni movimenti come Occupy Wall Street o tra i sostenitori di Bernie Sanders. Per Aronson è però necessario distinguerla dalla mitologia del progresso, secondo la quale la storia sarebbe dominata da un principio intrinseco di crescita e di miglioramento, che non prevede necessariamente l'impegno degli esseri umani a realizzare da soli il loro destino, individuale e collettivo. La speranza sociale deve opporsi a questa immagine illusoria del progresso, come anche alla tendenza contemporanea al cinismo e ai rischi di una individualizzazione della speranza stessa, che la renderebbe incapace di puntare a una vera rivoluzione politica e sociale a livello globale. Ci sono tante false speranze, ma tra queste dobbiamo riscoprire l'unica vera speranza, che è quella di poter dare una risposta collettiva ai problemi che affl iggono il mondo contemporaneo.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857575285
1.
Speranza in difficoltà
Oggi la speranza più importante sta passando tempi difficili. Perfino dopo le catastrofi del Ventesimo secolo la grande speranza moderna ha perseverato con l’idea che un giorno “le cose sarebbero finalmente andate in modo migliore”, nelle parole di Theodor Adorno, che un giorno “gli uomini possano una buona volta respirare più liberamente3”. Oggi, però, stiamo perdendo la speranza in una società migliore e in un mondo migliore, e perfino la coscienza collettiva che può porsi obiettivi di questo tipo. Chi si aspetta ancora la continua espansione dell’uguaglianza sociale e politica e della democrazia? Chi ancora scommette sulla forza collettiva dei lavoratori e della gente comune? Chi pensa ancora che le vite dei nostri figli e nipoti saranno migliori delle nostre? Chi ancora si aspetta che lo sviluppo della scienza e della tecnologia e la diffusione dell’educazione renderanno il mondo più umano e vivibile? E chi ancora vede se stesso come parte di una collettività capace di far accadere una di queste cose?
La fiducia nel Progresso è stata una delle versioni della fede moderna. Sorprendentemente, è resistita alle catastrofi della prima parte del Ventesimo secolo per raggiungere il suo apice durante i trent’anni gloriosi del periodo 1945-1975. Solo allora ha iniziato a essere rifiutata come una “grande narrazione” obsoleta, e ormai, almeno intellettualmente parlando, noi viviamo “dopo il Progresso”. Infatti, “un disgusto del moderno” è diventato così diffuso tra gli intellettuali di oggi che perfino le prove di una rilevante riduzione storica della violenza non riescono a contrastarlo4.
Vivere dopo il Progresso significa condividere, a livello di civiltà, uno stato di disillusione e scoramento, in parte perché uno dei motori principali del Progresso ha provocato conseguenze parecchio negative. Il capitalismo contemporaneo conduce sempre di più tutto quello che facciamo, tocchiamo e siamo sotto l’imperativo del profitto, causando un continuo cambiamento con scarsa attenzione rispetto alle conseguenze umane e ambientali. Tutti gli ambiti dell’esistenza sono sempre più soggetti a una specie di totalitarismo del libero mercato, un vortice di “crescita” e “sviluppo” che trascina tutto nella sua traiettoria.
La nostra educazione, le libere elezioni, la nostra scienza medica e produttività economica, le nostre comunicazioni immediate e la conoscenza psicologica di noi stessi: tutto questo non rende il nostro mondo più ospitale, democratico, imparziale e giusto. Né ci dà il coraggio di credere che le forze che modellano le nostre vite siano condotte sotto il nostro controllo collettivo. Sta accadendo l’opposto, dal momento che la forza impersonale del “mercato” regola sempre più ambiti della vita, le persone si percepiscono sempre più come separate, individui isolati, e il danno all’ambiente diventa impossibile da ignorare. Sia negli Stati Uniti sia in Europa, le esistenti disposizioni politiche sembrano sempre più impotenti nell’affrontare questi problemi derivanti dalla “economizzazione” di tutte le aree della vita.
Il nostro mondo di speranza ristretta genera un’abbondanza di speranze più piccole. Ricicliamo la nostra immondizia. Facciamo donazioni per le cause ambientali. Possiamo anche protestare contro la guerra senza fine. Lavoriamo per salvare le balene e i lupi, facciamo donazioni per la fecondazione assistita e firmiamo petizioni, ma sappiamo che queste cose non si sommeranno mai a qualcosa di più grande.
Le persone vivono intensamente speranze individuali e limitate, condividendole con famiglia e amici, trovandole riflesse in chiesa e nei media. Ci alleniamo e mangiamo con attenzione. Seguiamo attentamente l’ultimo consiglio sul controllo di prostata e seno. Ci diciamo “ti amo” e lo diciamo ai nostri figli una decina di volte al giorno. Sogniamo di trasferirci da qualche parte dove le condizioni di vita sono migliori. Leggiamo libri e cerchiamo siti web che promettono aiuto per trovare la nostra posizione in questa tempesta.
Ma cosa ne è stato dell’importante obiettivo storico e politico di rendere migliore la nostra vita collettiva, di eliminare l’oppressione, di creare condizioni in cui tutti gli uomini possano finalmente respirare più liberamente? Cosa ne è stato del bene comune? E cosa ne è stato di coloro che una volta hanno sognato un differente tipo di progresso e hanno agito in base a questo – sì, la crescita del potere individuale come oggi, ma intrecciato con il controllo democratico, l’uguaglianza sociale, e ciò che Herbert Marcuse ha definito “la pacificazione dell’esistenza”?
Questo è stato il progetto della sinistra, quelle decine e centinaia di milioni di persone che, a partire dalle rivoluzioni che hanno inaugurato il mondo moderno, hanno simpatizzato, hanno attivamente creato, si sono uniti e hanno partecipato alla grande varietà dei movimenti sociali tentando di apportare ciò che ora è ipocritamente chiamato cambiamento “progressista”. Sto parlando di coloro che, in modo più o meno rilevante, hanno creato le diverse visioni moderne della giustizia sociale. Costoro hanno combattuto per un salario minimo, uguaglianza e democrazia – attraverso il pensiero, la parola, la scrittura, marce, manifestazioni, sit-in, occupazioni, scioperi e rivoluzioni. La sinistra, ovvero: filosofi, repubblicani, sanculotti, cartisti, anarchici, socialisti, comunisti, sindacalisti, abolizionisti, suffragisti, Freedom Riders, attivisti per i diritti civili, movimenti anticoloniali e di liberazione, attivisti contro la guerra e il nucleare, femministe, movimenti dei nativi e degli ispanici, attivisti gay e lesbiche – il clima di cambiamento che hanno creato, i loro simpatizzanti, le loro idee e argomenti, le loro vittorie e sconfitte, le loro organizzazioni, la loro grande energia e il coraggio sono stati decisivi nel modellare il mondo per come lo conosciamo.
Certamente, sul versante negativo, abbiamo movimenti fascisti, le forze di segregazione, l’apartheid, il colonialismo e il fondamentalismo religioso, organizzazioni e sistemi costruiti attorno alla difesa di privilegi e diseguaglianza. Quelli di destra hanno anch’essi le loro speranze, e combattono accanitamente per affermarle. Ma essi non credono che tutti gli uomini abbiano lo stesso valore – come dimostra il loro modo di operare. Né dimostrano un senso più ampio di solidarietà umana quando agiscono collettivamente per una causa comune. Inoltre, fuori dalla sinistra, generalmente non ci si aspetta che il funzionamento democratico sia la norma per l’azione collettiva. Anche quando i movimenti di destra mostrano compassione, questa non deriva dalla convinzione di fondo che ognuno appartenga equamente alla stessa famiglia dell’umanità, bensì è un istinto di carità, che spesso mantiene i meno fortunati in uno stato di inferiorità. Le persone di destra non si riuniscono per abolire privilegi speciali, ma per affermarli. Certamente, dai lavoratori alle donne e ai movimenti LGBTQ+, le correnti della sinistra hanno dato voce alle esigenze di specifici gruppi, ma lo hanno fatto motivati da un profondo impegno per un’uguaglianza universale.
Al di fuori della sinistra ci sono stati infatti altri tipi di speranza sociale, speranze esclusive e più limitate, antidemocratiche. Ma quando qualcuno si fa domande più ampie sulla speranza sociale oggi, come “c’è ragione di sperare?” o “c’è speranza per l’umanità?”, ha in mente gli esseri umani in quanto tali, l’intera famiglia dell’umanità, tutti noi insieme. Parlare in questo modo implica il nostro benessere comune per come è stato definito storicamente – dalla sinistra. I suoi valori fondamentali non cadono dal cielo; democrazia e uguaglianza, solidarietà e libertà, nonché la capacità di “respirare più liberamente” hanno radici profonde. Sono i valori fondamentali della civiltà. Anche senza saperlo, nell’interrogarci in generale sulla speranza, stiamo parlando dalla sinistra.
Sì, un gruppo pronto al linciaggio è mosso da un certo tipo di speranza sociale. Ma è giusto definirla una speranza contorta, non diversamente da quella del movimento di Donald Trump o dal Partito per l’Indipendenza del Regno Unito. Il loro razzismo esprime una speranza sociale antisociale. A confronto con le speranze della sinistra, c’è disperazione in questa speranza che esclude.
Guardare indietro alla storia recente delle speranze della sinistra è un po’ come leggere la storia della famiglia Joad in Furore di John Steinbeck. Le perdite si susseguono, così come aumentano le sconfitte. Proprio quando le cose sembrano non poter andare peggio, lo fanno. La famiglia è costretta a spostarsi su un altro terreno e a riorganizzarsi continuamente, ma i suoi membri si adattano ogni volta che lo spazio disponibile per la sopravvivenza diminuisce, a ogni singolo colpo della polizia, dei vigilanti, dei coltivatori e della natura. Quasi tutto è perduto, ma i sopravvissuti vanno avanti.
Ciò che alla fine rende il libro di Steinbeck speranzoso è la determinazione di Ma a tenere la famiglia unita, la decisione di Tom di seguire la direzione di Casey e partecipare alla lotta più ampia, e la solidarietà innata che Rose of Sharon dimostra quando si prende cura dell’uomo affamato. Steinbeck voleva che i suoi lettori vedessero un intero popolo trasformare il proprio senso di sofferenza personale e individuale in una militanza condivisa: quelli coinvolti in simili m...

Indice dei contenuti

  1. Roberto Mordacci Presentazione
  2. PrefazioneSiamo tutti sulla stessa barca?
  3. Ringraziamenti
  4. Una nota su Noi
  5. 1. Speranza in difficoltà
  6. 2. Che cosa è la speranza
  7. 3. Progresso contro speranza
  8. 4. Cinismo
  9. 5 La privatizzazione della speranza
  10. 6. Noi
  11. Poscritto La nuova politica della speranza