Tecnologie e sviluppo del benessere psicobiologico
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Tecnologia - saggio (209 pagine) - Un prontuario di sopravvivenza attiva, pensato per genitori, psicologi e psicoterapeuti. Alcune semplici regole per ridurre la fatica della genitorialità e contribuire al benessere psicobiologico dei bambini.

La tecnologia ha cambiato comportamenti e abitudini, modi di pensare, di relazionarsi agli altri e a sé stessi, il modo con cui classifichiamo la realtà di cui facciamo esperienza. L'identità del proprio Sé non è un regalo del nostro codice genetico, neppure una destinazione finale. È un viaggio continuo, fatto di impegno e duro lavoro individuale. È un processo che inizia dall'infanzia e dura nel tempo, impegnando funzioni cognitive, emotive, relazionali e processi biologici profondi. Dall'esito di questo viaggio discenderà la capacità del cucciolo umano di soddisfare nella vita, in modo indipendente, i suoi bisogni di fondo, ovvero salute e benessere. Il processo vede coinvolti genitori e figli, giovani e adulti, maschi e femmine. Inizia con il differenziare se stessi dagli altri e con il rispecchiarsi dentro uno specchio. Oggi lo specchio è diventato un display. Il viaggio che porta alla costruzione del Sé avviene in costante compagnia di tecnologie che disegnano nuove mappe mentali e relazionali. Creano al tempo stesso nuovi bisogni, sollecitando interrogativi pressanti e suggerendo nuove riflessioni. Chiamati a una riflessione critica e consapevole sono soprattutto i genitori di bambini e bambine che stanno crescendo e sviluppando il loro Sé in stretta simbiosi con i dispositivi che i genitori hanno loro regalato. Sempre connessi, i bambini digitali sono in realtà alla costante ricerca di rapporti solidi e duraturi. Per comprendere cosa i bambini vogliano veramente, i genitori devono essere in grado di identificare rischi e opportunità, adottando buone pratiche utili per prevenire o eliminare i primi e favorire le seconde. Questo e-book è rivolto principalmente ai genitori. Propone alcune regole, un prontuario di sopravvivenza attiva, da adottare per contribuire allo sviluppo psicobiologico sano ed equilibrato dei loro figli e per ridurre la fatica della genitorialità.

Carlo Mazzucchelli,dirigente d'azienda, filosofo e tecnologo,è il fondatore di SoloTablet, un progetto dedicato a una riflessione critica sulla tecnologia. Esperto di marketing, comunicazione e management, ha operato in ruoli manageriali e dirigenziali in aziende italiane e multinazionali. Focalizzato da sempre sull'innovazione ha implementato numerosi programmi finalizzati al cambiamento, a incrementare l'efficacia dell'attività commerciale, il valore del capitale relazionale dell'azienda e la fidelizzazione della clientela, attraverso tecnologie all'avanguardia e approcci innovativi. Giornalista e storyteller, autore di 16 ebook, formatore, oratore in meeting, seminari e convegni. È esperto di Internet, social networking, ambienti collaborativi in rete e strumenti di analisi delle reti sociali.

Alessandro Bianchi,psicologo e psicoterapeuta,è fondatore dell'Istituto di Psicologia Funzionale di Firenze. Socio SIPNEI e coordinatore per l'Area Psicoterapie nella commissione nazionale Dis.Co.PNEI, svolge attività in molteplici settori che spaziano da quello clinico, a quello formativo, ad attività di più ampio respiro sociale e culturale, con particolare attenzione alle problematiche dell'età evolutiva, alla prevenzione del disagio psicosociale ed alla promozione della salute e del benessere. È C.T.U. Presso il Tribunale di Firenze e docente di Scuole di Specializzazione in Psicoterapia. Svolge supervisione scientifica delle attività svolte dall'Asilo Menarini Baby, impostato secondo la Psicologia Funzionale a Firenze.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788825407549

1. Capitolo introduttivo

Cellulari, tablet, videogiochi e piattaforme digitali di comunicazione sono prodotti dall’essere umano che li ha inventati. Lui solo può gestirli in modo compatibile con le proprie caratteristiche di Homo sapiens (prodotto dell’evoluzione da Homo habilis e Homo erectus).
Potremmo pensare che non dovrebbero esservi grandi difficoltà se non fosse che l’uomo, con una accelerazione progressiva nell’ultimo secolo, è stato in grado di produrre tecnologie che possono andare oltre le proprie capacità di gestione. Senza tirare in ballo la scoperta dell’energia atomica, pensiamo all’invenzione, oggi quasi banale, dell’automobile.
Quando iniziò a essere utilizzata, alla fine dell’ottocento, nessuno avrebbe potuto immaginare che l’automobile in poche generazioni avrebbe così drasticamente trasformato lo stile di vita di ognuno, la struttura e la vivibilità delle nostre città, la chimica dell’aria che avevamo respirato per millenni, ma anche il modo stesso di percepire e pensare noi stessi, gli altri e l’ambiente. La possibilità nuova nella storia dell’uomo, per esempio, di poter abitare in un luogo e lavorare in un altro ha cambiato completamente il vissuto dello spazio e del tempo, più o meno stabile nei millenni precedenti. Molti di questi effetti sono inattesi e gestibili in modo problematico.
Su grande scala oggi il mercato dell’automobile, che sia o meno in crisi e in fase di grande trasformazione (basti pensare all’arrivo di auto senza autista dotate di intelligenza artificiale, ma anche dei servizi di car sharing e della sperimentazione di droni per la mobilità cittadina), è una componente significativa dell’economia mondiale con ricadute massicce sull’ecosistema globale in larga parte ingestibile dal singolo individuo. Ma anche la gestione, su scala individuale, della singola autovettura richiede una corrispondenza, problematica, tra caratteristiche tecniche e capacità dell’Homo sapiens inesorabilmente legate al funzionamento dei suoi peculiari processi psicobiologici (poco cambiati negli ultimi 150.000 anni). Questi ultimi costituiscono il limite d’uso invalicabile per la tecnologia automobilistica.
Una utilitaria media pesa circa 1.200 chili, come 16 uomini di 75 chili. Per spostarla di un chilometro occorrono 3000 Kilojoule (Il joule è una unità di misura dell’energia), mentre per lo stesso spostamento a piedi di un uomo di media taglia ne occorrono 200. Siamo sempre sul rapporto di circa 1 a 15. Questo significa che per spostare una persona in auto si utilizza l’energia che serve a 15 persone per spostarsi a piedi. Una bella differenza. Ricordiamoci inoltre che quando l’auto viaggia a 50 km orari (limite massimo urbano) anche il guidatore e i passeggeri che vi sono all’interno si muovono alla stessa velocità. In pochi centesimi di secondo, in caso di urto frontale con un muro, l’auto si ferma e scarica la propria energia deformandosi (accartocciandosi), stessa sorte che accade ai passeggeri che, all’interno dell’abitacolo, proseguono a muoversi alla stessa velocità con conseguenze facilmente prevedibili.
Le stesse campagne contro gli incidenti stradali, che paragonano l’auto a un’arma letale ci ricordano (con la stessa simpatia ed effetto delle immagini raccapriccianti sui pacchetti di sigarette) che essere travolti da una massa di 1200 kg a 50 all’ora non è piacevole, come non lo è per chi vi è dentro.
Al netto di guasti tecnici (che comunque rientrano anch’essi nei limiti umani di gestibilità della tecnologia), di manovre avventate di pedoni distratti (idem) e di inopinate aperture di voragini nelle strade, tutti gli incidenti avvengono per superamenti dei limiti psicobiologici di chi è alla guida. Guidare un’auto in sicurezza richiede infatti il rispetto di necessità psicofisiche precise: tempi di riposo adeguati, lucidità e riflessi adeguati, tasso alcolico nel sangue entro una certa soglia, ma anche stato d’animo adeguato (non si può guidare sull’orlo di una crisi di panico o di stress emotivo), e adeguato senso di responsabilità. Oltre questi limiti è l’auto che domina l’umano e non viceversa.
Gli strumenti tecnologici dei quali parliamo in questo libro sono molto più leggeri di una automobile, ma non per questo hanno un impatto minore e richiedono una convergenza rispettosa con le caratteristiche dell’Homo sapiens evoluto che li utilizza. Altrimenti, vedremo, rischiano anch’esse di “accartocciarlo”. È un impatto più elusivo di quello con un guardrail, ma reso non meno pericoloso dal fatto che le statistiche degli incidenti tecnologici non siano (ancora) a nostra disposizione (come non lo erano per le auto prima del loro boom).
Siamo all’interno di un cambiamento antropologico rilevante del quale ci è difficile cogliere le dimensioni e gli sviluppi futuri, come lo è stato per l’avvento dell’auto. Non sappiamo bene dove andremo ma sappiamo molto da dove partiamo. Di questa relazione tra tecnologie ed essere umano, ovvero dei limiti entro cui poterle utilizzare (e farle utilizzare ai propri figli) in modo corretto, andiamo a parlare.

1.1 Non siamo rettili…

Il cervello di tipo rettiliano che si trova nei mammiferi è fondamentale per le forme di comportamento stabilite geneticamente, quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in vari tipi di parata [comportamenti dimostrativi], cacciare, ritornare alla propria dimora, accoppiarsi, [procreare , subire l’imprinting, formare gerarchie sociali e scegliere i capi.
Paul Donald MacLean
Se, come in alcuni film di fantascienza (Alien, La guerra dei mondi, Mimic e molti altri), fossero stati i rettili e non gli umani a evolversi sino a essere la specie dominante alcune cose sarebbero state più semplici. I patemi della genitorialità sarebbero ridotti a poca cosa, concludendosi con il parto. Nessuna relazione di accudimento successiva sarebbe stata necessaria. Il rettilino, appena partorito (per la precisione, appena uscito dall’uovo che lo conteneva) se ne sarebbe andato via, vispo sulle proprie gambe, preoccupandosi da solo a come procacciarsi il cibo, scansare i predatori e affrontare i rischi della vita. Pienamente autonomo.
Un notevole risparmio di stress per i genitori animali: sonni tranquilli, ansie evitate e soldi risparmiati per vestiti, cibo, cellulari e feste di compleanno. La cosa sarebbe stata molto semplice, forse troppo, tanto che i rettili non si sono evoluti granché: dimensioni a parte sono più o meno gli stessi dal Mesozoico (più o meno 230 milioni di anni fa). L’essere umano, animale filogeneticamente più giovane e complesso, invece lo ha fatto, anche se nel suo sviluppo di affrancamento dall’origine animale ha continuato a portare in sé tracce dell’epoca rettiliana. Tanto che una parte del suo cervello è per l'appunto chiamata “cervello rettiliano”. È la parte più bassa, denominata tronco dell’encefalo, attaccata alla parte superiore del midollo spinale, costituita da parti del mesencefalo, dal diencefalo e dai gangli della base, definita nel suo insieme R-complex.
Al rettile era sufficiente, e lo è ancora oggi, per prendere possesso del territorio, difendersi dagli attacchi e accoppiarsi. Quanto bastava e basta ad attivare gli schemi motori e i comportamenti adeguati alla sopravvivenza e all’auto-conservazione. Il tutto in modo molto veloce, istintuale, senza necessità di perdere tempo nelle riflessioni in cui noi umani amiamo indugiare prima di prendere una decisione.
A rigor del vero, dal punto di vista anatomico, il tempo ha infierito sul cervello rettiliano umano, tanto da non farlo più rassomigliare granché all’originale. Ne mantiene solo vaghe assonanze, come la lingua italiana non assomiglia molto all’antico protoindoeuropeo dal quale pare abbiano avuto origine i vari ceppi linguistici indoeuropei, ma ne mantiene tracce, in qualche modo le incorpora creando legami di parentela con le altre lingue, ancora oggi parlate come quelle greche, germaniche e anatoliche. Esattamente come ognuno di noi non assomiglia molto all’avo di qualche secolo fa, dal quale indubbiamente discende e col quale il proprio genoma umano è imparentato.
Per alcuni neuroscienziati è nella sua funzione, ovvero nel modo in cui gioca la sua parte nel cervello umano, che la parentela col cervello rettiliano sembrerebbe apparire un po’ più stretta. Anche noi, evoluti cittadini metropolitani, a volte attuiamo dei comportamenti istintuali che precedono ogni ragionamento. Non quando il ragionamento è poco chiaro e consapevole (vi sono vari tipi di ragionamenti, non solo quello razionale, in questo senso anche il neonato ragiona), ma quando il nostro corpo viene mosso per via diretta dalla consolle rettiliana. In casi estremi: c’è un terremoto e prima di rendercene conto stiamo scappando. In situazioni più quotidiane: i nostri piedi premono sul freno dell’auto prima di capire se l’ostacolo che abbiamo intravisto sia un gatto o uno scatolone portato dal vento.
Per neuroscienziati e autori come MacLean(1913-2007) c’è di più. Il cervello di tipo rettiliano che si trova nei mammiferi (e l’uomo lo è) avrebbe un ruolo importante per alcune forme di comportamento stabilite geneticamente: quali scegliere il luogo dove abitare, prendere possesso del territorio, impegnarsi in comportamenti che dimostrano il ruolo nella gerarchia sociale, cacciare, accoppiarsi. In questi casi il cervello rettiliano provvederebbe direttamente a contrarre i muscoli da muovere in modo adeguato: le gambe che corrono al manifestarsi del terremoto, il piede che preme il pedale del freno, e forse anche la mano che preme compulsivamente l’icona giusta del tablet nei giochi di rapidità.
Ma qui, al massimo, si conclude la nostra parentela con l’avo rettiliano.

1.2. …Siamo scimpanzé Pan troglodytes (al 96-98%)

La teoria dell’evoluzione ci spiega che noi, come gli altri animali, sviluppiamo le doti più adatte a vivere nel nostro mondo. Riusciamo a conoscere i sassi, le pozzanghere, gli alberi, ma non l’infinitamente piccolo o l’infinitamente grande. Il nostro cervello è fatto per comprendere cose lunghe dei metri e che durano dei secondi. Per tutto il resto facciamo grandi sforzi, è vero, ma dobbiamo renderci conto che in quel momento stiamo dimenticando la nostra biologia. E che dunque non facciamo altro che arrampicarci sugli specchi.
Edoardo Boncinelli
Vi diamo adesso, assieme a verità sacrosante, anche due informazioni errate che verranno spiegate alla fine del paragrafo. Chi le individua è bravo.
Per decidere come comportarsi al rettile bastava e basta un cervello che sovrintende alle funzioni della sopravvivenza: circolazione sanguigna, respirazione, sonno, contrazione dei muscoli in risposta agli stimoli esterni, riproduzione. I comportamenti fondamentali di attacco e di fuga venivano attivati direttamente nelle connessioni motorie, senza necessarie mediazioni. La conquista del mondo digitale e l’uso dei suoi strumenti, anche immaginando fantascientifiche evoluzioni e viaggi nel tempo, sarebbe stata preclusa.
Il mondo dei mammiferi è invece più complesso, ha maggiori necessità e potenzialità. Già nella sua maturazione intrauterina (i mammiferi non fanno uova come i rettili) si generano legami con la madre più diretti e complessi e, tramite essi, con l’ambiente esterno. Il tempo di gestazione generalmente più lungo (dai 20 giorni del topo, ai 210 dello scimpanzé, ai 280 dell’uomo, ai 600 dell’elefante) testimonia il download (in futuro secondo i teorici del transumanesimo forse tramite chiavetta USB?) di un programma pesante, che richiede tempo, risorse e numerose avvertenze d’uso.
Ma ancor più di una semplice installazione, la fase della gestazione è un tempo nel quale il programma viene in gran parte scritto. Se preferite un paragone culinario, la gestazione umana non è la cottura di una torta con gli ingredienti già pronti nelle dosi stabilite (come le bustine standard che troviamo nei supermercati), ma la preparazione, per certi versi l’invenzione, di una ricetta unica: avendo a disposizione una dispensa molto più ricca di quella rettiliana, lo chef interno sceglierà e doserà, arrivando a produrre ciambelloni, profiteroles o millefoglie personalizzati (tutti dolci degnissimi …).
In più, creazione e installazione del programma non si concludono con la nascita. La nuova ricetta deve garantire al nuovo nato la capacità di vedersela con un mondo mammifero più complesso di quello dei rettili e ha bisogno di un secondo tempo successivo alla nascita. È la lunga fase della relazione di accudimento, la cui durata varia da specie a specie: circa 21 giorni per il topo, 5 anni per lo scimpanzé, 15 giorni o clamorosamente di più per il “bamboccione” umano, anche quello tecnologico e digitale.
Senza questo tempo il cucciolo morirebbe inevitabilmente, il programma andrebbe in crash e la torta non lieviterebbe mai, non essendo egli in grado, se non alla fine del periodo, di provvedere da solo a se stesso. Gli obiettivi sono però ancor più ambiziosi della semplice sopravvivenza.
Il piccolo scimpanzé non deve solamente giungere vivo al quinto anno, ma avere nel frattempo imparato a barcamenarsi in modo adeguato nel mondo dei suoi simili, per viverci bene negli anni a venire, riuscendo a soddisfare da solo i propri bisogni molteplici, prima garantiti dalla figura di accudimento. Quasi tutti i mammiferi (compreso l’Homo sapiens) sono esseri sociali, devono imparare presto a interagire con gli altri, confrontarvisi, contrapporvisi, allearvisi, goderne la prossimità. Per far questo il cervello ha dovuto attivare (nel processo avviatosi durante la gravidanza e proseguito dopo) molteplici e più raffinati collegamenti con gli altri sistemi biologici (come quelli sensomotori e neuroendocrini), per far fronte alle esperienze di una vita più variegata, facendo tesoro delle esperienze via via vissute e per poter reagire, in modo adeguato, agli stimoli che giungono costantemente dai più raffinati organi di senso: “questo rumore è una cosa buona, quest’altro preoccupante, questo gesto mi minaccia, quest’altro mi attrae …”. Nei primi anni il mammifero ha dovuto sviluppare una memoria, una banca dati, rudimentale se paragonata a quella umana (oggi quella umana viene spesso confrontata con quella dei Big Data), ma prodigiosa rispetto al rettile e dotata di catalogazione e sistemi per accedervi.
Inoltre il mondo mammifero è colorato da emozioni non presenti in quello in bianco e nero dei rettili. La paura per esempio non è un semplice riflesso che freddamente muove i muscoli alla fuga in situazioni di pericolo, è una emozione “calda” che accende il Sistema Nervoso ed Endocrino, non ragionata come per gli umani (a volte) ma comunque in gran parte appresa.
L'apprendimento è così determinante che anche nel mondo selvaggio abbiamo testimonianze di cuccioli allevati da altre specie e anche umani cresciuti con scimmie o lupi, che quindi non provavano paura verso la madre a differenza dei simili. Tra le emozioni dei mammiferi più evoluti troviamo anche la gioia, la tenerezza, la rabbia.
Ciò non era possibile nel cervello rettiliano, ma l’evoluzione ha concesso in dotazione ai mammiferi una nuova struttura cerebrale, detta per l'appunto “cervello mammifero” o mammaliano.
Una novità assoluta nella storia dell’evoluzione, molto più recente (appena 200 o 300 milioni di anni fa con la comparsa dei primi mammiferi). Dal punto di vista anatomico il cervello mammaliano è posto sopra il cervello rettiliano, in un piano aggiuntivo della casa in costruzione su scala filogenetica. Comprende strutture che hanno il nome di lobo limbico, ippocampo, amigdala, nuclei talamici anteriori e corteccia limbica. Il nuovo sistema ha supportato e supporta svariate funzioni mammifere che permettono comportamenti più complessi e vari quali le emozioni, la memoria, lo sviluppo dell’olfatto come una sorta di navigatore. Il sistema limbico comunica in modo stretto con gli altri sistemi, in particolare il sistema nervoso vegetativo e neuroendocrino.
A questo punto dell’evoluzione il mammifero non si è trovato ad avere due cervelli a disposizione e poter viaggiare scegliendo l’uno o l’altro come un auto bifuel, ad alimentazione mista. La matematica in biologia è strana. 1+1 è sempre =1. L’evoluzione non procede per sovrapposizioni di strati, come la geologia, ma per riorganizzazioni nuove del sistema, aggiornamenti del programma. Il cervello mammifero è quindi un nuovo cervello, una nuova unità integrata. Il piano sottostante e quello nuovo sovrastante costituiscono un’unica abitazione, con medesimi allacciamenti energetici e bollette da pagare.

Il cervello rettiliano e gli altri cervelli

È del neuroscienziato Paul MacLean (1913-2007) la teoria evoluzionista secondo la quale il cervello umano consisterebbe nella sovrapposizione di tre strutture filogenetiche: Il cervello rettiliano, il cervello mammifero e il neomammaliano. Per MacLean i tre cervelli hanno collocazione in specifiche aree cerebrali e posseggono funzioni specifiche e autonome.
Il cervello rettiliano ha sede nel tronco cerebrale e nei gangli di base (la parte più bassa del cervello umano), ed è depositario della parte “animale” più arcaica (retaggio della fase evolutiva dei rettili nella vita sulla terra), deputata alla sopravvivenza e all’autoconservazione, luogo di istinti ed emozioni primarie (come l’attacco e la fuga) e di funzioni corporee autonome.
Il cervello mammifero, o mammaliano, ha sede nel sistema limbico, posto più in alto. Rappresenta lo stadio evolutivo successivo ed è sede di funzioni ed emozioni più evolute come l’attaccamento materno e sociale, che hanno aumentato notevolmente nei mammiferi le capacità di affrontare-interagire con l’ambiente.
Il cervello neo mammaliano, detto anche neo-cortex, è la parte filogeneticamente più recente specifica dell’homo sapiens. Si sviluppa nella zona più alta del cervello, quella delle cortecce cerebrali, presenti anche nei mammiferi ma estremamente più sviluppate nell’uomo. È depositario delle funzioni cognitive ed esecutive, luogo della coscienza, ed ha permesso lo sviluppo del linguaggio rendendo l'Homo sapiens la specie più complessa ed evoluta.
Per quanto i tre cervelli non siano entità tra loro separate, nella visione di MacLean, mantengono una relativa indipendenza e una netta gerarchia, con a capo il cervello “alto”, sorta di cabina di regia che raccoglie gli input dagli altri cervelli e li elabora indirizzando le azioni nel modo tipicamente umano. Il modello, ripreso e sviluppato anche da altri autori (come da Stephen Porges nella sua Teoria Polivagale, 2011) offrirebbe una possibile comprensione di squilibri nel funzionamento cerebrale, teorizzano la possibilità che i cervelli rettiliano e mammifero possano prendere il sopravvento sul neomammaliano, limitando o impedendo le funzioni cognitive superiori sino a provocare disturbi dissociativi anche gravi.
Che il cervello umano mantenga in sé le strutture filogenetiche delle specie meno evolute è un dato scientificamente assodato. Nell'evoluzione nulla si butta, ma il modello di MacLean, pur molto citato, appare oggi alla luce delle conoscenze attuali non in grado di comprendere il funzionamento sistemico del cervello umano messo in luce dalla PNEI e dall'epigenetica. Inoltre, probabilmente aldilà delle intenzioni dell'autore, offre il fianco a operazioni riduzionistiche. In particolare è superata la corrispondenza di processi specifici a zone cerebrali rigidamente definite: i circuiti delle emozioni, ad esempio, ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Technovisions
  3. Tecnologie e sviluppo del benessere psicobiologico
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Il libro
  7. Gli autori
  8. Premessa
  9. 1. Capitolo introduttivo
  10. 1.1 Non siamo rettili…
  11. 1.2. …Siamo scimpanzé Pan troglodytes (al 96-98%)
  12. 1.3. Ma c'è anche quel 2%
  13. 1.4. E non è finita qui
  14. 2. Le regole necessarie
  15. 2.1 Non lasciare solo il bambino con videogiochi o altri strumenti tecnologici
  16. 2.2 Limitare il tempo di esposizione a un dispositivo tecnologico
  17. 2.3 Usa la tecnologia in modo bilanciato
  18. 2.4 Non usare le tecnologie come baby-sitter
  19. 2.5 La relazione virtuale segue quella reale
  20. 2.6 I social non sono una scorciatoia
  21. 2.7 L'adulto deve fare molta attenzione a non abdicare
  22. 2.8 L'adulto deve favorire la solidità del Sé dei ragazzi
  23. Alcune considerazioni finali
  24. Disclaimer
  25. Ringraziamenti
  26. Glossario
  27. Bibliografia
  28. In questa collana
  29. Tutti gli ebook Bus Stop