Scritti di filosofia della storia
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Scritti di filosofia della storia

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Ludwig Friedrich Ancillon rappresenta, paradigmaticamente, quella parte dell'illuminismo tedesco più prossima al potere politico e alle sue istituzioni culturali. I due scritti proposti in questo volume evidenziano il suo esplicito interesse per la filosofia della storia nella continuità tra l'Aufklärung e il potere politico.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857573656

DISCORSO SULLA DOMANDA PROPOSTA PER LA CLASSE DI FILOSOFIA SPECULATIVA DELL’ACCADEMIA REALE DI SCIENZE E BELLE LETTERE CHE HA OTTENUTO IL PREMIO AGGIUDICATO NELL’ASSEMBLEA PUBBLICA DEL 2 GIUGNO 1785

di M. Ancillon
Pastore della chiesa francese di Berlino
Discorso sulla domanda: Qual è il miglior modo di richiamare alla ragione le nazioni, tanto quelle selvagge che quelle civilizzate, che sono consegnate all’errore o alle superstizioni di ogni genere?
Motto: ἀλλ᾽ ἦ τοι μὲν ταῦτα θεῶν ἐν γούνασι κεῖται1
(Omero, Odissea, I, 267)
Le domande di cui si occupa il vero filosofo, presentano spesso insieme al carattere generale di utilità immediata, o remota, che devono tutte possedere, una notevole differenza.
Le une si annunciano dapprincipio come sottili e delicate, in seguito solamente come importanti e utili. Per crederle difficili da risolvere non bisogna che sentirle formulare, o leggerle; per percepirne le conseguenze, e i grandi rapporti con il progresso delle scienze e il bene pubblico, bisogna meditarle e approfondirle. Il primo di questi giudizi potrà essere quello dello stesso uomo ignorante e superficiale; la difficoltà che egli trova nel comprenderle gli è sufficiente per stabilire la loro oscurità, e per supporvi della profondità; il secondo sarà il giudizio dell’uomo istruito, ed esercitato a cogliere fin nelle più piccole ramificazioni i legami sottili, ma reali, che uniscono tra loro tutte le verità; ed è a questo proposito che il filosofo sarà sempre mal giudicato da colui che non lo è.
Altre domande appariranno, ad un carattere del tutto opposto, interessanti e utili; ma molto più tardi, e con occhi diversi da quelli a cui conduce la prima impressione, esse appariranno estremamente difficili e complicate. L’uso prezioso ed esteso che se ne può fare, si presenterà negli stessi termini che lo esprimono; e la difficoltà che vi si incontra sarà nel suo complesso interna allo sviluppo vasto e preciso che essa contiene. I fiori e i frutti decoreranno i viali di un campo, dove l’uomo sensibile anticipa già con il pensiero i piaceri più dolci; i rovi e le spine, le strade difficili e tortuose saranno per colui che vi si immette, e vuol lasciare ovunque tracce utili del suo passaggio.
Di quest’ordine è incontestabilmente la domanda che sarà il soggetto di questa tesi. I cuori onesti e amici dell’umanità vi applaudiranno subito, come per una questione utile, e che ricorda quella del miglior mezzo per rendere gli uomini felici. – Possa la filosofia assistere ancora qui gli auspici di una sensibilità rispettabile!
Sarebbe auspicabile che la teoria che si cerca, sul modo migliore di richiamare alla ragione le nazioni tanto quelle selvagge che quelle civilizzate, che sono consegnate all’errore o alle superstizioni di ogni genere, possa interamente ricavarsi per astrazione dalla storia dei popoli e dei governi, o almeno dai precetti sparsi nei trattati dei filosofi e dei legislatori; ma poiché più di una ragione impedisce che non si possa operare in questo modo(I), sembra che si giungerà a dei risultati più netti e più completi seguendo l’ordine contrario; vale a dire, cominciando dalla teoria, così come può darcela la conoscenza dell’uomo e delle cose, e facendone seguire come pezze d’appoggio i fatti e i precetti staccati che fornisce la storia. È il cammino che ci si è proposti di seguire. Ci si appoggerà durante il discorso sul ragionamento, e nei commenti sui fatti e sulle decisioni dei saggi.
Il discorso non avrà altro ordine che quello con cui le idee che la questione ha fatto sorgere si sono presentate al mio spirito:
1. Analizzerò inizialmente la questione,
2. In seguito, e per questa stessa analisi, cercherò di risolverla.

1. Analisi della questione

Prima di entrare nella scomposizione delle idee che contengono la questione da risolvere, non sarà inutile sottolineare che se questa scomposizione è indispensabile, per arrivare a una qualche precisione in un soggetto così complicato, essa deve avere le sue regole; e io ne trovo due principali.
1° Vi sono certamente delle questioni anteriori a quella di cui si tratta, e che vi si avvicinano; non è necessario trattarle, ma bisogna conoscerle, e averla presenti allo spirito, per volgere la soluzione in modo che essa possa servire, in qualsiasi modo la si prenda, in relazione a questi problemi incidentali(II).
2°. L’elenco delle idee contenute nei termini della questione non dev’essere più esteso dell’uso che ci si propone di farne; sono materiali di cui ci si servirà in seguito(III).
I. Che cos’è una nazione consegnata all’errore?
II. Che cosa significa ricondurla alla ragione?
III. Che cosa implica il mezzo miglior che si ricerca?
I. Una nazione consegnata all’errore o l’errore considerato in una nazione, in quanto esso riguarda una nazione intera o è nazionale, è una sola e medesima idea. Non essendo l’errore nazionale che una modificazione dello spirito nazionale, è quest’ultimo che è importante definire; o non sarà più una nazione, che si ricondurrà alla ragione, ma uno o più individui. L’idea di una nazione dipende meno dalla regione che occupa un certo numero di abitanti che dalla conformità degli interessi, dei principi, dei sentimenti, su tutti gli oggetti che li riguardano. All’origine delle prime popolazioni, questa conformità nella maniera di pensare determinò spesso la loro forza più o meno grande, il loro numero, e la direzione che esse presero, alla ricerca di insediamenti. Sarebbe abbastanza inutile voler partire dal numero degli individui che pensano bene, o male, sui diversi oggetti delle conoscenze umane, per determinare lo stato della ragione in un popolo; questo numero non è mai stato conosciuto con precisione, e potrebbe variare all’infinito, senza che il carattere comune alla nazione ne subisca il minimo effetto(IV); ma sembra che ovunque si presupponga che sia la nazione intera ad agire e a parlare, si debba cercare di valutare la sua forza intellettuale e morale. Prima che vi fossero legislatori e governi, vi erano usi e costumi; delle procedure stabilite per far regnare l’ordine e la tranquillità pubblica, e per trovare dei mezzi di sussistenza più o meno abbondanti(V). Seguire, in questi primi tempi, i diversi movimenti dei popoli, e al loro interno lo stato dell’agricoltura, delle arti, del commercio, della religione; vederli agire senza sosta, equivale a tenere le fila delle loro idee e dei progressi della loro ragione. Questi risultati chiari della misura della loro intelligenza sono perdurati in tutti i secoli; perdurano ancora, e istruiscono il filosofo che segue le tracce del pensiero delle nazioni. Le cerimonie politiche, militari, religiose, le massime dominanti, gli atti pubblici, lo stile degli scritti e della letteratura, ne sono dei monumenti assai certi. Le leggi stesse, per quanto sia stata differente l’influenza che le opinioni dei popoli hanno avuto su di esse, a seconda dei tempi e della forma dei governi, le leggi stesse ne sono degli interpreti non equivoci. Nelle democrazie antiche, e nelle Repubbliche, niente è più certo; ma accade che la Monarchia, e lo stesso dispotismo, non cancellino interamente l’impronta che lo stadio primitivo di un popolo lascia necessariamente su tutte le istituzioni attraverso le quali lo si governa(VI). Bisogna almeno che esso si accordi alle forme stabilite; un’opposizione troppo forte tra loro renderebbe impossibile la loro introduzione. Non vi è dunque alcun periodo della vita di un popolo, nessun tipo di amministrazione pubblica, in cui si possa dire che questo popolo è una nullità; che esso non agisce e non influisce su nulla; che non lascia da nessuna parte dei segni, più o meno rilevanti, di ciò che esso è, per rapporto all’uso che esso fa della ragione. Ebbene, è in questi casi, in cui esso agisce come popolo, sia direttamente e per suo stesso conto, sia attraverso l’autorità di coloro che lo rappresentano, che bisogna ricercare la rettitudine, o l’errore nazionale. Esaminando quale sia il miglior modo d’intervenire sullo spirito di una nazione, non crederò di essermi imbrogliato, e di aver confuso i procedimenti che richiedono la sua educazione (se così posso esprimermi), con quelli che esigono l’educazione di uno o più individui, se cerco questo spirito in un ordine pubblico di cose che esso ha formato, che sostiene e perpetua, e che senza di esso non esisterebbe. Questa regola si applica allo stesso modo alle associazioni più o meno grandi che si formano in una nazione(VII), e dove lo spirito di corpo non è che una o più verità, uno o più errori, sostenuti e professati da coloro che lo compongono. Se il modo di pensare che ne risulta non verrà incontro fino ad un certo punto allo spirito della nazione, che la patisce e la promuove, essa meriterà sempre d’entrare nell’oggetto delle nostre ricerche attuali; perché le società inferiori sono cionondimeno ancora delle società; perché esse eseguono in piccolo ciò che la società che le contiene esegue in grande; e i loro principi, come quelli dell’intera nazione, si imprimono e si rendono evidenti nei risultati generali.
II. Che cosa significa ricondurre alla ragione le nazioni tanto selvagge quanto civilizzate, consegnate all’errore e alle superstizioni di ogni genere? Se si considera l’errore nelle nazioni tanto selvagge quanto civilizzate, esso indicherà ogni sorta di imperfezione che si può concepire nello stato intellettuale di una nazione, dal perfetto abbruttimento fino all’abuso della conoscenza più ampia; e la ragione sarà il rimedio ai danni di una malattia, la quale deve seguire tutti i sintomi e gli stadi. In questo modo si ricondurrà alla ragione una nazione selvaggia quando, mediante dei processi che non è ancora il tempo di indicare, le si forniranno i primi elementi sull’uso della ragione; e una nazione civilizzata quando la si metterà nella condizione di evitare i falsi giudizi che nascono dalla ragione mal impiegata. L’una e l’altra, a qualunque distanza esse si trovino, sono suscettibili di una doppia cultura: quella che tende ad esercitare e perfezionare in una nazione lo strumento stesso delle nostre idee, vale a dire la facoltà di pensar giusto e di evitare l’errore; e quella che tende a farle adottare le idee che le importa avere e i risultati delle ricerche e delle meditazioni delle altre. Per il primo tipo di cure, una nazione diviene particolarmente adatta a trovare essa stessa la verità; per il secondo, essa può raccogliere i frutti collegati alla verità, in qualsiasi modo la si venga a conoscere. In uno di questi casi, la verità sarà per essa verità pura; nell’altro, viste le fonti da cui la nazione l’attinge, essa non potrà che essere pregiudizi dati dalle circostanze e dall’autorità. Non esamino ancora se si debbano separare o combinare questi due effetti, né la loro influenza reciproca. Non devo che indicarli come inclusi ugualmente nel termine di ragione, che può significare sia il principio delle nostre idee sviluppato e valorizzato, sia la collezione delle idee corrette e dei giudizi fondati sulla verità delle cose, che tale principio ha prodotto. Altrettanto dicasi per il termine errore, che designa parimenti e il non uso della ragione (la prima di tutte le verità è che l’uomo deve servirsene), e ciò che risulta per lui dall’utilizzo gestito male e frainteso della ragione.
III. Che cosa implica il miglior metodo per richiamare alla ragione le nazioni sia selvagge che civilizzate? Esso implica ciò che è incontestabile, che da sempre, e da quando esistono delle nazioni, molteplici strumenti hanno agito, con più o meno successo, per dar loro e l’uso e il buon uso della ragione.
È chiaro che questa stessa ragione non può essere posta nel novero di questi strumenti, essendo ciò che rende le nazioni suscettibili di tutte le impressioni che questi strumenti impiegati possono produrre su di esse. Si definiranno perciò questi strumenti occasioni presentate ad un popolo per far uso della sua ragione, e ci si chiederà se ci può attenere a questa generalità, perché il termine strumento risveglia troppo l’idea di un agente morale che, conformemente ai pareri dati, fa nascere e impiega queste occasioni; ciò che anticiperebbe ciò che si dovrà dire, della miglior scelta possibile da fare fra tutte queste occasioni. La loro natura, le loro azioni, le modificazioni innumerevoli di cui questa idea è suscettibile sono tanto dei capi generali, ai quali si rapporta l’idea del tutto generale che si crede si debba qui addurre.
I. Chiunque converrà che non è solo mediante il ragionamento e mediante la metafisica che una nazione si lascia guidare. Riunendo come un aggregato di uomini tutte le determinazioni che si trovano in ogni individuo e tutte quelle che risultano dall’incontro di una moltitudine di individui e di tutti i rapporti che ne nascono, essa richiede nelle cause che devono concorrere alla sua cultura una diversità e nella loro azione un carattere tanto di forza che di universalità, che rendono completamente dissimili l’educazione di un popolo e quella di un uomo. Sebbene queste due indicazioni si tocchino in diversi punti, come indica abbastanza la natura della cosa, e poggino su dei principi comuni, l’una non può, nel complesso, servire da modello e da regola all’altra; dalla combinazione, dall’azione e dalla reazione continua delle idee, delle volontà e delle passioni di diverse migliaia di esseri pensanti e agenti, che formano una nazione, sorge, per così dire, un nuovo essere morale, che sarà lievemente affetto da ciò che agisce con molta forza su un solo individuo, come quest’ultimo non potrà che essere sfiorato da ciò che compromette e spesso modifica l’intero corpo di cui fa parte. Se questa considerazione è fondata, essa mi autorizza ad indicare come altrettante cause, che da sempre più o meno hanno agito, e agiscono ancora, sul modo di pensare di un’intera nazione:
1. Il clima(VIII);
2. La guerra; tutte le rivoluzioni che essa produce; e le connessioni che essa forma fra i popoli(IX);
3. La persecuzione(X);
4. L’istruzione, con tutte le forme che essa presenta; voglio dire il numero di coloro che la ricevono, e per la quale essa è o domestica, o pubblica, o nazionale; gli oggetti sui quali essa verte e che danno luogo a tutte le applicazioni possibili delle forze dello spirito umano; dalla quale nascono le arti e le scienze, con qualsiasi nome le si nomini; i luoghi in cui la si impartisce, scuole, collegi, università, accademie, pulpiti, teatri, eccetera.
5. L’esempio, l’autorità del sovrano, del filosofo e, in generale, dell’individuo imponente, le cui azioni sarebbero le regole stesse di una ragione purificata, rivestite d’un corpo e rese sensibili(XI);
6. Ricompense e privazioni, da un lato emanate dal governo e dall’altro dispensate in maniera che esse colpiscano il cuore ed elevino lo spirito(XII);
7. Le leggi(XIII).
II. Vi sono ancora meno differenze in questi diversi principi dello stato intellettuale e morale dei popoli, relativamente alla natura degli oggetti che da sempre vi hanno più o meno concorso, di quante non ve ne siano nella azione di questi principi e nella maniera in cui tale azione può dispiegarsi. Dato che non faccio ancora altro che esporre le idee generali, contenute nei termini della questione, mi limito a rimarcare che questa azione può essere definita:
1. Diretta o indiretta; a seconda che essa tenda a contrastare ogni errore, per spianare la strada a qualsiasi verità negli spiriti, o non sia applicabile ch...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Circa l’autore
  3. Frontespizio
  4. Copyright
  5. Indice
  6. Introduzione: Ludwig Friedrich Ancillon ovvero l’illuminismo senza critica
  7. Opere di Louis Frédéric Ancillon
  8. Scritti di filosofia della storia
  9. Nota del curatore
  10. Discorso sulla domanda: Qual è il miglior modo di richiamare alla ragione le nazioni, tanto quelle selvagge che quelle civilizzate, che sono consegnate all’errore o alle superstizioni di ogni genere?
  11. Considerazioni sulla filosofia della storia
  12. Biblioteca di Filosofia della Storia