Racconto n. 1
I Gatti della Dama Merenwen
di Scilla Bonfiglioli
Dama Merenwen Oronar giunse nel querceto sul suo cocchio, trainata da cento gatti.
Nel vederla arrivare, Selidor alitò un incantesimo e tracciò un pantacolo nella terra.
Lei affilò lo sguardo.
– Prendi precauzioni nei boschi degli Oronar?
Era bianca come la luna, Dama Merenwen. Sembrava anche un tantino impertinente.
Scese dalla carrozza e i gatti le strofinarono le caviglie, imbrigliati in catene d’argento.
Selidor strinse le labbra, colto in flagrante, e lanciò uno sguardo a Jardin.
– Non si sa mai – esalò alla fine.
– Perché siete qui?
Il pentacolo tutelare era fin troppo visibile. Mentre la Dama s’arrampicava sulla quercia che aveva scelto per trono, Selidor lo nascose coi lembi della veste, standosene al sicuro al centro.
I raggi della luna filtravano tra i rami trasformando il bosco in una laguna di sogni. Tintinnando le redini, i gatti s’acquattarono tra le radici o balzarono sui rami attorniando i nuovi venuti.
Jardin piegò il ginocchio.
– Elihadel è sotto assedio, signora della bruma. Chiediamo il tuo aiuto per salvare la città.
Il necromante scrutò la bianca Merenwen.
Fosse stato per lui, avrebbe animato uno o due soldati di fango per costringerla ad aiutarli. Ma l’elfo aveva piantato una grana. Non è il modo di trattare la Dama, aveva detto.
– Rispondete all’indovinello e questa stessa notte veglierò le mura di Elihadel – propose lei con voce roca. – Sbagliate e prenderò per me il resto dei vostri giorni.
Confusi nell’ombra, i gatti li puntavano con occhi luccicanti come gioielli maligni.
Selidor si compiacque del proprio pentacolo e ci si assestò meglio.
– Avanti – brontolò, sbrigativo.
– Dormono nel querceto, senza più posto nel mondo – cantò Merenwen. Tra le fusa dei gatti la sua voce era sinistra. – Hanno una nuova veste per occultare il loro essere profondo.
Jardin cercò la complicità del mago. – Lo sai?
– E tu? – chiosò Selidor. – La saggezza degli elfi dov’è andata a finire? La soluzione, comunque, è che c’inganna l’apparenza delle cose.
Dama Merenwen dal suo albero sotto la luna fece un sorriso torvo. Anche se non si mosse, il necromante sentì l’alito caldo sul collo, le mani unghiute di lei accarezzargli la gola.
Reagendo alle sue parole, le ombre dei gatti fremettero inquiete. Si allungarono sulle cortecce prendendo forme umane. O forse, pensò Selidor, per riconquistarle.
Riconobbe fanciulli, in quelle catene d’argento, marinai dell’arcipelago, elfi di Elihadel scomparsi da tempo. Un nano, perfino.
– Sono i tuoi gatti, signora – Jardin sembrava sorpreso – che non hanno posto nel mondo, se non nei tuoi boschi, a cui hai dato nuove sembianze. Sono tutti coloro che non hanno indovinato.
– Il mago ha visto giusto, ma il responso non è esatto. – Silenziosa, scivolò giù dall’albero mentre le ombre del bosco tornavano gatti. – Il tuo invece lo è, Jardin di Elihadel. In fede alla mia promessa mi recherò alle mura della città.
Spregiudicata, diede loro la schiena nuda e risalì sul cocchio. Si allontanò coi gatti in un tintinnare argentino.
Selidor guardò il pentacolo attorno ai propri piedi. I simboli esterni si erano rovinati quando la forza di Merenwen era quasi giunta fino a lui.
Ringraziò se stesso di essere l’abile mago che era.
– I rischi li corro io – sbottò – e i meriti te li prendi tu, elfo.
Jardin rise, avviandosi nel querceto che frusciava sotto le stelle.
– Torniamo a Elihadel, amico mio. Vieni.
Selidor stiracchiò la schiena, cancellò un bordo del pentacolo e seguì l’elfo. – Jardin! – gridò.
L’elfo vide soltanto il mantello svuotato del necromante cadere a terra.
– Selidor!
Balzò a frugare la veste, pallido, e chiuse le mani su un gatto.
Nero come l’inchiostro, arruffato come solo un necromante poteva essere. E guardava Jardin con occhi gialli colmi di disappunto. Miagolò.
Jardin sospirò di sollievo nel chiarore della luna fatta a spicchi dai rami.
– Almeno – lo consolò, prendendolo in braccio – non ti ha legato a un cocchio per l’eternità.
Selidor lo graffiò.
Poi si sistemò al caldo sotto al mantello di Jardin.
Note al racconto: davvero ben costruito. Un racconto in cui l’autrice non dimentica che anche nel fantasy si può sempre essere originali e sorprendere il lettore. Ironico quanto basta, con personaggi ben caratterizzati. Sorpresa finale divertente e ben giocata. Forse Selidor non sarà della stessa idea, ma il lettore ne esce deliziato!
Racconto n. 2
Il libro di Morigon
di Simonetta Fornasiero
I cardini scricchiolavano a ogni colpo, spargendo polvere e calcinacci. La porta tratteneva la violenza dei guerrieri ma non le loro urla, che profanavano di minacce il silenzio purissimo della sala.
– Selidor, muoviti! Non ne avremo per molto! – ansimò Jardin, accatastando vecchie casse, per ritardare l’assalto.
Il Mago era inginocchiato al centro del locale. Lame di luce, precipitando dal soffitto, proiettavano geometrie di tenebra sul volto scarno. A occhi chiusi, mormorava brandelli di incantesimi inefficaci.
– Molibor… No. Moridon… Nemmeno.
– Selidor! Smetti di giocare! – strillò l’elfo, investito dalle schegge.
– Taci, Jardin! Altrimenti come posso concentrarmi? – tuonò lo stregone.
– Prova con l’incantesimo di reminiscenza! E questa è l’ultima volta che ti assecondo! Lo giuro! – Il suo sguardo si incendiò sul Mago e le mura tremarono, dilatando il suono in una bassa vibrazione che divorava le millenarie pareti della biblioteca.
– Non mi farai più complice dei tuoi furti, intrappolandomi con malinconici ricordi! Attento Mago – ruggì ancora, il cuore in sincrono con gli impatti.
– Oh, be’! – Selidor tossì una risata sommessa – Mi limito a preservare il presente da un futuro incerto.
– Lo vedo!
– Credevo che il tuo popolo amasse la lettura.
– Sbrigati! – Un poderoso urto aprì una fenditura dalla quale ora si scorgeva il gruppo inferocito.
Selidor restava immobile, tra i palmi un libro: la copertina consunta raccontava delle mani che l’avevano sfogliato.
– Memorie… offuscate da anni di attesa – si lamentò sottovoce.
Una freccia pronta a scoccare spuntò dallo squarcio nel legno e Jardin afferrò la daga per tranciarla, ma un’altra collisione divelse un’asse, vanificando gli sforzi. Arretrò di alcuni passi e imbracciò l’arco, deciso a fronteggiare lo sfondamento imminente, mentre il clangore, crescendo, riduceva in gemiti la speranza.
Silenzio… Le grida si attutirono in una quiete irreale e l’elfo si voltò, incredulo.
Aria… Una brezza innaturale spirava, come un alito estraneo vestito di vento, sprigionato dal corpo del mago. Selidor serrava ancora le palpebre e muoveva le labbra in un bisbiglio. Dondolava le spalle, inseguendo una muta melodia.
– Morigon, Morigon vola! Vola su ali d’argento! A te ordino: torna a chi invoca il tuo nome! Morigon, scaglia la tua ira e riconosci chi brama il tuo infinito sapere!
Le parole risvegliarono un sospiro sulla sua testa, che si infiammò nella danza di migliaia di stelle.
– Elementali? – domandò Jardin.
La porta infine si arrese, proiettando frammenti e strepiti. L'orda irruppe per punire i colpevoli del sacrilegio, ma le folate, sul capo di Selidor, si arrestarono, ondeggiarono feroci e si addensarono in uno sciame cupo che investì i responsabili di ben più oltraggioso delitto. I soldati si dispersero come nubi al di là dell’uscio scardinato e la burrasca vorticò ancora, spegnendosi in un refolo leggero tra la carta ingiallita.
Lo stupore esitò nella riconquistata pace della sala, tra le macerie della battaglia incompiuta e una risata frullò come un palpito d’ali lanciato al cielo. Una donna si condensò davanti a loro, appena un respiro sottratto alla bruma. L’elfo deglutì affascinato: i capelli di rame erano spirali di luce.
– Selidor, stregone, infine sei giunto – soffiò lei.
– Morigon, quattro lustri sono trascorsi…
– Ma nulla è mutato tra le pagine della mia prigione – espirò in un alito caldo che imporporò il viso di Jardin.
– Era questo che cercavi tra gli edifici fatiscenti? Ti devo delle scuse, amico mio, per aver dubitato di te.
Selidor sorrise obliquo e si mosse lento verso la soglia coronata di pietra. Serrò avido le dita sulla liscia pelle del libro: oramai era suo.
– Mago, dimentichi! Il potere di Morigon esige un pegno! – sibilò la dama e si riaccese in ostili volute.
– Tutt’altro! – I passi strisciarono sul pavimento violato dal tempo. – L’elfo… è tuo!
Jardin non emise neppure un grido.
D'altronde, la sua razza aveva sempre messo a disagio il Necromante.
Note al racconto: una classica situazione fantasy regalata al lettore con un buon ritmo, che ricostringe a leggere fino alla fine. Anche qui una sorpresa ben orchestrata e che lascia sensazioni durature anche dopo aver terminato il racconto.
Racconto n. 3
Il vero pericolo è solo nel potere
di Liudmila Gospodinoff
− I morti vogliono riposare in pace. Per colpa tua, invece, camminano nei boschi. Hai qualcosa da dire in tua discolpa, mago?
− Fottiti – rispose Selidor.
Lo schiocco volgare di una sberla.
– Abbiamo ordine di giustiziarti subito.
– Allora state perdendo tempo.
Gli stivali dell’ufficiale ruotarono verso di me. Alzai lo sguardo su una fila di facce ostili. I soldati mi tenevano per le braccia.
− E tu, elfo? Chi sei?
− Mi chiamo Jardin – risposi – Ho incontrato il mago in una taverna, ieri sera. Mi ha chiesto di proteggerlo fino al confine dell’Impero. Aveva paura di qualcosa. Non mi aveva detto di avere guai con la giustizia.
− Sei un mercenario?
Scossi la testa. A dire il vero, conoscevo Selidor da tempo, ma non era il caso di raccontarlo.
− Sta mentendo – interloquì una voce anonima. – Tutti i maghi hanno un assistente.
E quella fu la mia condanna a morte. Amen. Guardai Selidor, sperando che si decidesse a parlare in mio favore, ma ancora una volta non lo fece. La mia vita gli era indifferente: a lui interessavano solo i morti.
Esaminai la fossa ai miei piedi e deglutii. Qualcosa di grosso e minaccioso si agitava sul fondo.
− Buttateli giù – ordinò l’ufficiale.
Fu una bella caduta, ma l’impatto non fu troppo duro: di sicuro Selidor intervenne con qualche magia. Mi rialzai e presi a frugare nella borsa stregata alla cintura, dove avevo nascosto le mie armi. Estrassi l’arco e la faretra, armeggiando con dita nervose. Vedevo ossa sul terreno, troppe ossa.
− Calma, Jardin – disse il mago − Il vero pericolo è solo nel potere.
Parole oscure, ma avevo altro a cui pensare: il mostro ci aveva fiutato. Si voltò in uno sbuffo di fumo grigio. Un colpo di coda abbatté una quercia, che saltò in aria agitando le radici. Vidi alberi bruciati, terra secca.
Che cosa ci fa un drago in una fossa?
Ebbi su...