Mussolini
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Da socialista a fascista

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Da socialista a fascista

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Il Mussolini protagonista di queste pagine è il vecchio compagno di battaglie socialiste dell'autore Paolo Valera, da questi smascherato nel suo trasformismo, sezionato e proposto nelle contraddizioni di un carattere sovente subdolo e dagli umori contorti. Ritenuto pericoloso dalla censura fascista, il libro fu sequestrato e fatto scomparire per molti anni dalla circolazione.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788827586846
Argomento
History
Categoria
World History

LA SOLLEVAZIONE DEL PAESE PER IL TRAFUGAMENTO DELL’ONOREVOLE MATTEOTTI

Gli assassini dell’on. Matteotti sono il risultato di un ambiente losco e feroce. Al loro dorso si sono consumati innumerevoli delitti politici. La sollevazione pubblica è avvenuta dopo tanto strazio e dopo tante glorificazioni di omicidi! È una riproduzione dell’ambiente francese del 1868. Parigi s’era trovata in un attimo in un braciere. Pietro Napoleone Bonaparte aveva ripreso la continuazione degli assassinii politici, uccidendo in casa propria Victor Noir, un giovane andato con il secondo padrino a portargli un cartello di sfida. Sono stati i primi. Il principe abitava al 59 della rue d’Auteuil. Noir guadagnava la esistenza con dei lavori manuali. Il pubblico non si è fermato su questo fatto. Non ha veduto che l’assassinato. Uno dei due rappresentanti di Paschal Grousset, Victor Noir, è riuscito a rotolare e guadagnare il marciapiede con in gola i rantoli della morte. La diffusione del delitto ha sollevato una tempesta. La capitale francese era tutta sottosopra. Rochefort era in mezzo alle moltitudini. Nell’aria c’erano i rintocchi dell’impero. Il Due Dicembre stava per andare in frantumi. Il funerale aveva tutte le folle della Parigi e dei dintorni. Sono state sommate a ottocentomila persone. L’imperatore si credeva vicino alla catastrofe. L’affare era più grave di quello del cadavere Baudin — il deputato fatto stramazzare dai soldati del Due Dicembre. Erano diciotto anni che la Francia stava nelle mani di quei coupe-jarrets , i quali, non contenti di mitragliare i repubblicani nelle vie li attiravano nei loro tranelli immondi per sgozzarli a domicilio. “Popolo francese, si domandavano tutti, forse che non ne hai abbastanza?” La famiglia Bonaparte non poteva avere il privilegio del revolver . I funerali avevano messo sulla piattaforma oratori che tacciavano la famiglia imperiale di vigliacchi, di miserabili, di canaglie, di assassini, di ladri, di rettili. Avevano fissata l’ora di rovesciare l’impero. Andare ai funerali di Victor Noir era considerato del civismo repubblicano. Il governo per protrarre la caduta ha lasciato tutta la libertà al morto. Nessun soldato. Proibizione ai poliziotti di farsi vivi. Gli ammutinati e gli esasperati potevano circolare, urlare, manifestare, orando quello che volevano. Le moltitudini dovevano solo mantenersi nel programma: andare col morto al cimitero di Neuilly e non al cimitero del Père Lachaise . Allora il governo si sarebbe servito della cavalleria e delle batterie di artiglieria. È certo che le sonerie delle campane a stormo s’erano sparse anche nelle provincie. Dopo diciotto anni che la Francia era stata prigioniera dei Bonaparte c’era dovunque un’ansia di emanciparsi. I francesi non volevano più essere revolverizzati dai decembristi. Il principe aveva dovuto lasciarsi chiudere in una prigione comune per la propria salvezza e il funerale era stato concesso con tutte le libertà, senza la presenza della polizia, purché le folle avessero seguito l’itinerario di incamminarsi verso il cimitero di Neuilly. Le grida erano alternate dalle arie funebri. A Parigi! si gridava. Vendetta! Abbasso i Bonaparte! Queste scene parigine degli ultimi tempi del basso impero meriterebbero una larga descrizione in un paese come il nostro in continuo contrasto con la popolazione. Nessuna legalità. Violenze giorno e notte. Omicidi, strazi, soppressioni di libertà. I fattacci in Francia sono stati preceduti da un colpo di Stato. I congiurati del colpo di Stato hanno trovato denari, sicari, voltafaccia. Hanno massacrato cittadini, deputati, ufficiali che non volevano piegare come quelli che non si rifiutano mai di compiere stragi a pagamento. Più tardi gli episodi sanguinari sono stati infiniti. Si commettevano i delitti più mostruosi. Fra i giornalisti che si sono conquistati un nome ricordo Enrico Rochefort — una specie di Mussolini del nostro tempo. Salvo la parte stilistica, Rochefort sciorinava più sarcasmo nel suo stile mordace. Egli era acre. Aveva delle figure atroci per colpire gli usurpatori del trono francese. Un giorno, in mezzo ai deputati imperialisti, si è veduto messo in ridicolo. Non ha voluto altro. “Non sarò mai (ridicolo), come l’individuo che passeggiava sulla piazza di Boulogne con un’aquila sulla... spalla e un pezzo di lardo sul cappello!” Egli alludeva all’imperatore Napoleone Bonaparte. La frase fece stupore. Gambetta, che aveva capito il pepe di Cayenne nella frase, impedì a Rochefort di sciuparne l’effetto. Le caratteristiche di Rochefort sono in gran parte in Mussolini. Giornalista l’uno, giornalista l’altro. Deputato l’uno, deputato l’altro. Entrambi articolisti di quotidiani violenti, aggressivi, repubblicani. Duellisti. Molti scontri personali. Pugilisti parlamentari. Forse più letterato Rochefort per la sua aspirazione al teatro, per la sua vena al romanzo, e per le sue avventure dentro e fuori di prigione. La Lanterne fu la sua spinta all’esaltazione giornalistica. Andava in giro con una corda per gettarla al collo imperiale. La caduta della Comune lo fece mandare in Caledonia. La fuga dalla Caledonia gli sparse il nome per il mondo come un eroe. Dopo le interviste in America, lo si è visto in un tiro a due con una bella signora per le vie di Londra.
Benito Mussolini allora era un ragazzotto. Incominciava a farsi vivo come giornalista. È stato processato. Spese qualche anno al servizio del quotidiano di Battisti a Trento. Si è fortificato intellettualmente in Francia. In Italia ha turbato i seguaci di Carlo Marx. È andato alla direzione del massimo quotidiano socialista. È giunto a una conflagrazione di partito. Inalberò i colori della scissione con un giornale che ha veduto superbe tirature. Prese parte alla grande guerra, senza cessare la professione, affidando la direzione del Popolo d’Italia a un redattore capo. Gli è scoppiata una bomba in mano mentre faceva istruzione al suo plotone. Gli si riempì il corpo di schegge. Della guerra scrisse il diario, magnifico diario, snello, fresco, qua e là spettacoloso. Ritornato al giornale, è apparso una specie di Kossuth, una celebrità politica. Ha organizzato un corpo incaricato della demolizione socialista. Divenuto capo del fascismo fece scalpore il suo arresto. Pare si trattasse di un nascondiglio d’armi. Il fascismo è venuto al mondo dopo Vittorio Veneto. Composto di molti partiti. Tutti giovani. Il dopo guerra è pieno di scontri sanguinosi. L’ambiente non è ancora sedato. La disunione dei socialisti rese più forte il fascismo. Gli scioperi e i rialzi di salari contribuirono a spingere la borghesia industriale nell’orbita fascista. Siamo all’occupazione di Fiume compiuta da Gabriele D’Annunzio. Otto giorni dopo, con Nitti al potere, si sono fatti i primi arresti: Mussolini, Marinetti, Vecchi con non pochi arditi. Non faccio la storia degli ultimi avvenimenti.
Mi limito a ricordare che alle ore 10.42 del 30 ottobre 1922 Benito Mussolini, duce del fascismo, entrava in Roma circondato da novantamila camicie nere e salutato da una pioggia di fiori e dagli evviva di una moltitudine elettrizzata dall’entusiasmo. Vi entrava “monarchizzato”, chiamato dal re ad assumere la Presidenza del Consiglio parlamentare.
“Maestà, vi chiedo perdono di presentarmi ancora in camicia nera, reduce dalla battaglia fortunatamente incruenta. Porto a Vostra Maestà l’Italia di Vittorio Veneto, riconsacrata dalle nuove vittorie; e sono, di Vostra Maestà, il servitore fedele”.
La tragedia del povero Giacomo Matteotti, deputato unitario, ha messo sottosopra il fascismo e ha rinnovato, direi quasi, il ministero. Non c’è mai stata tanta emozione. Ci sono cimiteri di gente uccisa in questi due o tre anni, ma nessun omicidio ha mandato allo zenith l’ambascia pubblica come questo delitto selvaggio. Ci sono stati deputati bastonati, defenestrati, caricati d’olio di ricino, aggrediti con le forbici alle barbe, sfregiati, assassinati. Cito a memoria. Il deputato Giuseppe Di Vagno, revolverato in piena piazza soleggiata, a Mola di Bari, in una domenica, da diciotto o venti congiurati. È caduto. È stato un orrore per il partito socialista che non è accorso in massa sul luogo del delitto. I giurati hanno assolto i malviventi. Il tipografo Piccinini, di Reggio Emilia. Era un candidato al parlamento. Non ci sono di mezzo che alcuni mesi. Lo hanno fatto discendere da casa con un falso pretesto. L’hanno trascinato in piena campagna e ammazzato come un cane idrofobo. L’on. Francesco Buffoni, ha dovuto salvarsi da Gallarate con la famiglia, scappando. Il suo studio di avvocato è stato sconquassato, defenestrato. Nessuna autorità lo difese. I deputati Bussi, Vella, Modigliani, Maffi, Marangoni, Graziadei, Bombacci, Pagella, Miglioli, Mazzolani; l’ex Presidente on. Nitti, l’ex ministro Amendola hanno conosciuto il manganello o lo sfollagente o la violenza delittuosa dell’aggressione fascista. La stessa sorte è toccata al deputato Misuri e a Cesare Forni. Stesserati dal partito, furono con la testa fracassata dal randello. Non erano stinchi di santo. I loro nomi sono apparsi più di una volta come terrorizzatori: manganellavano e facevano manganellare. A ogni modo noi li lasciamo passare da vittimizzatori a vittime.
I seicentomila fascisti intorno al duce hanno lavorato le teste degli avversari come non sarebbe stato possibile in un altro paese civile. Le Cooperative sono state distrutte e poi sostituite. Le Camere del Lavoro — le più belle, le più formidabili — sono state incendiate, demolite, frantumate. Quella di Torino è divenuta un mucchio di rovine. Tutto è stato capovolto. La bacheca intellettuale dei libri e dei giornali degli avversari in tutte le provincie è stata soppressa, arsa, schiantata. È così che si è vinto il nemico. Non lo si è lasciato rivivere. Tutte le concessioni ai fascisti; nessuna agli oppositori, ai socialisti e ai comunisti. Dove c’erano rimasugli di avversari si incominciarono le proscrizioni, si liberarono gli ambienti dai vecchi abitanti che non avevano conosciuta l’ora della rivolta.
La soppressione di Giacomo Matteotti ha rivelata la esistenza di una “Mano Nera”, di una Ceka politica nelle aggressioni, nelle persecuzioni, nelle punizioni. Si è veduto Filippelli, direttore dell’ex Corriere Italiano. Egli ha potuto mandare il proprio chauffeur al garage Tomassini a prendere sotto la sua responsabilità una Lancia che doveva servire per il trafugamento e la strage del povero Matteotti. La descrizione dell’ammazzamento dell’antifascista è stata fatta dal sicario Albino Volpi. È una descrizione terribile. Mette sottosopra il sangue e precipita nei deliri degli orrendi sogni. È il riassunto del suo maggiore autore. “Sono deciso a non farmi prendere. Non mi prenderanno. Comunque sono deciso a sparare sui miei catturatori e poi su me stesso. Vivo non mi avranno. Ed è anche meglio per loro...
“Il contegno del Matteotti è stato assolutamente spavaldo. Mentre lo pugnalavamo egli è stato, direi, eroico. Ha continuato fino alla fine a gridarci in faccia: «Assassini! barbari! vigliacchi!» Mai ebbe un momento di debolezza per invocare pietà. E mentre noi continuavamo nella nostra azione egli ci ripeteva: «Uccidete me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai». Probabilmente, se si fosse umiliato un momento e ci avesse chiesto di salvarlo e avesse riconosciuto l’errore della sua idea avremmo forse non compiuta fino alla fine la nostra operazione. Ma no. Fino alla fine, fin che ha avuto un filo di voce ha gridato: «La mia idea non muore! I miei bambini si glorieranno del loro padre. I lavoratori benediranno il mio cadavere». È morto gridando: «Viva il socialismo»”. Tale sarebbe stato il contegno del martire che assurse in una aureola di gloria!
La disgraziata vittima non poteva essere sublimata con parole più elevate. Più la barbarie dei pugnalatori inferociva e più il pugnalato si rincuorava nell’avvenire, nelle masse del suo partito, nei suoi figli e nel socialismo.
Il Filippelli doveva essere inseguito, imprigionato, portato velocemente a Regina Coeli. Invece lo si è lasciato scappare fino al mare, in un motoscafo, con una valigetta arrotolata internamente di biglietti da mille. Pare che ci fossero degli indugi ufficiali. Dimissionato il De Bono da capo della polizia, cadde subito nelle mani dei sequestratori d’uomini. Si è rivelato una specie di sciacallo, una ventosa di denari, un cavaliere d’industria che non ha saputo sopprimere bene la propria pista.
Il sottovoce non si è fermato. Anche il Finzi, sottosegretario agli Interni, ha dovuto essere dimissionario. Intimo di Mussolini gli si preparano gli abissi. Si è matrimoniato principescamente non è molto. Vi aveva partecipato un porporato della chiesa. Mussolini durante la bufera delle accuse e dei sospetti lo ha ricevuto in casa: difenditi! Pare che il Finzi abbia fatto molti affari sotto il regime fascista. Ricco. A diciotto anni possedeva due automobili.
Gli accusati crescono di numero.
Il più annerito dall’inchiostro giornalistico è Amerigo Dumini, il falso “comm. Gino Bianchi, fratello del quadrunviro Michele Bianchi”. Fondatore del fascismo toscano; condottiero di numerose e famose “spedizioni punitive”. Accumula su di sé un gruppo di cadaveri strangolati o sconquassati dalle sue mani. L’attività di questa iena è stata rivelata dal comm. Giurin, l’ex vice-presidente della deputazione provinciale di Milano. Egli lo ha riassunto con queste parole.
“Ho visto Dumini a Roma parecchie volte. Lo avvertii: «Bada bene a quello che fai, perché un giorno o l’altro finirai male».
Il Dumini per tutta risposta mi disse: « So di avere sulla coscienza undici o dodici omicidi per mandato, ma sono vincolato e in pieno potere di coloro per i quali ho agito. Ora non mi rimane che di proseguire per questa china. Se mi rifiutassi, non avrei altra alternativa; o di essere soppresso, o affamato, o di andar in galera»”.
Egli fu un esponente. Lo si è visto in quasi tutte le aggressioni e le uccisioni. C’è nell’aggressione Amendola, nell’aggressione Forni, nell’aggressione Misuri. Fu nella tragica spedizione di Foiano della Chiana. Fu arrestato per i fatti di Sarzana, dove vi aveva condotto un camion di moschetti e di mitragliatrici. Quando non aveva tempo incaricava gli amici. Nel 1921 ha incaricato due giovani di incendiare la Casa del Popolo di Rifredi (Firenze).
Il Dumini ha avuto un giornale che pubblicava, sospendeva e ripubblicava. Si chiamava la Sassaiola Fiorentina. Umberto Pasella fu uno dei suoi implacabili nemici. Lo ostruzionava dove e quando poteva. Nel partito lo si credeva fatale.
Un’ora prima di andare a impadronirsi di Matteotti, il Dumini ha incontrato un amico in piazza Colonna. “ Sai”, gli disse, “ si va a fare una grossa spedizione punitiva di polizia e io la devo dirigere!” La notizia è stata comunicata dal colonnello Sacco, ufficiale di ordinanza del generale De Bono.
Amerigo Dumini godeva dell’amicizia dei gros-bonnets del fascismo, non escluso il De Bono, capo della polizia e generalissimo della Milizia Nazionale. Pranzava con Cesare Rossi alla trattoria Brecche. Circolava nelle sale dell’Ufficio stampa del Ministero, nei corridoi della Camera e nelle tribune dei Ministeri come in casa propria. Era famigliare a tutti i capi del regime. Prima del rapimento del Matteotti è stato veduto a tavola col Rossi a fare esperimenti con un pugnale ch’egli immergeva in una pagnottella di pane. Una volta in prigione è stata portata in pubblico la sua confessione di dodici omicidi compiuti per conto di mandanti. Certo, nella valigetta che gli venne sequestrata, aperta, è stata più di una confessione. Conteneva un pigiama che puzzava di sangue. Vi si è trovato un fagottello di rimasugli insanguinati. Pezzi di panno ancora bagnati di sangue, pezzi della tappezzeria dell’automobile con la quale avevano trafugato l’onorevole e delle carte da visita intestate al proprio nome con queste parole da una parte: Ufficio stampa — Ministero degli Interni”. Il giudice istruttore ha registrato i pezzi di stoffa bagnati di sangue, strappati dagli abiti dell’on. Matteotti. Nella stessa valigetta si sono pure trovati un coltello e una rivoltella. Peccato che non ci sia la pena di morte! Beccaria fu un sentimentale.
Non si sa se Albino Volpi sia una canaglia feroce e sanguinaria come il Dumini, se pure un gruppo di assassini coalizzati in un delitto possa contenere un affiliato al disopra della belva. A ogni modo egli ha finito per dichiarare che il povero Matteotti è stato scaraventato nel lago di Vico. Il Volpi sarà condannato in vita, come il più efferato sicario, ma molti attenueranno questo giudizio dicendo che è stato il più sincero nella spaventosa descrizione. Il delitto non può essere discusso. È politico, eminentemente politico.
Il Corriere Italiano lo ribadisce. Questo giornale chi lo leggeva? Poca gente. Si è solo saputo che ha divorato in dieci mesi dodici milioni di lire. Il suo direttore è stato messo sotto chiave. Entrando nell’ambiente dei gaglioffi egli si è sentito crollare l’edificio sulla testa. “Sono perduto!” Indubbiamente. Non c’è più via di salvezza. La valigetta colma di biglietti da mille è una rivelazione che al dorso della geldra imprigionata sono miliardari pronti a prezzolare i più vili delitti. Sono i nomi dei mandanti che bisogna mettere in pubblico. Li avremo. I sicari parleranno. È allora che potremo gettare gli sguardi negli abissi delle più sciagurate figure dei questo periodo. Gente probabilmente incapace di soccorrere un gruppo di famiglie povere, spreca milioni per il compimento di massacri umani spaventosi a favore di una setta. È probabile che i nomi di questi delinquenti arciricchi ci vengano consegnati dai bassi partecipanti alla consumazione del criminoso assassinio.
La Ceka del Viminale sembra una società di criminali di Rocambole, di panamisti, di maîtres chanteurs, di assassini determinati alla soppressione dei Jaurès, dei Gambetta e degli altri uomini di genio per le pagine dell’immaginazione. Gli autori della strage dell’on. Matteotti sembrano feroci come i Fenayrou delle assise di Parigi. Il capo della Ceka fu scelto non si sa da chi, come capo della polizia segreta. Si è detto che fosse il comm. Cesare Rossi, capo dell’Ufficio Stampa del Ministero. La Ceka era una associazione tenebrosa. Gli agenti segreti di questa organizzazione erano tutte persone famose nei crimini. In apparenza non dovevano che pedinare certi uomini politici, come è stato pedinato il senatore Albertini del Corriere della Sera. Hanno aggredito Cesare Forni, alla stazione di Milano. Il Forni non è stato accoppato per miracolo. Un tempo fu lui alla testa di queste aggressioni. Diceva agli aggrediti: “Sapete chi sono? Io sono il capitano Forni”. Era la Ceka che distruggeva il dissidentismo con la violenza. Il Dumini, nella Ceka, non era una volgare creatura. Occupava posti eminenti. Egli era tra gli arditi un ispettore principale e ufficiale di collegamento. Di questa setta si aspetta sempre un documento.
L’avv. Filippelli ha buttato via la fortuna che gli aveva conquistato il suo cervello lurido. Aveva un quotidiano tenuto in piedi a milioni, con quattro o cinque automobili, delle ville qua e là e dei terreni. Ha dato la preferenza alla carriera del malfattore. Gli sono state sequestrate circa centomila lire e gli è stato soppresso il giornale, che nessuno del resto avrebbe continuato a leggere, se non per tener dietro alle narrazioni personali sul Matteotti. Non si possono capire tanti delinquenti accaniti contro un uomo. Naldi, Filippelli, Dumini, Volpi, Rossi, capo della stampa ministeriale, Marinelli, segretario amministrativo dei fascisti che pagava, sovveniva e via via. Tutti i giorni i criminali aumentano. Dopo tanto parlare su Cesare Rossi e sulle sue fughe egli si è presentato a Regina Coeli innocente. Vedremo. Le loro relazioni diventano sempre più intime. Il concetto di tutta questa gente altolocata è sempre quello. Impedire all’opinione pubblica che si associ agli avversari. Impedire agli avversari di ritornare, di riprendere, di divenire. Giacomo Matteotti nella mente degli assassini è stato considerato un altro Lobbia. Spaventava. Se andava alla Camera lo si sospettava con il plico. Doveva rivelare, denunciare. Lo si credeva un armadio di segreti, di documenti, di note diarizzate per i discorsi d’opposizione. Nessuno credeva, salvo certi fascisti, si fosse come ai tempi del Lobbia in una Camera di venduti e di corrotti.
I tipi loschi affondati nel sangue continuano a fare inorridire. Sono complici uomini eminenti dei Ministeri. Non sono dei Sherlock Holmes. La Ceka, se esiste, non è per moltiplicare i lettori, per circondarsi di gente. È una organizzazione di criminali politici, di squadre di banditi, di gente messasi insieme come della haute pègre moderna. È una associazione che fa rabbrividire.
Dumini che confessa lui stesso di avere ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. MUSSOLINI
  3. Indice
  4. Intro
  5. ENTRATA
  6. IL GIORNALISTA SOVVERSIVO
  7. IL SOCIALISTA RIVOLUZIONARIO
  8. IL CONVEGNO DI BOLOGNA
  9. I TUMULTI DI PENNA E DI GOLA
  10. L’EMINENTE RIVOLUZIONARIO DEL FRONTONE GIORNALISTICO MUSSOLINIANO
  11. POLEMICA AUTOBIOGRAFICA
  12. FILIPPO CORRIDONI TRIBUNO DEL PROLETARIATO
  13. L’HOMME QUI CHERCHE DE «LA FOLLA»
  14. IL COMMEMORATORE DE «LA COMUNE»
  15. IL ROVESCIATORE DI MONARCHIA
  16. IL «PUTTANO»
  17. IL PRIMO DEPUTATO SOCIALISTA ASSASSINATO DAL FASCISMO SANGUINARIO
  18. L’ASSALTO ALL’«AVANTI!»
  19. IL PRIMO MASSACRO CREMONESE
  20. LA “RIVOLUZIONE” DELLE CAMICIE NERE
  21. LA PRESA DEL POTERE
  22. L’UMILIAZIONE DEI DEPUTATI DI CARLO MARX
  23. IL MINISTRO FASCISTA
  24. INTORNO ALL’UOMO DI STATO
  25. IL MONARCHISMO MUSSOLINIANO
  26. IL PRINCIPE DI MONTENEVOSO
  27. L’ESUMAZIONE DI FRANCESCO CRISPI
  28. LE SFURIATE FASCISTE
  29. MASSIMO ROCCA AL VICERÉ SPAGNOLESCO DI CREMONA
  30. LA SOLLEVAZIONE DEL PAESE PER IL TRAFUGAMENTO DELL’ONOREVOLE MATTEOTTI
  31. L’ORAZIONE DI FILIPPO TURATI
  32. GLI STRILLONI DEL RE
  33. LA VIOLENZA PUBBLICA
  34. LE LEGGI ECCEZIONALI NON SONO PIÙ DEL NOSTRO TEMPO
  35. IL PRINCIPE DEGLI ISTRIONI POLITICI
  36. IL DIAVOLO CHE SI FA FRATE
  37. NEL MONDO DEI RABAGAS
  38. IL NAUFRAGIO DELLE LIBERTÀ
  39. «PAGLIACCIO POLITICO»
  40. CHI ERA FRANCESCO CRISPI
  41. LA «IMMONDA CURÉE»
  42. FINALE
  43. Ringraziamenti