Capitolo 1
2011-2013
La nuova rotta. Whatever it takes
Nel giugno 2011 diviene ufficiale la notizia che Mario Draghi inizierà il suo mandato come presidente della Banca centrale europea (Bce) a partire dal successivo novembre. L’obiettivo prioritario della politica monetaria è istituzionalmente definito: tutelare la stabilità monetaria. La credibilità della azione della Bce è legato al suo status di indipendenza dalla politica e dalle banche – assicurata dagli articoli 4, 7, 123, 125, 126, 127 e 130 del Trattato dell’Unione europea – che definisce le quattro principali proprietà del suo assetto istituzionale: l’autonomia dai governi nazionali e comunitari; avere come obiettivo macroeconomico principale la stabilità monetaria; non poter finanziare i deficit pubblici, nazionali e/o comunitari; non avere responsabilità di vigilanza bancaria.
In termini operativi, dal novembre 2003 la Bce aveva definito come stabilità monetaria una variazione dei prezzi al consumo nell’Unione «inferiore, ma vicina», al 2%, in un orizzonte di medio periodo. Tale definizione sostituì quella inizialmente introdotta nel 1998, in cui mancava il «vicina». Dal momento dell’inizio della Grande crisi – che datiamo nell’ottobre 2008, dopo che in settembre era fallita negli Stati Uniti la primaria banca di investimento Lehman Brothers – la politica monetaria della Bce era stata espansiva, con una interruzione: nell’aprile e nel luglio 2011 la Bce aveva innalzato i tassi di interesse, interpretando erroneamente una temporanea ripresa dell’economia. È stato definito l’errore di Trichet, anche se ogni decisione andrebbe sempre valutata con le informazioni disponibili in quel momento. Il primo Consiglio Bce presieduto da Draghi del novembre 2011 coincide con un taglio dei tassi di interesse.
Intanto nell’ottobre 2010 a Deauville era stata resa pubblica la dichiarazione congiunta Merkel-Sarkozy circa la necessità di far pagare anche ai privati gli eventuali costi di dissesto nei debiti pubblici. Tale dichiarazione viene considerata l’inizio della crisi di fiducia nella solvibilità di alcuni debiti pubblici sovrani, che avrà il suo momento più drammatico qualche anno dopo, con la crisi greca del 2015. In Italia, nel novembre 2011 il governo Monti prende il posto del governo Berlusconi, rimanendo operativo fino all’aprile 2013.
In quegli stessi anni in Europa emerge il rischio di circolo vizioso tra instabilità dei debiti sovrani e instabilità bancaria, ovvero del rischio delle “crisi gemelle”; nel giugno 2012 in Italia l’attenzione è sul caso Monte dei Paschi di Siena. Nello stesso periodo – prima il 29 giugno, poi il 9 luglio – l’Euro Summit dichiara la volontà politica di affrontare la questione delle crisi gemelle, presupposto per i successivi passi verso la vigilanza europea e le nuove regole di disciplina fiscale. Emerge anche la necessità di evitare che le decisioni di vigilanza entrino in conflitto con quelle di politica monetaria.
Dal dicembre 2011 l’orientamento espansivo della politica monetaria si accentua ulteriormente, con la disponibilità della Bce a soddisfare tutta la domanda di finanziamento delle banche con prestiti triennali. Nel 2012 la dichiarazione di Draghi del 26 luglio – whatever it takes – unita all’annuncio nel settembre 2012 della intenzione di mettere in atto – se necessario – Operazioni monetarie incondizionate (Omt) – anche con acquisti diretti dall’emittente – a favore di Paesi però disposti ad accettare programmi di stabilizzazione macroeconomica, scongiura il rischio di una crisi dell’euro.
TIMONIERE PER MARI AGITATI
23 giugno 2011
La Banca centrale europea (Bce) avrà un nuovo presidente. Mario Draghi sarà un ottimo timoniere per il vascello europeo se seguirà la bussola della stabilità monetaria – che è e deve rimanere la stella polare – sapendo che il mare del governo della moneta e dei tassi nasconde sempre un’insidia: i politici, pronti a sacrificare la moneta per i loro interessi miopi o nazionalistici di breve periodo. La stessa elezione di Mario Draghi ha subito dimostrato, visti i comportamenti aggressivi del governo francese e dilettantistici di quello italiano, quanto le ondate della politica possano scuotere lo scafo monetario. E per i prossimi mesi il bollettino annuncia mari mossi.
Non ci stanchiamo di ricordarlo: a due anni dalla crisi finanziaria, sembra definitivamente tramontata la luna di miele tra politici e banchieri centrali raggiunta in quei mesi turbolenti, che aveva fatto riconsiderare un equilibrio di ruoli oramai ventennale.
A partire dagli inizi degli anni Ottanta i politici avevano infatti dovuto cedere potere a favore della burocrazia tecnocratica rappresentata dai banchieri centrali. Lo avevano fatto nel momento in cui avevano realizzato che il consenso elettorale si sarebbe giocato sulla capacità di combattere il nemico macroeconomico numero uno: l’inflazione. I cittadini, volendo avere fiducia nella moneta che utilizzavano, avevano scoperto l’importanza della stabilità monetaria. Ma era difficile avere la fiducia nella moneta, almeno fintanto che essa fosse stata sotto il controllo dei politici, che la avevano utilizzata sistematicamente e male. Occorreva separare la gestione della liquidità monetaria dal controllo dell’Esecutivo. Nacquero le banche centrali indipendenti, con la Bce a rappresentare il miglior prototipo.
La crisi finanziaria aveva fatto riscoprire ai cittadini la centralità di un altro valore: la stabilità finanziaria, cioè l’importanza di avere fiducia nelle banche. Di riflesso i politici si sono subito affrettati a combattere l’instabilità finanziaria. Proprio come vent’anni prima, i politici si sono resi contro che uno strumento essenziale è il controllo della liquidità, in mano alle banche centrali. Da qui l’alleanza: i politici hanno dichiarato che occorreva aumentare il ruolo delle banche centrali a tutela della stabilità finanziaria, cioè coinvolgerle maggiormente nelle funzioni di supervisione e di vigilanza bancaria. Per fare questo, occorreva però fare una inversione a U nella politica istituzionale fino ad allora perseguita. Infatti, proprio per rendere l’azione delle banche centrali sempre più focalizzata sulla stabilità monetaria, e anche per evitare di creare burocrazie troppo potenti, i governi avevano progressivamente allontanato le banche centrali dai ruoli e dalle responsabilità proprie della vigilanza.
La piroetta nel disegno dei poteri delle banche centrali ha fatto perno su una invenzione istituzionale, ancora tutta da dimostrare sul piano teorico e da realizzare sul piano istituzionale: la distinzione tra micro e macrosupervisione. La macrosupervisione ha come obiettivo la tutela della cosiddetta stabilità sistemica, ed i politici l’hanno sistematicamente assegnata alle banche centrali nelle loro riforme: la legge Dodd Frank negli Stati Uniti, la riforma europea della vigilanza, i progetti dei governi inglese e tedesco.
Ma, intanto, i mesi sono passati. La crisi finanziaria è sempre più un ricordo, mentre è l’andamento dell’economia reale che ha ripreso il proscenio. I politici hanno sempre meno bisogno di una banca centrale custode della stabilità, mentre vorrebbero un strumento per nascondere la loro incapacità di gestire al meglio i problemi strutturali dei loro Paesi. Ora l’imperativo è la ripresa economica, costi quel che costi, inflazione inclusa. Ed ecco che la Bce può diventare un fastidioso ostacolo, soprattutto se annuncia e attua un percorso di ritorno alla normalità nella dinamica dei tassi e della liquidità. Mentre negli Stati Uniti la Fed continua a essere un utile tappeto rosso a servizio degli i interessi dei politici e delle banche, la Bce guidata da Draghi appare decisa a non derogare alla sua missione di guardiano della stabilità.
Nei prossimi mesi la rotta non sarà facile: occorrerà indirizzare la dinamica dei tassi e della liquidità in modo da riportare progressivamente i tassi di interesse a un profilo di normalità, creando così le condizioni migliori per la crescita economica. Allo stesso tempo, il monitoraggio delle condizioni dei mercati e delle banche dovrà contribuire a prevenire l’insorgere di nuove situazioni di turbolenza finanziaria. Draghi potrà trarre giovamento dall’esperienza che il suo equipaggio ha maturato con il precedente comandante Trichet.
L’azione della Bce è stata coronata finora da successo perché sia l’obiettivo – principale, di lungo periodo e normale – della stabilità monetaria sia quello – secondario, straordinario e di breve periodo – della stabilità finanziaria sono stati tutelati manovrando al meglio i due strumenti dei tassi e della liquidità. Nei prossimi mesi non si possono escludere altre situazioni agitate. Draghi dovrà continuare a essere tutelato dai presidi dell’indipendenza e della accountability, nonché dai riflettori della pubblica opinione, in modo da poter gestire al meglio il mix tra stabilità delle regole e flessibilità degli strumenti, al riparo dalle ondate dei particolarismi politici. Buon vento.
STABILITÀ FINANZIARIA: COME BATTERE I FALCHI
26 novembre 2011
La Banca centrale europea (Bce) può preoccuparsi della stabilità finanziaria senza dover modificare il Trattato europeo né scimmiottare la Banca centrale americana (Fed). L’ostacolo dei falchi nel Consiglio può essere contrastata con una riforma da parte di Draghi delle regole interne di accountability, aumentando la trasparenza delle decisioni.
La perdurante tempesta sul mercato dei titoli pubblici dei Paesi dell’Unione europa, in attesa delle uniche decisioni che contano – quelle sulla riforma del Patto di stabilità – può essere fronteggiata nell’immediato solo da una svolta nella politica monetaria della Bce. Su questo punto l’accordo nel dibattito appare essere tendenzialmente plebiscitario. Peccato che tale consapevolezza venga quasi sempre accompagnata da considerazioni sbagliate.
Il primo errore è affermare che la Bce possa preoccuparsi della stabilità finanziaria solo cambiando il Trattato. La Banca centrale europea ha come suo obiettivo primario la tutela della stabilità monetaria, che si concretizza in un andamento moderato dell’inflazione. Finché l’inflazione e le relative aspettative sono sotto controllo, la Bce può preoccuparsi del corretto funzionamento dei mercati finanziari, condizione necessaria per aumentare l’efficacia della stessa politica monetaria. Quindi senza cambiare il Trattato la Bce può definire la politica di stabilità finanziaria più opportuna. Cambiare il Trattato – magari per cambiare il mandato della Bce e quindi la sua indipendenza – non solo è un processo lungo, ma soprattutto non serve a niente, anzi. Chi auspica per la Bce un mandato “tipo Fed” vada a vedere i danni che ha fatto e sta ancora facendo una banca centrale che, in virtù della sua discrezionalità, è oggetto di cattura sia dei politici che delle banche.
Ma quale è la politica finanziaria ottimale? Qui occorre la svolta: occorre che la Bce annunci che, finché l’inflazione è sotto controllo, gli interventi sul mercato aperto dei titoli pubblici nonché quelli di rifinanziamento delle banche avranno l’obiettivo di stabilizzare i rendimenti dei titoli pubblici dei Paesi Ue a rischio illiquidità. Questo è il mestiere che sempre hanno fatto le banche centrali nello svolgere le funzioni di prestatore di ultima istanza: assumersi la responsabilità di stabilizzare i mercati quando emerge un rischio illiquidità. A oggi, a meno che l’Unione europea non lo dica esplicitamente, nessun Paese membro – Grecia inclusa – può essere considerato insolvente. È fuori dal perimetro delle responsabilità della Bce stabilire se un Paese membro soddisfi le condizioni economiche e politiche per essere solvibile. Per la Bce tutti i Paesi membri sono per definizione solvibili; se c’è un rischio illiquidità, la Bce – garantita la stabilità monetaria – può intervenire.
La politica di stabilizzazione dei rendimenti deve poi avvenire senza che la Bce debba partecipare direttamente alle aste dei titoli pubblici. Qui emerge il secondo errore: pretendere che la Bce “stampi moneta” – ma che significa? – acquistando direttamente titoli dagli Stati emittenti. L’acquisto diretto di titoli da parte della Banca centrale non è opportuno né necessario. Chi sostiene erroneamente questa tesi cita a sproposito sia la Fed sia la Banca d’Inghilterra.
Entrambe le banche centrali, nelle recenti delicate fasi congiunturali, quando hanno potuto hanno preferito utilizzare il mercato aperto, o al limite la creazione di veicoli ad hoc. Durante la crisi finanziaria del 2007-2009, la Fed ha creato ben cinque veicoli nel Delaware che si occupavano direttamente degli acquisti; tali veicoli potevano accedere al finanziamento della Fed. Analogo meccanismo del veicolo è stato utilizzato dalla Bank of England. Tradotto per l’Europa, questo significa utilizzare il Fondo europeo di stabilità (Efsf) come veicolo, con l’opportunità per quest’ultimo di rifinanziarsi presso la Bce.
È evidente che la politica di stabilizzazione finanziaria della Bce troverebbe degli oppositori, a partire dai cosiddetti falchi presenti nel Consiglio della Banca centrale. In questo caso il rimedio può essere quello della trasparenza. Occorre che la Bce modifichi la sua politica di comunicazione, rendendola più esplicita, fino ad arrivare alla pubblicazione dei verbali. Occorre che l’opposizione alla politica di stabilizzazione finanziaria venga resa esplicita, anche per rendere più facili altre eventuali uscite (vedi Weber oppure Stark).
PASSATA LA TEMPESTA, MANTENERE LA QUIETE
24 febbraio 2012
Grazie alla politica della liquidità della Banca centrale europea (Bce) la tempesta finanziaria che ha colpito i debiti sovrani europei è momentaneamente passata. Ma la quiete deve servire all’Unione per riformare subito e al meglio il Patto fiscale. Altrimenti una nuova tempesta è subito dietro l’angolo, anche alimentata da due scuole di pensiero: le colombe e i falchi.
La Bce di Mario Draghi ha finora svolto con efficacia un compito non facile: gestire una situazione finanziaria straordinaria con una banca centrale specializzata nella tutela della stabilità monetaria. Una banca centrale specializzata deve innanzitutto influenzare la dinamica dei prezzi governando al meglio le aspettative di inflazione grazie alle manovre sui tassi di interesse. Questo è avvenuto: l’inflazione è perfettamente sotto controllo, come affermato anche ieri dal Presidente della Bce. Nello stesso tempo, le operazioni sulla liquidità hanno consentito ai mercati di accogliere al meglio le notizie positive che si sono progressivamente accumulate sul piano delle riforme delle regole fiscali europee, da un lato, e su quello delle politiche di stabilizzazione nazionale, disegnate e implementate in diversi contesti nazionali, tra cui l’Italia. Il sistema bancario europeo è più forte nelle sue riserve di liquidità; una risorsa particolarmente preziosa in una fase in cui le tensioni, ordinarie e straordinarie – comprese le controproducenti richieste di ricapitalizzazione da parte dell’Eba – sono tutt’altro che tramontate.
Il successo della politica della Bce risulta particolarmente rilevante se si pensa al forte scetticismo che la ha accompagnata, alimentata da due correnti di pensiero, forti di qui e di là dell’Oceano. La prima visione è quella delle colombe, che da ottobre preconizzavano un sostanziale fallimento della politica monetaria della Bce di stabilizzazione finanziaria.
Se si rileggono le pagine scritte in quel periodo si troverà la seguente (fallace) profezia: è inutile, anzi dannoso, che la Bce abbia definito un programma di stabilizzazione dei titoli sovrani attraverso operazioni sul mercato aperto e di rifinanziamento. La ragione è semplice: quel programma non è credibile, in quanto annunciato da una banca centrale che ha un mandato troppo limitato, quello appunto di tutelare la stabilità monetaria. Le colombe chiedevano allora a gran voce una riforma del Trattato, per tornare a una banca centrale vecchio stampo, prima di obiettivi espliciti, o almeno con più di un obiettivo – come la Fed – che è poi la stessa cosa, visto che quello che necessita è un banchiere centrale in grado di manovrare con la massima discrezionalità – e quindi credibilità – la liquidità. Peccato che l’assunto per cui discrezionalità fa rima con credibilità è stato sistematicamente negato negli ultimi trent’anni, ultima crisi finanziaria inclusa. Ma evidentemente le colombe erano sulla luna.
La stabilizzazione della Bce non è fallita, anche perché l’originario programma è stato rinforzato nel mese di dicembre. Fino ad allora, il punto più attaccabile della strategia Bce era rappresentato dalla assenza di una esplicita stabilizzazione dei rendimenti sui titoli. Ma dalla fine di dicembre il programma straordinario per le banche di rifinanziamento delle operazioni ha di fatto sostituito una politica di stabilizzazione dei rendimenti. Le condizioni di liquidità sono diventate tali per cui i mercati hanno potuto dare un prezzo alle migliori notizie che si sono susseguite sul fronte europeo. La curva dei rendimenti ne ha risentito positivamente, con un profilo caratterizzato da continui riassorbimenti di eventuali anomalie. La Bce ha dimostrato che una banca centrale specializzata può gestire situazioni straordinarie, purché temporanee.
Infatti sappiamo che l’emergenza non è finita, visto che le buone notizie non sono definitive. La Bce ha – come si dice – comprato tempo, con un effetto potenziale non trascurabile sul suo bilancio, sia in termini di dimensioni che di rischiosità. La capacità della Bce di riassorbire progressivamente liquidità e rischi dipenderà molto dalla velocità e credibilità con cui l’Europa procederà a definire il nuovo Patto fiscale strutturale, e le relative politiche congiunturali di accompagnamento, supporto alla Grecia incluso.
Più l’Europa si mostrerà lenta e inefficace, più aumenteranno le pressioni sulla Bce. Magari con affermazioni assurde, come quelle in più occasioni fatte dai falchi. È l’unico nome con cui si riesce a definire una serie di economisti – americani e non – che hanno letteralmente preso dei fischi per fiaschi, guardando proprio al bilancio della Bce, e ai conti che intercorrono tra le banche nazionali dell’euro. In questi mesi i falchi hanno confuso i saldi contabili tra banche centrali che gestiscono la stessa valuta con operazioni di vera e propria erogazione di credito!
I falchi ad esempio osservavano con orrore che il bilancio della Banca centrale tedesca aveva in bilancio sempre più crediti nei confronti delle banche centrali dei Paesi periferici e sempre meno titoli di Stato tedeschi, concludendo che la Bundesbank stava vendendo titoli tedeschi per finanziare la Grecia! Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai falchi che il bilancio della Bundesbank riflette semplicemente le operazioni delle banche tedesche, a loro volta influenzate dagli scambi con l’estero della Germania. Per cui se la Germania ha un saldo con l’estero – sia reale che finanziario – che è al contempo molto positiv...