Che ne ho fatto dei miei soldi
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Che ne ho fatto dei miei soldi

  1. 128 pagine
  2. Italian
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Che ne ho fatto dei miei soldi

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Quante volte ci siamo scoperti inadeguati a prendere una decisione in materia finanziaria? E quante volte abbiamo scoperto a posteriori che le nostre scelte erano state errate? Per quanto tradizionalmente legati al concetto di risparmio, gli italiani faticano a elaborare un metodo per gestire al meglio le proprie risorse economiche: stretti tra le abitudini di un passato ormai irripetibile e i tranelli psicologici che riducono l'efficacia delle nostre decisioni, costruirsi un percorso di educazione al risparmio e alla finanza rappresenta un obiettivo utopico che solo pochissimi riescono a realizzare.
A tutti gli altri resta una maleducazione finanziaria, cui però è possibile porre rimedio: informandosi, innanzitutto, ma in definitiva prendendosi cura attiva e frequente del proprio denaro.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788832494228
Argomento
Economia

Capitolo 1

Se la finanza è analisi del reale

Il ribaltamento dei piani è ormai completato: l’approccio teorico agli studi economici, che nei decenni ha concentrato gli sforzi nella determinazione di formule e definizione di regole, ha lasciato il centro dell’agone all’analisi dei fenomeni empirici che riguardano i comportamenti economici e finanziari dei singoli, delle imprese e degli Stati. In mezzo c’è stata la crisi finanziaria, culminata con il default di Lehman Brothers nel 2008, con l’ormai famosa Queen’s question, ossia la domanda posta agli economisti della London School of Economics dalla Regina Elisabetta II: «Perché nessuno si era accorto prima di questo pericolo?». Quesiti cui gli accademici britannici non sono riusciti a fornire una risposta esaustiva: il pur ampio bagaglio di conoscenze in materia economica non ha permesso loro né di prevedere la crisi, né di scorgerne i molteplici segnali che l’avevano in qualche modo anticipata (ricordate il film “La grande scommessa”?), né forse di comprendere appieno le ragioni di questa scarsa capacità di mettere a fuoco i fenomeni sociali ed economici dirompenti come questo. Da un decennio ci si interroga sulle ragioni di ciò. I fenomeni sono complessi ed è opportuno rifuggire dalla tentazione di fornire spiegazioni semplici per problemi complessi: questa tentazione – tipica della nostra contemporaneità, dominata dalla ridotta attenzione e dalla scarsa propensione ad approfondire le vicende che ci si parano davanti – non ci aiuta a capire quanto accaduto. Una chiave di interpretazione, tuttavia, l’ha offerta un riconoscimento in grado di marcare la differenza tra un prima e un dopo: l’assegnazione nel 2017 del Premio Nobel per l’Economia a Richard Thaler, uno psicologo, come prima di lui Daniel Kahneman (vincitore nel 2002), che ha ricevuto la menzione per i suoi studi di finanza comportamentale. Così come, prima e dopo di loro, Herbert Simon (1978) e Robert Shiller (2013), che andando molto più in là rispetto al tema delle aspettative su cui si era soffermato a lungo a suo tempo J.M. Keynes, hanno concentrato la loro attenzione sulle bolle speculative, la volatilità dei prezzi e, in definitiva, sull’approccio empirico all’osservazione dei fatti economici.
Richard Thaler è stato autore, insieme a Cass Sunstein, di Nudge (concetto che in questo libro ritornerà più volte), ossia “spintarella gentile” o “gomitata”: si tratta di un libro che sin dalla sua pubblicazione nel 2008 – pochi mesi prima del default di Lehman Brothers – ha offerto spunti fondamentali per comprendere una realtà non più interpretabile secondo i canoni tradizionali dell’economia. Il testo esce innanzitutto dallo schematismo dei concetti di analisi e sintesi delle vicende economiche, descrive le dinamiche che portano i soggetti a prendere le decisioni, focalizzandosi sui fattori propulsivi che le determinano. Secondo Sunstein e Thaler i “trigger”, ossia gli inneschi della mente umana, possono essere orientati anche per determinare policy educative e indurre comportamenti positivi nella popolazione. È questa la sfida più importante che i due studiosi hanno lanciato a decenni di studi in materia: il libro prima, e il Nobel poi, segnano la definitiva prevalenza negli studi economici dell’empirismo dello psicologo sul lavoro degli economisti che nei decenni hanno puntato a formulare teorie in grado di rappresentare la realtà, con esiti non di rado subottimali.
L’indagine economica, al volgere della fine del secondo decennio del secolo, dà per acquisito questo ribaltamento di piani. E non poteva essere altrimenti, anche in ragione della rivoluzione tecnologica che sta modificando come detto la nostra capacità di attenzione, apprendimento e comprensione dei fatti che ci riguardano più o meno da vicino. L’era della realtà aumentata ci proietta a vivere in situazioni che finora erano state solo immaginate dalla fantascienza. L’attenzione generale si concentra sulla capacità di apprendimento delle intelligenze artificiali che implementano processi elaborativi e produttivi che abbiamo affidato loro: gli algoritmi ci scelgono gli amici sulle piattaforme social, ci indicano la strada migliore da percorrere (più breve ma anche più ricca di suggestioni: paesaggistiche e soprattutto commerciali), interpretano i nostri bisogni prima che vengano espressi, elaborano soluzioni a problemi di cui siamo appena coscienti. Questa innovazione ridisegna l’orizzonte di riferimento della nostra mente e della sua capacità di utilizzare le informazioni che incamera in modo proficuo, per le finalità stabilite. Il tema tocca in modo significativo la gestione del nostro denaro, ma riguarda tutta la nostra vita: nell’era delle fake news, della post-verità e della narrazione verosimile, la vera sfida consiste nel ripercorrere il lungo filo che rappresenta il bandolo delle vicende umane, comprenderne tutti i “what if” che ne determinano le variazioni e aiutarci così a conoscerci meglio. Perché siamo esseri intelligenti ma estremamente vulnerabili e occorre una cassetta di attrezzi adeguata a proteggerci e a condurci a mettere in fila le conoscenze e le scelte più corrette. Non è un caso che il contesto privilegiato per analizzare questi fenomeni sia proprio la consulenza finanziaria, il confronto cioè tra le aspirazioni – spesso non definite e strutturate – dei risparmiatori e le proposte – non sempre prive di conflitto di interessi – che il professionista prospetta loro. È qui che emergono in maniera più chiara i desideri, gli obiettivi, le tare culturali, persino i fattori genetici che condizionano le nostre scelte finanziarie. Per questo è il caso di imparare innanzitutto a riconoscere le informazioni corrette.
Prendete un test a risposta multipla con domande sull’attualità e il mondo che vi circonda: avete tre opzioni tra cui scegliere la risposta corretta e mostrare la vostra cultura e la vostra capacità di incamerare le informazioni che quotidianamente assumiamo da radio e tv, dai giornali, dal web, dai social media e dalla nostra rete di conoscenze. Chi vi sfida è – fate conto – uno scimpanzé, qualcuno, cioè che non può far leva sulla propria cultura, ma che sceglierà le risposte in modo del tutto casuale e che quindi, poniamo, ha la possibilità di indovinare solo un terzo delle risposte corrette. Siete certi di riuscire a batterlo? Dalla parte dello scimpanzé la fortuna, dalla vostra tutto ciò che sapete e che avete imparato negli anni. Riuscirete a indovinare una percentuale di risposte superiore al 33%? Provateci rispondendo alle domande messe a punto da Hans Rosling, medico svedese scomparso nel 2017 che negli ultimi dieci anni della sua vita ha girato il mondo tenendo numerose conferenze, durante le quali ha sottoposto queste domande a molti soggetti, con lo scopo di illustrare quanto sia importante conoscere davvero il mondo in cui viviamo, per poterlo affrontare e – auspicabilmente – migliorare. Le domande riguardano la conoscenza delle statistiche concernenti ad esempio la quota di popolazione mondiale in povertà estrema, la percentuale di bambini vaccinati nel mondo, la differenza educativa tra maschi e femmine nel mondo, le prospettive di crescita di popolazione e di mutamenti climatici da qui a qualche decennio. Tutti quesiti sul mondo in cui viviamo e di cui continuamente sentiamo parlare. Ma che mostriamo di non aver appreso se non in minima misura, rispondendo in maniera corretta solo a un’esigua minoranza di domande: mediamente i test che Rosling ha somministrato al suo pubblico durante le conferenze e ai lettori del suo libro, evidenziano che gli errori superano l’80% dei casi: risultati che mettono in luce le nostre fallacie cognitive. Da una parte la grande messe di informazioni, dall’altra parte la nostra scarsa capacità di farle nostre e assorbirle. Con a fianco lo scimpanzé, che con le sue scelte casuali riesce spesso a far meglio di noi, richiamandoci alle nostre responsabilità di homo sapiens.
Al di là del gioco, infatti, la questione è molto seria e riguarda tutti ma in particolare quella che in qualche modo definiamo classe dirigente: politici, rappresentanti di istituzioni sovranazionali, ma anche imprenditori, finanzieri, esperti che a vario livello guidano i processi di trasformazione della nostra società. Sono adeguatamente preparati a prendere le decisioni giuste? Che conseguenze avrebbe una scelta di politica economica, per esempio, fatta senza conoscere la realtà su cui si applica, sulla base di una cattiva interpretazione del mondo reale o, peggio ancora, sulla base di un pregiudizio fallace? In linea teorica la classe dirigente è tale ed è selezionata a questo compito – ciò prevede l’assunto – proprio in ragione delle competenze che ha per governare il mondo. L’esperienza insegna che non è così: la crisi finanziaria del 2008 e il fallimento Lehman sono l’ultima testimonianza vivente che ce lo ricordano.
Lo sottolinea lo stesso Rosling che nel suo libro Factfulness racconta come abbia sottoposto questi quiz a un gruppo di decisori molto prestigioso a Davos, la cittadina svizzera dove ogni anno d’inverno si riuniscono i “grandi” della terra. La platea era composta da ministri, presidenti, leader politici, banchieri, influencer di diversi ambiti e, racconta Rosling senza indicarne il nome, anche un ex segretario generale delle Nazioni Unite. Ebbene, anche i partecipanti a quel convegno hanno ottenuto un risultato assolutamente in linea con quello realizzato da altre platee: in media le risposte corrette sono state il 12%, meno della metà di quanto avrebbe realizzato lo sfidante (lo scimpanzè). Istruzione, vaccini, demografia: ogni giorno sentiamo o leggiamo notizie che riguardano queste materie, magari sotto forma di aggiornamenti sui migranti, sulle pensioni, sulla salute. Ci facciamo delle opinioni su questo, ma è lecito dubitare che ciò accada in modo fondato, se poco più di una persona su dieci ha una cognizione fondata sul mondo che ci circonda. E lo non lo dice solo il compianto Hans Rosling. Un sondaggio condotto a livello internazionale dalla società di ricerche Ipsos ha analizzato lo spread tra realtà e percezione, la differenza per esempio tra quanti sono gli immigrati presenti in un paese e quanti i cittadini di quel paese ritengono che siano. La differenza tra realtà e percezione è rilevante in alcuni paesi e l’Italia detiene il primato dello spread maggiore: a fronte di un 9% di popolazione di origine migrante presente sul territorio gli italiani, se interpellati, riferiscono in media che nel nostro paese la quota sulla popolazione residente è pari al 26%. Accade così anche in Francia e in Germania, dove però la quota di extracomunitari sulla popolazione residente è maggiore (12%). Analogo discorso sul tema demografico: alla domanda su quanti sono gli under 14 in percentuale sulla popolazione residente, gli ungheresi ritengono siano il 28% contro il 15% effettivo, gli italiani il 26% contro un effettivo 14%, mentre in Irlanda il percepito dice 33% contro un 22% effettivo. Non è solo un gioco: se si ha una percezione errata della realtà, come possiamo fondare le nostre opinioni su dati concreti? Il rischio di essere sedotti e irretiti da fake news costruite ad arte è alto; e sappiamo bene come la proliferazione di notizie infondate online possa condizionare l’orientamento politico di milioni di elettori, come accaduto nel recente passato. Basti pensare allo scandalo che ha visto coinvolti i social network negli ultimi anni. Queste piattaforme sono corsi ai ripari, per frenare la proliferazione di account falsi, che diffondono notizie infondate, spesso gravemente lesive dell’onorabilità e dell’immagine di alcune persone. Tra le conseguenze di queste contromisure è da sottolineare la forte riduzione della distribuzione delle notizie pubblicate da testate anche prestigiose, che controllano con molta attenzione la fondatezza del proprio lavoro prima di diffondere le notizie al pubblico. Con l’effetto di valorizzare sulle timeline social degli utenti immagini e video di scarso valore, oltre che le opinioni personali di soggetti che prediligono la propria “partigianeria” per uno schieramento politico piuttosto che rispondere all’impegno di informare il pubblico in modo scrupoloso ed esente da preconcetti.
Il rischio di non distinguere tra una notizia fondata e verificata da una testata e una bufala resta alto. E per questo è necessario che il pubblico sviluppi una preparazione, la più adeguata possibile, per distinguere ciò che è fake e ciò che è attendibile. Il tema non è solo politico, ma anche economico e finanziario: il risparmio per gli italiani ha un grande valore, ma – come sottolineeremo a più riprese in questo libro – solo una minoranza di italiani sa come risparmiare: l’ultima indagine messa a punto a livello internazionale da Ocse, S&P e Gallup, ha registrato come gli italiani siano al 63esimo posto su 148 paesi a livello globale in materia di alfabetizzazione finanziaria; nel dettaglio, solo il 37% degli italiani sa rispondere alle tre domande chiave in materia di inflazione, diversificazione e tassi di rendimento. Come mettere a frutto il proprio denaro con la scelta giusta se non conosciamo gli elementi di base del risparmio (appunto inflazione, diversificazione e redimenti) e la nostra alfabetizzazione finanziaria è insufficiente? Occorre dedicare un po’ del nostro tempo alla cura dei nostri soldi, come spiega Annamaria Lusardi, che guida il Comitato per l’educazione finanziaria, che ha il compito di coordinare una strategia nazionale per innalzare il livello degli italiani in materia. Compito gravoso ma fondamentale, cui l’Italia arriva ben ultima tra i paesi industrializzati che hanno già preso a cuore il problema. Quando il compito di gestire al meglio il nostro denaro appare troppo gravoso sappiamo come va a finire in genere: ci fidiamo delle persone che riteniamo affidabili. E talvolta facciamo male a fidarci. I molti casi di risparmio tradito, per non parlare di tutti gli errori che noi e i nostri conoscenti abbiamo fatto in materia di denaro, testimoniano quanto sia fallace delegare ad altri qualcosa che ci riguarda da molto vicino. Come vedremo in seguito, la fiducia nel proprio consulente finanziario va “condizionata” a una serie di fattori: la sua competenza, la sua trasparenza, la sua capacità di interpretare i nostri bisogni, economici e non, quelli di cui siamo consapevoli così come quelli che non conosciamo, la verifica periodica della correttezza delle scelte fatte in passato, oltre ovviamente ai costi. Quando ci sono in gioco i risparmi di una vita – con gli obiettivi, i sogni che quel denaro è chiamato a realizzare –, la questione non può essere presa sotto gamba. Che si chiami educazione finanziaria o alfabetizzazione finanziaria, il risparmio è di fatto un po’ come la salute: la devi curare quando ce l’hai e prevenire i problemi per non doverti pentire poi. Analizziamo però le nostre scelte, per comprenderle e – eventualmente – correggerle.
Più 3,63% e il mese prima +4,15%. Prima ancora +4,57% e andando a ritroso +6,61% e +5,51%. Sono le percentuali di crescita della liquidità che mese per mese gli italiani accumulano sui depositi bancari. Secondo alcuni, è anche il termometro della preoccupazione dei risparmiatori di casa nostra rispetto alle notizie sulla salute dell’economia nazionale, con le oscillazioni dello spread in prima pagina sui giornali. Ma di certo testimonia l’ancoraggio psicologico inestricabile dei risparmiatori di casa nostra alla liquidità, che continua a crescere nei conti correnti, tanto da raggiungere, tutti insieme, una somma vicina ai 1500 miliardi di euro, non molto distante dalla ricchezza prodotta ogni anno nel paese. È inverosimile che gli italiani abbiano necessità di tenere liquidi circa 1500 miliardi di euro: tutto il contante in circolazione nel nostro paese è pari a 197,7 miliardi di euro (dati fine 2017). Si parcheggia il proprio denaro in banca trascurando le altre opzioni, per timore del presente e del futuro e per sfiducia nei confronti dei mercati finanziari, lungo tutta la filiera che va dai consulenti ai gestori. Una sfiducia molto solida, nonostante sia assolutamente controproducente per le tasche italiche: per ogni punto percentuale di inflazione va in fumo infatti una cifra pari a un valore reale di circa quindici miliardi di euro, che diventano tendenzialmente 22 se il costo della vita tocca l’1,5%, come accaduto anche nel recente passato. Cifre paragonabili a quelle di una legge finanziaria che (quasi) impercettibilmente gli italiani preferiscono perdere ogni anno – evitando di proteggere il proprio denaro dal rischio inflattivo – piuttosto che assumere un qualche rischio finanziario. Secondo un’elaborazione pubblicata sul Sole 24 Ore, negli ultimi quindici anni i risparmi degli italiani si sono ridotti – causa inflazione e al netto della pur minima remunerazione offerta – del 15,65%. Procrastinazione e sfiducia si traducono nella perdita di un euro ogni 6,4. Un costo che si accetta volentieri di pagare – a leggere le opinioni che appaiono sulle nostre pagine social a commento degli articoli sul tema –, pur di evitare strumenti come le obbligazioni subordinate. Sarà irrazionale questo approccio: ma è il segno della sfida persa dal sistema bancario e dalla consulenza. Una perdita reale che si somma a quelle di mercato: nel 2018 l’indice Fideuram dei fondi comuni di investimento ha chiuso con un calo del 4%. Può apparire paradossale a qualcuno, ma chi ha puntato sui fondi azionari – considerati tradizionalmente (ma quanto è fallace questa tradizione…) rischiosi – ha visto l’indice di categoria che registra un +4,25%. Ma tant’è: a ciascun risparmiatore la sua scelta e la sua strategia.
Quel che è certo è che quel sismografo mensile che registra la crescita della liquidità sui c/c articola in maniera plastica la fotografia scattata da Ipsos per Acri e diffusa in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio. Vero è che l’indagine registra nel 2018 una leggera contrazione della quota di chi non considera alternative alla liquidità: ma stiamo pur sempre parlando del 62% del totale (contro il 67% del 2017), ben oltre la metà degli italiani. Lo conferma l’alta percentuale di risparmiatori – pari al 64% del totale – che ritiene poco efficaci le regole, le leggi e i controlli del sistema finanziario a tutela del suo risparmio. Non a caso quel sismografo sul comportamento della clientela bancaria registra sempre un segno positivo, quanto più quanto meno. Maggiore nel mese di giugno, con il +6,61%, il dato più alto degli ultimi due anni. Difficile mettere in diretta correlazione l’aumento del risparmio con le tensioni registrate nelle settimane precedenti sui mercati finanziari e in particolare sullo spread, a seguito della presentazione del contratto di governo. In termini percentuali si tende a risparmiare di più nelle fasi di incertezza e si riducono i consumi, ma tutto si gioca sulla correlazione temporale tra il conclamarsi di una fase e il comportamento di milioni di consumatori di strumenti finanziari. Tra le molte ombre registrate nelle indagini sui comportamenti dei risparmiatori italiani non mancano elementi positivi da sottolineare: circa la metà degli interpellati, il 51% del totale, ritiene che sia fondamentale educare le giovani generazioni a una vita consapevole ed equ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Introduzione
  7. Capitolo 1 Se la finanza è analisi del reale
  8. Capitolo 2 Investire nella mente
  9. Capitolo 3 Dalla mente alle decisioni
  10. Capitolo 4 Le interviste ai ricercatori