#Lockdown. Il giorno dopo
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#Lockdown. Il giorno dopo

  1. 256 pagine
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#Lockdown. Il giorno dopo

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Il tempo scorre in fretta, troppo in fretta. E spesso manca l'occasione per riflettere sia su cosa si stia davvero facendo sia in quale direzione si stia andando.
Per questo le drammatiche vicende della pandemia hanno forse un solo aspetto positivo: l'isolamento forzato spinge a farci domande non solo di tipo esistenziale ma che riguardano le scelte necessarie per uscire dall'emergenza e sui modelli da seguire.
Nelle settimane scorse, a partire da quando è risultato evidente che la crisi era destinata a cambiare la vita di tutti noi, abbiamo dato spazio sulle pagine del quotidiano Il Sole 24 Ore ai contributi di economisti, professori, esperti che hanno colto l'occasione per andare oltre la cronaca e alzare lo sguardo dai singoli alberi alla foresta.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788863457094
Argomento
Economia
Europa & Mondo

Il coronavirus e le tossine dell’incertezza

—Donato Masciandaro
Fanno bene le banche centrali a citare il coronavirus nelle loro previsioni macroeconomiche, ma facendo molta attenzione d’ora in avanti. L’effetto boomerang è dietro l’angolo, se già guardiamo all’estremo risalto che i media hanno dato ai loro interventi. Occorre stare attenti al peso delle parole.
Nei giorni scorsi diversi banchieri centrali hanno illustrato in pubblici interventi lo stato dello scenario macroeconomico per i prossimi mesi: Ignazio Visco a Brescia, Christine Lagarde a Bruxelles, Jerome Powell a Washington. Ciascuno di loro ha dedicato una frase – non di più – all’eventualità che il coronavirus possa incidere sui risultati economici durante il 2020. L’effetto moltiplicativo di quelle frasi attraverso il meccanismo dei media appare rilevante. Oggi non abbiamo e non possiamo avere dati sistematici e robusti, ma guardiamo solo all’impatto sui motori di ricerca di quella frase rispetto al totale dell’evento in cui quella frase è stata pronunciata: per Visco il moltiplicatore è stato pari a 1,51, per la Lagarde è stato 18,3, per Powell arriviamo al 26,8. Numeri immediati e superficiali, che però vanno nella direzione indicata da quello che stiamo imparando in generale sulla politica monetaria: da un lato, le parole dei governatori delle banche centrali contano sempre di più; da un altro lato, i banchieri centrali devono essere sempre più attenti a maneggiare lo strumento dell’annuncio, se vogliono ridurre il rischio di avere effetti che possono essere al contempo non voluti e non desiderati.
Hanno fatto bene i banchieri centrali a iniziare a citare il coronavirus? La risposta è sì. Da un punto di vista economico, il coronavirus rappresenta un caso di epidemia, che a sua volta è una situazione rilevante di evento relativamente raro e imprevedibile. L’evento raro può essere correlato con le variabili economiche nelle due possibili direzioni: le variabili economiche possono essere tra i moltiplicatori di una epidemia e, a loro volta, possono essere influenzate da essa. In entrambi i casi, la ragione di fondo è che l’epidemia è legata alle reti delle relazioni interpersonali. Riguardo le cause di una epidemia, una domanda a cui l’analisi scientifica ha cercato di rispondere è se tale evento sia più correlato con le fasi di espansione o di recessione economiche. Le risposte sono state finora opposte: mentre le ricerche epidemiologiche hanno sottolineato il ruolo delle recessioni, le analisi economiche danno finora più peso alle fasi di espansione economica, in cui gli scambi di merci, servizi e persone sono più frequenti. Quando l’epidemia è avviata, l’azione di prevenzione e contrasto, a seconda del suo disegno, può essere più o meno efficace rispetto al contagio, ma anche più o meno efficiente in termini di analisi economica dei costi e benefici, come mostra uno studio sulla Francia di Jerome Adda del 2016.
Poi c’è l’effetto che l’epidemia può avere sulla dinamica economica. Le reti interpersonali sono differenti per spessore e intensità. Reti fitte e complesse diffondono la tecnologia, ma anche le epidemie. Crescita economica e rischio epidemia possono essere due facce della stessa medaglia. Riguardo al coronavirus, in un momento in cui la durata e la robustezza della fase positiva del ciclo economico sono incognite, anche solo il rischio epidemia può in linea di principio contribuire a far pendere la bilancia verso la recessione. Come? I canali di trasmissione sono due, tra loro intrecciati: l’incertezza e le aspettative. È qui che può entrare in giuoco il ruolo della politica monetaria.
L’incertezza è una tossina, perché rende qualunque tipo di pianificazione più difficile – dal consumo all’investimento. Allora il rischio di un’epidemia non va sottovalutato, le banche centrali devono introdurlo correttamente nei loro modelli, e comunicare le proprie scelte. La Banca centrale neozelandese ha motivato la sua decisione di non modificare i tassi di interesse citando esplicitamente la sua convinzione di non ritenere al momento macroeconomicamente rilevante il fattore coronavirus. Allo stesso modo la Banca centrale messicana, che giovedì ha ridotto i tassi, sta facendo i conti (macroeconomici) degli effetti dell’epidemia da alghe sargasso che ha interessato alcune spiagge del Paese. In parallelo, nessuna autorità pubblica – banche centrali incluse – deve sottovalutare il nesso tra incertezza e aspettative. A parità di altre condizioni, tale effetto è tanto più forte quanto più le istituzioni sono autorevoli, ed è indubbio che in campo macroeconomico le banche centrali lo siano. Allo stesso modo, mercati, imprese e famiglie possono essere suggestionabili. Il rischio boomerang è sempre in agguato.
Sabato 15 Febbraio 2020

Rischio contagio per le catene globali del valore

—Gianmarco Ottaviano
Mentre il mondo continua a seguire con apprensione il conto dei casi di infezione, il nuovo coronavirus è stato ufficialmente battezzato Sars-Cov-2 (e la malattia causata ha ricevuto il nome di Covid-19) in virtù della sua somiglianza genetica con il vecchio coronavirus del 2002-2003 noto come Sars-Cov. Proprio dall’esperienza di inizio secolo è utile partire per cercare di capire gli effetti che l’epidemia in corso potrebbe avere sull’economia cinese e mondiale.
Nel 2003 la crescita cinese subì un netto rallentamento in corrispondenza del picco del contagio, ma si riprese rapidamente una volta passata l’emergenza sanitaria. Lo stesso avvenne per l’influenza aviaria del 2006 e per quella suina del 2009. Nessuno di questi flagelli danneggiò in modo rilevante i mercati globali. Questo spiega perché sul fronte economico la preoccupazione è stata finora relativamente limitata. Il nuovo virus è sì più contagioso, ma anche apparentemente meno letale del suo predecessore. In tutto il Sars-Cov contagiò circa 8mila persone e fece circa 800 vittime: un tasso di mortalità del 10 per cento. Per il Sars-Cov-2 si parla finora di circa 65mila contagi e 1.400 morti: un tasso di mortalità poco superiore al 2 per cento.
Tuttavia le persone non ragionano per percentuali e, più della severità dell’epidemia, quello che sta avendo maggior impatto economico è la reazione all’epidemia. L’impatto negativo più forte si è sentito finora nella provincia di Hubei, dalla cui capitale Wuhan è partito tutto. Le misure di quarantena, imposte dal governo cinese e amplificate dai timori della popolazione, hanno portato molte attività a un’interruzione prolungata o a un notevole rallentamento. A parte i medicinali e le derrate alimentari, ben poche merci si possono muovere tra le città e i paesi della provincia colpita. Parliamo di un’area con una popolazione paragonabile a quella dell’Italia e un peso del 4,5% sul Pil cinese. Pur trattandosi di poco meno di un terzo del peso economico dell’Italia in termini di Pil, la rilevanza della provincia di Hubei non è certo trascurabile.
Turismo, ristorazione, intrattenimento e trasporti sono state le prime vittime del Sars-Cov-2, in Cina come altrove. In Thailandia le proiezioni parlano di un calo di più del 20% del turismo cinese, che equivale a 1,5 miliardi di dollari in meno per l’industria turistica locale. In generale, tutti i settori produttivi che hanno nella Cina un importante cliente o fornitore hanno di che preoccuparsi. Da un lato, ci sono le imprese, come quelle della moda italiana e del lusso che in questi anni hanno beneficiato del crescente potere d’acquisto dei ceti medio-alti cinesi. Dall’altro, c’è la galassia di imprese che ruotano intorno alla cosiddetta Fabbrica Cina. Da questo punto di vista, il rallentamento degli stabilimenti cinesi potrebbe avere effetti sull’intera industria manifatturiera globale.
La stessa città di Wuhan è un centro di produzione di rilevanza mondiale, soprattutto nel settore automobilistico. Gm, Honda e Nissan hanno tutte impianti lì. Bloomberg colloca Wuhan al 13esimo posto nella classifica delle 2mila città cinesi più importanti per le catene globali del valore. La Yangtze Optical Fibre and Cable, che ha una forte presenza locale, è il maggiore produttore mondiale di cavi per la trasmissione dei dati. Secondo l’“Economist”, circa l’80% dei princìpi attivi dell’industria farmaceutica mondiale viene dalla Cina. Un indicatore emblematico dell’importanza dell’economia cinese per il resto del mondo è il prezzo delle azioni della Foxconn, il colosso taiwanese con una dozzina di fabbriche in Cina che produce telefoni per la Apple. Da quando il mondo si è accorto della minaccia del Sars-Cov-2, il titolo ha perso il 10 per cento.
È per questa centralità della Fabbrica Cina nelle catene globali del valore che un effetto di lungo periodo dell’epidemia potrebbe essere quello di convincere le imprese a ridurre la loro dipendenza da un numero limitato di aree produttive della Cina, diversificando in termini di clienti e fornitori. Studi sulle difficoltà incontrate dalle imprese manifatturiere cinesi durante la precedente epidemia di Sars testimoniano l’importanza di tale diversificazione. In quell’occasione, le importazioni delle imprese cinesi diminuirono in media di circa un decimo quando l’itinerario lungo cui viaggiavano le merci passava per aree colpite dalla Sars, ma si dimezzarono nel caso di imprese poco diversificate in termini di fornitori e itinerari alternativi. Questo si tradusse in un minore aumento dei costi di produzione per le imprese con più alternative.
Da allora, gli investimenti cinesi in infrastrutture hanno rafforzato la resilienza delle imprese locali alle epidemie, facilitandone la diversificazione nell’approvvigionamento globale. Al tempo stesso però, è cresciuta anche la rilevanza delle catene globali del valore e il peso della Cina per i mercati globali è aumentato di quattro volte, passando dal 4 al 16% del Pil globale. L’economia mondiale non è mai stata così pronta ad assorbire uno shock di questo tipo, ma la sua forza potrebbe essere molto maggiore che nel 2003.
Giovedì 20 Febbraio 2020

Un antivirus chiamato globalizzazione

—Giovanni Tria
La globalizzazione va maneggiata con cura, soprattutto l’attuale fase della globalizzazione: quella caratterizzata dall’iper-connessione, produttiva e finanziaria, e dalla veloce circolazione non solo delle persone e delle merci, ma delle idee, delle aspettative, delle paure. Gli animal spirits di cui parlava Keynes come i motori del comportamento umano, e quindi delle economie, sono determinanti ancora oggi e producono rapidi effetti sul piano globale, pur generandosi attraverso i filtri locali o nazionali, ancora esistenti, delle diverse culture e tradizioni. Le aspettative, che determinano ogni azione umana, rispondono alle informazioni disponibili, ma la loro interpretazione non è sempre razionale e l’iper-connessione e la rapidità della circolazione di ogni tipo di informazione rischiano di trasformare rapidamente situazioni di incertezza locale in crisi sistemiche globali.
Le conseguenze economiche, dirette e indirette, dell’epidemia del coronavirus scoppiata in una provincia della Cina, dipenderanno molto proprio dalle aspettative e dai timori che si affermeranno, oltre che dai dati oggettivi dell’estensione dell’epidemia e della conseguente durata dell’interruzione dei circuiti produttivi e di consumo che la necessità di frenarla ha determinato.
Le stime sul possibile rallentamento della crescita economica globale, causato dall’impatto sull’economia cinese dei provvedimenti adottati in Cina e nel resto del mondo per contrastare l’epidemia, indicano, con i margini di incertezza connessi a ogni previsione, un intervallo tra mezzo punto e un punto percentuale di minore crescita del Pil cinese su base annua. Anche se queste stime oscillano, perché condizionate da differenti ipotesi sulla durata dell’epidemia e sulla sua delimitazione geografica, si tratta di un rallentamento non indifferente per l’economia globale a causa del peso raggiunto dall’economia cinese sia dal lato della produzione sia dal lato dei consumi (quasi un quinto del Pil mondiale, se misurato in termini di parità di potere d’acquisto), un peso attuale che rende fuorviante il riferimento agli effetti dell’epidemia della Sars avvenuta nel 2003. L’effetto globale si farà quindi sentire, maggiormente nei Paesi in cui le specifiche specializzazioni produttive sono più integrate in catene produttive, come il farmaceutico e l’automotive, in cui il ruolo della produzione cinese è rilevante o che più dipendono dal mercato cinese come destinazione finale dei beni e dei servizi.
L’effetto diretto sull’economia europea e italiana, allo stato attuale delle informazioni, dovrebbe limitarsi a qualche decimale di crescita in meno, un effetto di breve periodo che tuttavia, incidendo su economie già depresse per le incertezze derivanti dalla guerra commerciale ancora in corso nelle sue varie versioni, non può essere trascurato. Tuttavia, preoccupano maggiormente i potenziali effetti indiretti.
Le autorità cinesi, nell’inevitabile trade off tra misure drastiche di contenimento dell’epidemia e tentativi di limitazione dei danni economici, hanno rapidamente optato per le prime con provvedimenti che appaiono senza precedenti per la dimensione della popolazione coinvolta, la radicalità degli interventi e il numero dei settori produttivi e sociali interessati.
Questa scelta si rivelerà vincente anche sul piano economico, sia per la Cina sia per il resto del mondo, se tutti gli attori manterranno mente fredda accettandone l’impatto transitorio senza trasformare le incertezze di breve periodo in un motivo di distorsione e indebolimento delle catene produttive o di sostegno alle tesi di de-globalizzazione, il cui effetto sull’economia mondiale, e su quelle nazionali, sarebbe certamente più prolungato e distruttivo. Mente fredda si richiede innanzitutto al sistema delle imprese e della finanza che devono trovare i modi di assorbire e sterilizzare, anche sul piano contrattuale e transattivo, gli effetti delle possibili interruzioni transitorie dei circuiti produttivi e finanziari interconnessi. In caso, concordando con i governi un sostegno, sul piano della regolamentazione e finanziario, transitorio e attentamente mirato.
Ma forse gli animal spirits che agiscono nel sistema delle imprese e della finanza sono ancora i più affidabili. Il rischio può venire maggiormente da reazioni non adeguate dei governi, sia perché a volte meno consapevoli di cosa siano oggi l’economia globale e le interconnessioni tra le economie nazionali, sia perché si muovono in un orizzonte politico nazionale in cui non sempre riescono a essere guida, ma al contrario vedono vantaggi di breve periodo nel “seguire” gli umori e i timori, anche quelli irrazionali, delle popolazioni.
Non si deve dimenticare che uno dei principali effetti positivi di un mondo interconnesso è quello di favorire la produzione di beni pubblici globali, quali sono la lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico, la diffusione della conoscenza e dell’istruzione, il progresso nella medicina e la lotta alle malattie endemiche. I mali pubblici globali, come le possibili pandemie, sono oggi contrastabili più facilmente, nonostante tutto, nel mondo interconnesso che, ricordiamolo sempre, è abitato da 8 miliardi di persone che faticosamente devono trovare il modo di convivere. Anche in questa difficile situazione, quindi, non possiamo guardare alla Cina solo come a un enorme mercato in difficoltà, ma come a un Paese cruciale per il successo di questo obiettivo.
Sabato 22 Febbraio 2020

È arrivato il tempo per gli EuroUnionBond

—Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio
“EuroUnionBond” era il titolo di due nostri articoli su “Il Sole 24 Ore” nel 2011 e nel 2012. Il connettivo “Union” aveva e ha un significato profondo per chi come noi è un europeista convinto. Adesso il tema degli Eurobond sta ritornando di urgente attualità: l’epidemia del coronavirus obbliga a riprendere in esame questa proposta come strumento indispensabile per fronteggiare le conseguenze socioeconomiche di una crisi che inevitabilmente provocherà un rallentamento dell’economia europea e forse una recessione, nella quale l’Italia già tecnicamente si trova.
Questo tragico evento ci conferma che un’Unione economica e monetaria rimane incompleta e fragile se non è accompagnata dalla presenza di soggetti istituzionali in grado di emettere titoli di debito pubblico con i quali finanziare le necessarie politiche di interesse generale.
Politiche che sarebbero state utili e opportune anche in passato, ma che sono ora indispensabili e urgenti per effetto degli eventi che ci fanno oggi soffrire.
Queste affermazioni dovrebbero essere considerate ovvie ma sappiamo per esperienza che solo l’uso del termine “Eurobond” ha, negli anni passati, susci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione
  6. Europa & Mondo
  7. Italia: economia & società
  8. Imprese, credito, lavoro