Le vittoriose
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Le vittoriose

  1. 160 pagine
  2. Italian
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Le vittoriose

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Informazioni sul libro

Da Yasmina Reza, autrice del libro da cui Roman Polanski ha tratto Carnage, a Nemat Shafik, direttrice della London School of Economics, da Luciana Lamorgese, ministra dell'Interno, a Leymah Gbowee, premio Nobel per la pace, fino a Maria Anna Potocka, direttrice del museo di Arte contemporanea a Cracovia: sono tra i venti ritratti femminili, autorevoli e internazionali, di questa composita galleria.
Voci che Eliana Di Caro ha individuato e ascoltato valorizzandole sulla Domenica del Sole 24 Ore: anche grazie a loro, forse, in un prossimo futuro non si parlerà più di gender.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863456837
Argomento
Art

Antony/Anohni Hegarty
(Inghilterra, 1971)

Women first!

«Vorrei che Gesù Cristo fosse donna, Buddha madre, Allah sorella. Vorrei che la governance del mondo venisse affidata alle donne, alle madri. Se fosse così, credi sarebbe esistita Guantanamo Bay, o l’11 settembre, o un ambiente così devastato?». Chi parla ha i capelli lunghi, il viso di una dolce rotondità, la voce poco più di un sussurro, ma non è una femminista dura e pura né l’adepta di una nuova setta. È Antony Hegarty, per tutti a lungo solo Antony, il cantante transessuale che ha un successo ormai consolidato e da tempo conquista platee immense e trasversali. Dal 2015 si fa chiamare formalmente Anohni: così l’anno successivo ha firmato l’album Hopelessness. Non sopportava più un nome maschile nel quale non si rispecchiava.
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In un caffè di New York, accanto a quella Washington Square pullulante di acrobati neri, musicisti improvvisati e venditori di idee improbabili, racconta la sua parabola umana e artistica. La sua dichiarazione pro women ha origini lontane, risale «a quando ho capito di essere un transessuale. Cioè da bambino. Ne sei consapevole subito, non puoi non saperlo. È l’ostilità esterna che ti porta a negarlo, a nasconderlo, perché gli altri ti fanno sentire diverso, ti emarginano. Io vivevo in una piccola cittadina inglese (Chichester, ndr), di quelle calme per non dire piatte, dove non c’è nulla. Per fortuna avevo la tv, che mi apriva un mondo sulle pop star e sulla visual art».
Anni infelici e grigi per Antony, che già a quell’età amava la musica. «“Peccato, diceva a mia madre l’insegnante, che piaccia tanto a chi non ha un minimo di talento”. Capisci come mi sentivo?». Le cose cambiano quando la famiglia si trasferisce ad Amsterdam. Una rivoluzione. «La mia vita è passata dal bianco e nero al colore. Era la fine degli anni Settanta, immagina che città entusiasmante, lì tutti erano diversi, non io “il diverso”… un’apertura mentale… non ero obbligato a portare il grembiule a scuola… potevo farmi crescere i capelli, esprimere quello che sentivo. Ero felice. È stato bello e importante, per me, raggiungere la consapevolezza di essere accettato per quello che ero». Quella stessa consapevolezza più avanti lo avrebbe portato ad abbracciare la musica, a dispetto del vecchio e miope giudizio scolastico, ispirandosi a Boy George. «È stato il mio modello, mi identificavo nel suo modo di essere, nei suoi colori, nelle emozioni che trasmetteva». Non a caso gli ha dedicato la canzone You are my sister.
Eppure la strada della musica è tortuosa per il ragazzino Antony, che stava per precipitare di nuovo nel buio. Quello di un’altra chiusa, conservatrice, isolata cittadina, questa volta in California, San José. «Avevo 12 anni, i miei compagni di classe mi trattavano male, ascoltavano roba terribile. Mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Ho superato quel momento frequentando gente più grande di me, e più evoluta. Fino alla liberazione, il college di Santa Cruz». S’illumina, Antony, quando si ricorda le parole, ancora di un docente, ma questa volta di tutt’altro tenore: gli aveva detto di aver pianto dopo averlo sentito cantare. «Per me è stato emozionante, il primo tributo alla mia passione. Mi piacevano Ray Charles e Nina Simone, tutte le sere le passavo a scrivere musica, e a suonare».
A 19 anni Antony sbarca a New York. «Una città in eterna evoluzione, dove nessuno mette radici, la gente viene qui da tutti i Paesi del mondo, porta la sua cultura e se ne va. Nulla viene preservato. Un posto che cambia pelle non ogni 10 anni, ogni due. Basti vedere l’architettura, è un continuo buttar giù palazzi e costruirne altri». La dimensione musicale prende dunque forma a New York, dopo una parentesi di trasgressione e le performance da drag queen nei locali di Manhattan. «Gli Stati Uniti sono ancora la frontiera – diceva allora Antony – un posto dove si è davvero liberi di sognare, se fossi rimasto in Europa sarei stato frenato, da un punto di vista creativo». Poi arriveranno dichiarazioni di tono diverso, ben più amaro, e un pezzo dedicato a Obama che trasuda delusione per le speranze disattese dall’ex presidente.
La consacrazione “ufficiale” di Antony risale al 2005, con il secondo album I am a bird now. «A Londra mi hanno dato il Mercury, il premio più prestigioso per la musica in Europa. Non ci potevo credere, è stato scioccante: dai margini della società al riconoscimento globale». Da allora è stata un’ascesa inarrestabile, le tournée, l’ammirazione di artisti celebri (non solo Lou Reed, che in qualche modo l’aveva lanciato) i fan in delirio. Arriva la candidatura all’Oscar per la migliore canzone (assieme a Josh Ralph) con Manta Ray, brano all’interno del documentario Racing Extinction (2016). Anohni diventa la seconda artista transgender – dopo Angela Morley – a conquistare una nomination, ma decide di non partecipare alla premiazione, in polemica con un mondo dal quale si sente sideralmente distante. In Italia ha suonato a Napoli, Roma, Milano, Bari in un festival in cui il tema era “la prima volta”. Ha cantato con Franco Battiato, all’Arena di Verona, e collaborato con Elisa.
«Ricordiamoci che la prima volta – avverte Anohni – è il futuro, quando gli uomini saranno consapevoli dei privilegi che hanno per il solo fatto di essere tali, quando accetteranno il loro lato femminile, quando il patriarcato cesserà di esistere. Quando le donne saranno in primo piano nella politica, nella scienza, nell’istruzione. Io con la mia musica lancio questo messaggio. Dovremmo farlo tutti».
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Giuseppe Lupo
Le fabbriche che costruirono l’italia, 2020
Giulio Busi
La pietra nera del ricordo, 2020
Pia Pera (a cura di Lara Ricci)
Verdeggiando, 2019
Nicoletta Polla Mattiot (a cura di)
Il lusso secondo me, 2019
Marco Carminati
Raffaello pugnalato, 2019
Paolo Bricco
Ritratti italiani, 2019
Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (a cura di)
Viaggi d’arte, 2019
Debora Rosciani, Mauro Meazza
Risparmiare è facile, 2019
Donato Masciandaro, Alberto Orioli
Draghi, falchi e colombe, 2019
Stefano Elli
Gli stangati, 2019
Ennio Cascetta (a cura di)
Perché Tav, 2019
Marco lo Conte
Che ne ho fatto dei miei soldi, 2019
Beniamino Piccone
L’Italia: molti capitali, pochi capitalisti, 2019

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione
  6. Prefazione
  7. Luciana Lamorgese La forza della competenza
  8. Anne-Marie Slaughter Yes we can
  9. Yasmina Reza Aver orecchio per la musica dell’umanità
  10. Anne Applebaum Una voce forte contro i totalitarismi
  11. Dainora Pociute «Europei con orgoglio»
  12. Almudena Grandes Una scrittrice militante
  13. Bina Agarwal Il coraggio delle donne indiane
  14. Taty Almeida La battaglia delle Madres non muore
  15. Pinar Selek In lotta per le minoranze
  16. Iram Saeed Solo l’istruzione ci salverà
  17. Erna Solberg Qui la politica non ha genere
  18. Siba Shakib Tra emancipazione e diritti umani
  19. Maria Anna Potocka Schindler art a Cracovia
  20. Zita Gurmai Mobilitiamo le donne per l’Europa
  21. Carla Cohn La voce di Carla. Sopravvissuta
  22. Martha Nussbaum Uno spirito critico per aprire le menti
  23. Leymah Gbowee Con il dialogo si vince
  24. Nemat Shafik Più donne nell’economia
  25. Paula Diehl Potenza del corpo
  26. Antony/Anohni Hegarty Women first!