1. Basi teoriche del Costruttivismo
Il costruttivismo è una corrente artistica, sorta in Russia nel 1913, che teorizza un uso sociale della pratica artistica, ma tale concezione non ha niente a che fare con il significato prevalente di questo termine. In filosofia, il costruttivismo è una teoria che considera la realtà come il prodotto di una costruzione mentale, variabile da individuo a individuo ma negoziata a livello sociale. Come conseguenza di questa posizione, in psicologia il costruttivismo è una teoria che considera la conoscenza, e dunque l'apprendimento, come il risultato dell'esperienza personale situata in un contesto, quindi non una semplice rappresentazione del mondo ma una costruzione che il soggetto compie elaborando i dati della percezione.
La tesi di fondo del costruttivismo rischia ovviamente di sfociare nel relativismo, cioè nell'idea che ogni opinione sia equivalente a qualsiasi altra, per il motivo che le credenze degli individui, se sostenute a oltranza, non sono sensibili a un ragionamento che le possa confutare, visto che ciascun individuo interpreta i cosiddetti “dati di fatto” in maniera personale. Questo può essere colto ad esempio nella storiella (raccontata da Paul Watzlawick in “Istruzioni per rendersi infelici”, 1983) su un uomo che continuava a battere le mani ogni dieci secondi. Qualcuno gli domandò il perché di quello strano comportamento, e l'uomo rispose: “Per scacciare gli elefanti”. “Elefanti?” chiese il primo. “Ma qui non ci sono elefanti.” E lui: “Appunto!”
Tuttavia, proprio in questo esempio è possibile cogliere il paradosso cognitivo insito nella posizione di impermeabilità tipica della credenza ostinata. Questo perché, malgrado ciascuno interpreti i dati percettivi alla sua maniera, noi intuiamo che alcune interpretazioni sono più probabili rispetto ad altre. La questione è complicata dal fatto che il grado maggiore di probabilità viene solitamente attribuito alle credenze socialmente condivise. Così, le convenzioni sociali possono creare una realtà indistinguibile da quella naturale. Per esempio, una banconota è in se stessa solo un pezzo di carta stampata, che però acquista il significato di un segno che identifica un valore che può essere scambiato con un oggetto a cui venga attribuito quel valore convenzionale.
2. Origini del costruttivismo: George Kelly (1905-1967)
L'approccio costruttivista viene fatto risalire a George Kelly, che nel suo libro sulla teoria dei “costrutti” personali (1955) ipotizza che ciascun individuo costruisca degli schemi concettuali che servono a dare significato agli eventi (in quanto permettono di riconoscere la somiglianza tra due elementi, e la loro differenza rispetto a un terzo elemento, essi sono bipolari). Questi schemi sono ordinati secondo una scala gerarchica che va dai più astratti ai più concreti, e vengono utilizzati per formulare previsioni (esplicite o implicite) sul mondo. In questo modo, i dati percettivi assumono una valenza sperimentale perché consentono di confermare o disconfermare le ipotesi. Perciò ogni esperienza successiva influisce sul sistema dei costrutti precedenti, modificando, sostituendo, consolidando o aggiungendo nuovi costrutti.
Il sistema dei costrutti di una persona può essere più o meno coerente o frammentato, ed è portato a trasformarsi (se non è rigido) attraverso modifiche delle relazioni tra costrutti (dette transizioni). Quando un'esperienza successiva conferma un costrutto, essa viene vissuta come una replica, il ripresentarsi di un'esperienza similare. Un'esperienza che non si adegua a quel costrutto è invece percepita come differente. Essa si adeguerà a un costrutto diverso, o richiederà la modifica di un costrutto presente, oppure la creazione di un costrutto nuovo. È sempre possibile elaborare nuovi costrutti, ma essi sono in numero finito e ciascun costrutto ha un campo di applicazione (pertinenza) più o meno ampio, ma limitato. Un costrutto è un atto di conoscenza che può produrre effetti emozionali.
Ad esempio, l'ansia è prodotta dalla consapevolezza che uno o più eventi non rientrano nel campo di pertinenza (applicabilità) del nostro sistema di costrutti. Quando ciò accade non riusciamo a dare un senso a ciò che accade e non siamo in grado di prevederlo e di controllarlo. La colpa è legata alla sensazione che c'è una discrepanza tra la nostra immagine interna e l'immagine che proiettiamo all'esterno (la struttura nucleare del Sé è formata da costrutti). L'ostilità deriva dal tentativo di preservare a tutti i costi un sistema di costrutti che è già stato invalidato, mentre l'aggressività è il tentativo deliberato di elaborare il campo percettivo tramite i propri costrutti.
Per riassumere, il sistema dei costrutti personali è l'insieme delle nostre credenze sul mondo e su noi stessi. Equivale a ciò che sappiamo della realtà, ma con la precisazione che la differenza tra ciò che sappiamo e ciò che crediamo esprime solo un grado diverso di probabilità che noi stessi attribuiamo a un'ipotesi. Perciò, in una scala di cento punti, lo zero esprime l'impossibilità e il cento esprime la certezza. Il sistema dei costrutti ci serve a interpretare i dati percettivi, fornendo loro un significato e trasformandoli in esperienza. Quindi rispetto a ciò che accade (o è accaduto) i costrutti servono per spiegare a noi stessi gli eventi, rispetto a ciò che non è accaduto i costrutti servono invece a formulare previsioni.
Quest'ultima funzione dei costrutti (che sono analoghi agli schemi mentali o mappe cognitive di Tolman) è quella che ci permette di programmare (cioè indirizzare) il nostro comportamento. Se ho sete vado in cucina, prendo un bicchiere, apro il rubinetto del lavello, riempio il bicchiere, chiudo il rubinetto e bevo. Io riesco a fare tutto ciò perché i miei costrutti mi permettono di prevedere che determinate azioni produrranno specifici effetti (so che nel mobile troverò un bicchiere, che il rubinetto si apre girando la manopola verso sinistra, che ne uscirà dell'acqua, che devo chiudere il rubinetto per non allagare il pavimento, che posso usare una tazza al posto di un bicchiere eccetera).
Per renderci conto di quanti costrutti siano implicati in questa semplice azione, basta pensare a quante cose deve imparare un bambino piccolo prima di essere in grado di andare a prendersi un bicchiere d'acqua da solo (o a quante indicazioni devono essere implementate in un programma per fare in modo che un robot possa fare altrettanto). In questo esempio noi vediamo un tipico caso di comportamento standard, ma non dobbiamo dimenticare che il sistema dei costrutti personali è (per l'appunto) personale, quindi è più o meno simile ma differisce sempre da un soggetto all'altro.
3. Le fasi dello sviluppo cognitivo: Jean Piaget (1896-1980) e Jerome Bruner (1915-2016)
Anche per Jean Piaget la conoscenza è un processo di costruzione continua. L'intelligenza è la capacità di adattamento all'ambiente e si attua tramite le funzioni cognitive di “assimilazione” e “accomodamento”. La prima è l'inserimento di un oggetto o evento in uno schema comportamentale o cognitivo già presente (si noti la somiglianza con il concetto di costrutto elaborato da Kelly). La seconda è la modifica di strutture cognitive e schemi di comportamento attuata per adattarli a nuovi oggetti o eventi. Il gioco tra le due modalità ha sempre lo scopo di raggiungere un equilibrio fluttuante (omeostasi) ed è un continuo tentativo di controllo sul mondo.
Secondo Piaget, ogni individuo in fase evolutiva attraversa diversi stadi di sviluppo cognitivo, che sono correlati all'età biologica. Gli stadi principali sono quattro: il senso-motorio, il pre-operatorio, l'operatorio concreto e l'operatorio formale (o astratto). La correlazione con l'età è la seguente:
Stadio senso-motorio (fino a 2 anni):
Il bambino acquisisce gradualmente la rappresentazione dell'oggetto e la sua persistenza nel tempo e nello spazio. Egli passa dalle reazioni riflesse (primo mese) alle reazioni circolari primarie (4 mesi) poi alle reazioni circolari secondarie o comportamento intenzionale (8 mesi) alle reazioni circolari differite o ricerca dell'oggetto (entro il primo anno) alle reazioni terziarie o procedimento per prove ed errori (18 mesi) per approdare (entro i 2 anni) allo stadio della rappresentazione cognitiva e alla capacità di prevedere le conseguenze delle sue azioni.
Stadio pre-operatorio (pensiero intuitivo, 3-5 anni)
Il bambino è in grado di usare i simboli (un simbolo è una cosa che ne può rappresentare un'altra) ma non sa fare ragionamenti logici (induttivi o deduttivi) perché il suo pensiero procede per libere associazioni, dal particolare al particolare. Gli eventi sono correlati in modo precausale (trasduttivo) e il rapporto causa-effetto viene riferito solo a eventi che accadono nello stesso momento. Fino ai 5 anni, il bambino non classifica gli oggetti in base alle proprietà, ma li raggruppa in base alla prossimità spaziale.
Stadio operatorio concreto (6-10 anni)
Il bambino utilizza i simboli per operazioni logiche e acquista il concetto di reversibilità (posso riempire una bottiglia e posso svuotarla). Acquisisce anche il concetto di invariabilità, ovvero di conservazione di quantità numeriche, lunghezze e volumi liquidi (attorno ai 6 anni) quantità di materia (7-8 anni) e infine di equivalenza o conservazione della superficie (9-10 anni).
Stadio operatorio formale (11-14 anni)
Il bambino acquista la capacità di formulare pensieri riferiti a oggetti “astratti”, cioè non presenti nel campo della sua esperienza diretta, ed è dunque in grado di utilizzare il ragionamento ipotetico-deduttivo, riferito a ipotesi, conseguenze e possibilità.
Si noterà che, se intendiamo la correlazione tra età mentale ed età anagrafica come indicativa e non rigida, gli stadi di sviluppo di Piaget corrispondono abbastanza fedelmente ai diversi gradi della scolarizzazione: Nido, Scuola dell'Infanzia, Scuola Primaria e Scuola Secondaria (di primo grado).
L'interesse di questa classificazione di Piaget è legato dunque non solo alla descrizione di come funzionino i processi cognitivi nell'età pre-adulta, ma anche all'opportunità offerta dalla sua teoria di adattare le varie modalità della formazione infantile alle effettive capacità cognitive presenti nel bambino in una data fascia di età.
Rispetto a Piaget, Jerome Bruner individua solo tre fasi di sviluppo, anziché quattro, e non le considerate legate in modo restrittivo all'età. Esse sono:
– fase operativa (il mondo è rappresentato tramite azioni, cioè l'apprendimento consiste di schemi motori)
– fase iconica (il mondo è rappresentato da immagini e simboli concreti, che somigliano agli oggetti che rappresentano)
– fase simbolica (il mondo è rappresentato da simboli astratti e convenzionali, cioè da codici convenzionali, linguistici o formalizzati, come i simboli matematici).
Per Bruner, come per gli psicologi della Gestalt, il significato influenza la percezione (ed ecco perché l'apprendimento dev'essere significativo). Inoltre egli individua due modalità di pensiero, quello logico-analitico (più astratto) e quello analogico-intuitivo (più concreto) da cui l'idea che, per facilitare l'accesso al simbolico, occorre utilizzare la modalità esperenziale e quindi il linguaggio narrativo.
4. La zona di sviluppo prossimale: Lev Vygotskij (1896-1934)
Un punto centrale della teoria di Piaget è la tesi che le capacità cognitive del bambino influenzino anche il suo modo di parlare. Tale idea appare piuttosto intuitiva, perciò è interessante confrontarla con una tesi diversa, proposta da Lev Vygotskij (esponente della teoria dello sviluppo sociale).
Secondo Piaget, il bambino parta da una fase di pensiero autocentrato (autismo infantile transitorio) e impara a esteriorizzare i propri pensieri dopo aver attraversato la fase intermedia del linguaggio egocentrico. Vygotskij sostiene invece che il bambino impara innanzitutto a interagire con gli altri, e il linguaggio infantile è una fase di transizione dalle funzioni interpsichiche socializzanti alle funzioni intrapsichiche interne. Attorno ai due anni, infatti, il bambino interiorizza la funzione linguistica, e questo gli permette di acquisire la capacità di regolare dall'interno (volontariamente) il proprio pensiero e il proprio comportamento.
Un altro importante contributo di Vygotskij riguarda la cosiddetta “zona di sviluppo prossimale”. Tale concetto sta a indicare che in una curva di apprendimento (una linea che rappresenta a livello grafico l'andamento dello sviluppo cognitivo) esiste un tratto di sviluppo potenziale compreso tra il punto in cui si trova il bambino in un dato momento e il punto in cui potrebbe arrivare anche per conto suo, ma non necessariamente e non subito. L'insegnante deve perciò intervenire in questo spazio di apprendimento. Questo significa che il compito proposto non può essere né troppo facile (sotto la zona di sviluppo prossimale) né troppo difficile (oltre la zona di sviluppo prossimale).
Il concetto elaborato da Vygotskij è essenziale perché spiega molto bene in cosa consista il lavoro dell'insegnante, dato che nella teoria costruttivista il sapere non è più considerato qualcosa che l'insegnante possa semplicemente travasare nella mente dell'allievo, perché è la mente stessa dell'allievo a produrre un incremento nelle proprie conoscenze e capacità. L'apprendimento è perciò l'esito di un processo mentale attivo, non passivo.
Il fatto che si apprenda a partire dai dati percettivi non deve trarre in inganno. La stessa percezione non è qualcosa di passivo, perché senza l'elaborazione mentale i dati percettivi in ingresso sarebbero privi di significato. Ne deriva che, qualunque sia il contenuto di uno specifico apprendimento, esso dev'essere costruito dalla mente del soggetto che apprende.
Ciò viene a volte espresso dicendo che il bambino produce e non riproduce, ma questo potrebbe creare qualche equivoco. Dire che qualcuno produce un sapere vuol dire che crea una conoscenza del tutto nuova, il che potrebbe avvenire ma non sempre. In molti casi il sapere prodotto è nuovo per il bambino, ma è già presente nel mondo. Si tratta dunque delle “riscoperte” che tutti i bambini fanno e tuttavia parlare di produzione, anziché di riproduzione, è abbastanza corretto.
In altri casi però (e sono quelli tipici dei contesti scolastici) il bambino si sforza attivamente di riprodurre un sapere specifico, suggerito dall'insegnante. Anche in questo caso la riproduzione è una produzione attiva, non un travaso, ma il tentativo deliberato è di riprodurre qualcosa in modo fedele. In realtà, nessuna riproduzione può essere identica all'originale, perciò il punto da sottolineare è che la riproduzione di un sapere non è mai meccanica e nemmeno produce copie identiche.
Se qualunque conoscenza è sempre ricreata nella mente del soggetto, allora nemmeno nel periodo che ha preceduto il costruttivismo i bambini imparavano per semplice travaso, ma lo facevano sempre e comunque in modo attivo, perché è questo il modo in cui le persone imparano. È tuttavia chiaro che, a seconda di come venga concepito il ruolo dell'insegnante, l'apprendimento può essere agevolato oppure (involontariamente) ostacolato.
Ad esempio, dare troppa importanza alla mera quantità delle informazioni memorizzate, e favorire la riproduzione “a pappagallo”, non è il migliore dei metodi didattici. D'altronde, non è nemmeno del tutto vero che il sapere non possa essere riprodotto in modo meccanico. Infatti, imparare a memoria delle informazioni (una poesia, un brano di storia, una formula matematica) è ovviamente possibile, ma la domanda è: che cosa me ne faccio di quel che ho memorizzato?
5. I livelli di apprendimento: Gregory Bateson (1904-1980)
L'apprendimento può essere definito come la modificazione prodotta da un evento percettivo nel comportamento di un organismo. Ad esempio, i...