Periplo di millennio
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Periplo di millennio

Atto unico in nove scene

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Atto unico in nove scene

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Negli ultimi nove giorni e/o notti del millennio, dieci personaggi (Bosco, Fosca, Cadmo, Edmca, Maceo, Queta, Abdto, Tilda, Laszo, Danza) si incontrano due per volta, alternandosi secondo il seguente schema: prima scena A incontra B, seconda scena B incontra C, terza scena C incontra D e così via - in una sorta di "referto simbolico/esistenziale" e rappresentativo del millennio che sta giungendo al suo periplo - fino allo sconcertante decimo personaggio della notte del 31 dicembre. Questo copione teatrale è stato più volte rappresentato in teatro, con la direzione della regista parigina Alexandra Dadier.

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Informazioni

PER CONFONDERSI AI SILENZI

PER CONFONDERSI AI SILENZI
Laszo e Danza
trentuno dicembre 1999, interno: mansarda di Laszo
un personal computer, ultima notte del millennio, assenza di tempo

LASZO (Scrive al computer. Voce fuori scena diffonde il testo. Suono di tastiera tranne che nelle pause) Per confondersi ai silenzi occorrono liberi compromessi. Limitrofe lontananze. Infiniti parallelismi. (Pausa) Sai Danza. Ieri ho spento la luce e avevo paura. Del buio pensavo. Ma mi sbagliavo... era il silenzio. Così ho riacceso. Però il tedio è rimasto. È rimasta la notte bendata. Cieca come una sorte ibernata. Sui suoi piedi nudi e ricchi di povere lacrime ebbre. E sui pallidi muri di falso avorio. Perfino stupiti del mio grave disagio avvolto testardo nei pensieri rubati. È rimasta di fuori la neve senza colore. Senza potermi adesso bastare. Senza aspettare chiunque sia disposto a tornare e a dare un motivo al ritmo del cuore. Come se il mio fosse un corpo che vive. Come in autunno una viola. Come adesso scrivo inciampando quest’ultima stele. Inutile a tutti tranne che a me. E a nessun altro. Perché cerco la verità nell’abisso della mente. È proibito e così lo faccio. Ma il prezzo è alto... o forse un premio. È la follia che come viscido ragno cammina lenta a mille passi sputando bava dalle capienti fauci. (Pausa) Perdonami Danza se mi servo di te per lasciare un soliloquio. Una dedica ai prati tuffati. Al pioppo con il cuore. Alle piogge di grano e ai filari dell’uva. Ai giorni lenti e agli anni rapidi. A questo cielo sudario immortale e nottambulo. Da qui a Maracaibo. Da Cipro a Samarcanda. E a noi. Eroi saprofiti del mondo nel copione dal finale stabilito. Ormai così vicino. Finalmente. (Pausa) E tu che non capisci. Che mi hai tradito. Comprenderai alla fine? Sapessi quante volte ti ho cercata dentro ai tarli delle notti. In fondo al fondo dei bicchieri quante volte ti ho perduta. È strano come tu non veda che persone al di fuori del tuo ghiaccio. Versi e riccioli selvatici non sfilano i tuoi sguardi. Non bastano che a farti sorridere. E a colmarti di altre malizie. Né camminerai per favole insicure ignorando i fantasmi. Attenta amica di parchi e fontane. A non tramontare prima che venga sera. Sennò quando carica d’età e di rughe sulle palpebre... quando ciò che hai detto e taciuto non ci sarà più nessuno a ricordarlo... quando rammenterai noi due soli naufraghi superstiti della vita altrove veleggiando e approdando ignari… o quando alla fine aspetterai solo di vuotare il posto… allora… davvero mi rimpiangerai. E già troppi rimpianti hai seminato e raccolto malinconie a piene mani dai tuoi giorni. Buona madre. Tu muori d’abbondanza. (Pausa) Eppure stanotte non ti colgo. Mi svaporano i contorni. T’aspiro. E mi confondo. Il folletto portasogni non ritorna. Si è attardato a contemplarti il mento ovale. La fronte inquieta. E i capelli che si legano alla nuca liberando zigomi e sorrisi. Certo. Sei più bella che sincera e distante quanto basta. Ma io non posso che riflettere di luce. La tua. Quando ti guardi nello specchio scioglierti le lacrime alle guance lui non sa ripeterle diverse. E se anche fossero smeraldi non brillerebbero di più. (Pausa) Tu che conosci partenze e arrivi ti chiedi mai quale sarà il futuro dei tuoi occhi? E non hai paura di perderti in fragili mondi intercambiabili? Altri prima di te non hanno ascoltato i colori dei tramonti. Delle foglie dei sicomori. E le parole di coloro che sono morti e ritornati. Che sanno il vero e non il giusto. Poiché hanno imparato a dare e tanto poi non soffriranno più della morte prossima ventura. Seccami pure gli occhi e le labbra corpo d’alito. Ma non scordarmi nel solaio fra le seppie di un cassetto. E ricorda che l’amore è lo specchio di un bicchiere o come Dio. È l’invenzione di una vita garantita. A vita. L’amore è una fiaba morbosa che si nutre di segreti. Dell’ansia di certi sogni angosciosi. Dell’affanno di un adagio. Come nel poema dove il re sorprende la sua regina assopita insieme al paladino. Ma invece di vendicarsi scambia la sua spada con quella di lui e il proprio anello con quello di lei. Le copre con un guanto il viso per ripararla da un raggio di sole e se ne va. O come nel romanzo del principe che trasformatosi in falcone per volare alla finestra dell’amata viene trafitto dalla lama del rivale. Poi si allontana morente. Lei segue la traccia fresca del sangue attraverso il bosco fino al castello. Entra in un salone. E in un altro. Ciascuno con un cavaliere addormentato. Nel terzo vede l’amante su di un letto. Si fa avanti tutta sgomenta. E cade svenuta su di lui. Esangue bellezza. Metamorfosi astratta di un sogno. Di prati in cui nascono ruscelli che conducono a verzieri protetti da muri d’aria. In atmosfere estenuanti e incontaminate. La purezza dell’infelicità. L’amore. Questa invenzione del dodicesimo secolo. E chissà se sia davvero possibile perdere chiunque. Cadere in tranelli inevitabili. (Si alza. Cammina inquieto. Si siede) Ma i giorni sono uguali ai giorni. Scrive Eraclito. Smemore dell’estate agostana gialleggiante nei campi di spagnare. Mentre attraverso la scacchiera delle foglie il sole lancia lustrini. Danzanti monete. Il fatto è che ci ricordiamo solo di aver ignorato quello che ricordiamo di aver appreso. E al mondo c’è il solo bene della scienza. Il solo male dell’ignoranza. Socrate. (Pausa) In principio era il verbo. Alla fine sarà solo odio. L’infame massa ama corrotta dentro la sua propria ipocrisia. Come razza tacciata di abominio dimenticanza spaventamento. Nell’odio apolide c’è l’ultimo valore. L’odio. Tranquilla paura che veglia sul cuore. Ogni giorno e ogni notte e ogni incubo svegliato dall’aurora. Concerto suonato da un bimbo rachitic...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. PERIPLO DI MILLENNIO
  3. Indice
  4. Intro
  5. COLPA DEL BUIO
  6. SE AVVAMPANO I FALÒ
  7. NELL’INDOLE DEI RABDOMANTI
  8. COME LUCI NATE
  9. IN CLESSIDRE SPENTE
  10. DALLA VERTIGINE DEI GIORNI
  11. COSÌ LA MUSICA
  12. ESCOGITA IL TEOREMA
  13. PER CONFONDERSI AI SILENZI
  14. Ringraziamenti