Italo Balbo e Nello Quilici
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Italo Balbo e Nello Quilici

Le leggi razziali

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Italo Balbo e Nello Quilici

Le leggi razziali

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In questo libro, dedicato agli anni Trenta del Novecento, al lettore sono presentati uomini ed eventi di grande rilevanza nazionale: il "migliore" Italo Balbo, ostile all'antisemitismo e all'alleanza italo-tedesca di Mussolini; il fallito tentativo di Mussolini di mettere Nello Quilici contro l'amico Balbo, nonostante l'obbligo, imposto al primo, di esaltare le leggi razziali; l'amicizia tra il fascista Quilici e l'antifascista Francesco Viviani, martire della Resistenza; la "grande illusione" del fascismo di sinistra, capeggiato dal tresigallese (Tresigallo, FE) Edmondo Rossoni; il convegno internazionale di studi sindacali e corporativi, promosso da Quilici e tenutosi a Ferrara nel maggio 1932; l'altra "grande illusione" del gentiliano Ugo Spirito, presentatore a Ferrara della teoria della Corporazione proprietaria, accusata di comunismo.

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Informazioni

Il dibattito sul corporativismo (tra autobiografia e critica storica)

L’accadimento di gran lunga più significativo degli anni Trenta ferraresi è stato senza dubbio il Secondo Convegno di studi sindacali e corporativi, svoltosi dal 5 all’8 maggio 1932, e onorato da Mussolini con il seguente telegramma: «Ricevo il vostro telegramma e ricambio a voi e a tutti i Congressisti il saluto che mi avete mandato. Sono lieto che al secondo convegno ci sia una numerosa rappresentanza di studiosi di altre nazioni. Ciò significa che le soluzioni date dal fascismo ai problemi economici e sociali dell’età attuale sollevano l’interesse del mondo. Sono sicuro che i risultati del Convegno saranno importanti e apporteranno un contributo sostanziale al movimento di idee nato in Italia».
Alla scelta della città di Ferrara quale sede di quel convegno contribuì decisivamente Nello Quilici.
Il direttore del “Corriere Padano” è dal 1928 incaricato di Storia politica moderna all’interno del corso di laurea in Scienze sociali e sindacali istituito nello stesso anno presso la Facoltà di Giurisprudenza della Libera Università di Ferrara. Le altre materie di insegnamento di questo corso sono: Economia politica (prof. Pietro Sitta, Rettore dell’Ateneo, già eletto deputato interventista governativo nell’aprile 1915; il 18 gennaio 1919 nominato sottosegretario all’Agricoltura nel governo Orlando e rieletto deputato -per il blocco agrario- nel novembre 1919; sottosegretario all’Industria dal giugno 1920 al luglio 1921; di nuovo eletto deputato nel maggio 1921 per il blocco liberalfascista; nominato senatore il 18 novembre 1924; cofirmatario nell’aprile 1925 del Manifesto degli intellettuali del fascismo); Diritto amministrativo (prof. Leopoldo Tumiati, avvocato, padre del vivente giornalista Gaetano, eletto deputato nel blocco liberalfascista nel maggio 1921); Diritto industriale (prof. Guido Maria Baldi); Legislazione delle colonie e dell’emigrazione (prof. Umberto Borsi), Infortunistica (prof. Gaetano Boschi); Statistica e demografia (prof. Paolo Fortunati); Economia e Statistica agraria (prof. Gaetano Pietra); Diritto internazionale (prof. Costantino Jannaccone); Storia del diritto italiano (prof. Carlo Guido Mor); Diritto pubblico romano (prof. Luigi Borettini); Legislazione del lavoro e di assistenza e previdenza sociale, Diritto dell’assistenza e previdenza sociale (prof. Nicola Palopoli); Legislazione sindacale e corporativa (prof. Ferruccio Pergolesi, dal 1945 docente di Diritto costituzionale e amministrativo all’Università di Bologna: suo Il contratto individuale di lavoro, Zanichelli, Bologna 1945); Diritto commerciale e economia agraria (prof. Massimo Fovel); Storia delle dottrine e delle istituzioni economiche e finanziarie (prof. Alfredo Pino Branca), Geografia politica ed economica (prof. Giorgio Roletto).
L’8 novembre 1931 Nello Quilici assiste all’inaugurazione dell’anno accademico 1931-1932, aperta dalla relazione del Rettore, ed è presente alla lettura del vero e proprio cahier des doléances esibito dal senatore Sitta: la Libera Università di Ferrara sta attraversando un momento di grave difficoltà, e ha urgente bisogno di maggiori finanziamenti e di nuovi concorsi. L’Ateneo ferrarese è stretto dalla concorrenza delle tre vicine Università regie; dopo uno o due anni dalla nomina perde i primi eletti nei concorsi del ministero dell’Educazione Nazionale, perché questi si fanno trasferire in sedi più prestigiose. Quanto ai fondi, si trovano in una situazione economica di crisi gli enti pubblici e morali (le amministrazioni della Provincia, del Consiglio provinciale dell’economia corporativa, di tutti i Comuni della provincia, della Cassa di Risparmio di Ferrara, delle Federazioni Corporative) che in passato hanno contribuito alla vita dell’Università ferrarese: ora non sono più in grado di farlo.
Pochi giorni dopo Nello Quilici è a Roma, a batter cassa in favore dell’Università di Ferrara, con l’occhio rivolto soprattutto al “suo” corso di laurea in Scienze sociali e sindacali. Il ministro più adatto al quale rivolgersi non è il debole Balbino Giuliano, dotato di scarsa influenza, ma il titolare del ministero delle Corporazioni Giuseppe Bottai, personalmente interessato al potenziamento, almeno, del nuovo corso di laurea ferrarese in Scienze sociali e sindacali, comprendente la cattedra di legislazione sindacale e corporativa.
Bottai era stato nel 1927 il preparatore iniziale della Carta del lavoro, poi ritoccata dal ministro della Giustizia Alfredo Rocco (l’ideatore della legge 3 aprile 1926 sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro e della legge 25 novembre 1926 istitutiva del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato) e approvata dal Gran Consiglio del fascismo il 21 aprile 1927. Poi, nel 1928, da semplice sottosegretario alle Corporazioni, Bottai aveva fatto disporre lo speciale contributo iniziale a favore dell’Università di Ferrara e del suo corso di laurea in Scienze sociali e sindacali, «necessario allora per ottenere l’alta approvazione del capo del governo e il parere favorevole del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione»; e nel 1930, subito dopo la sua nomina a ministro delle Corporazioni, aveva ottenuto anche la nomina «per chiara fama» a professore di Politica ed economia corporativa all’Università di Pisa, dove aveva fondato la Scuola di perfezionamento di Scienze corporative. Chi meglio di lui avrebbe potuto far propria la causa del corso di laurea di Ferrara in Scienze sociali e sindacali?
Con un pretesto qualsiasi Quilici trova il modo di compiere un viaggio Roma-Genova e ritorno con Bottai, e ne approfitta per perorare la causa dell’Università di Ferrara. Dopo il viaggio, il 2 dicembre il professore ferrarese va a far visita prima a Bottai, e poi all’amico Balbo, «ideatore del corso di laurea» nel 1928, al ministero dell’Aeronautica, e mentre aspetta il concittadino ministro scrive in questi termini al Rettore Sitta su carta intestata del capo dell’ufficio stampa del ministero dell’Aeronautica:
Roma 2 dicembre 1931. Mio caro Senatore, ho avuto la fortuna di andare a Genova insieme con Sua eccellenza Bottai per la commemorazione del compianto professor Guidi, e strada facendo non è mancata naturalmente l’occasione di parlare della nostra Università, degli studi che si fanno a Ferrara e di tutto il nostro piccolo-grande mondo. Molto abbiamo parlato anche di Lei, la cui cara immagine paterna è sempre presente al mio cuore, e delle Sue difficoltà per rimediare al bilancio universitario, così gravemente colpito.
Sua Eccellenza Bottai si rende conto di tutto, ci vuole un gran bene, ci stima e ci apprezza, ma… deve anche lui fare i conti con le difficoltà del momento.
Il mio accorato intervento ha valso però a ottenere per l’Università di Ferrara il più alto e ambito premio che potesse oggi sperare (d’ordine morale). Sua Eccellenza Bottai, infatti, ha stabilito (e me ne ha dato oggi conferma al ministero), che Ferrara sia prescelta come sede del prossimo Convegno di Studi Corporativi. L’Università di Pisa ambiva molto a questo onore, e insieme con essa altre città, come Perugia e Pavia e Milano. La designazione di Ferrara ci deve riempire di legittimo orgoglio. Dopo Roma, ove si tenne il primo di questi convegni, nel maggio di quest’anno viene indicata Ferrara come la sede più degna per accogliere una così eletta schiera di illustrazioni della politica e della scienza nel 1932. Il convegno resta fissato tra la fine di aprile e i primi di maggio. La data precisa sarà combinata con le autorità politiche e accademiche ferraresi. L’Università sarà il centro della preparazione e della propaganda e il giornale e la rivista sono a disposizione per qualunque cosa occorra. Uno dei relatori del convegno sarà ferrarese, prescelto tra i docenti dell’Università: credo che Sua Eccellenza Bottai pensi al professor Fovel.
Della cosa è stato naturalmente subito informato Sua Eccellenza Balbo, il quale si è rallegrato molto e mi ha incaricato di metterLa al corrente di tutto, prima che la notizia diventi ufficiale.
Io sarò a Ferrara venerdì e mi metterò subito in contatto con Lei. Ho il piacere di comunicarLe anche che sono già in possesso del famoso sestante e che io stesso lo porterò a Ferrara. Le invio intanto i miei più affettuosi saluti. Suo Nello Quilici».
Contrariamente a quanto concordato con Bottai, la relazione ufficiale al Convegno ferrarese del maggio 1932 non sarà affidata a Fovel, bensì al suo collega Ferruccio Pergolesi, professore di Legislazione sindacale e corporativa (titolo: Contributo della legislazione sindacale al sistema delle fonti normative), benché Fovel avesse pubblicato a Ferrara, rispettivamente nel 1929 e 1930, Economia e corporativismo e Camera corporativa e redditi di gruppo.
Ma gli interventi dei professori di Ferrara al Convegno andarono ben oltre la relazione di Pergolesi: le si aggiunsero infatti le comunicazioni di Leopoldo Tumiati ( La rappresentanza del contratto collettivo di lavoro), Giacomo Perticone ( Su alcuni presupposti del diritto pubblico italiano), Nicola Palopoli ( Individuo e Stato nella concezione corporativa di Ugo Spirito), Gaetano Boschi ( Solidarietà tra enti assicurativi diversi e individuo in base a certe causalità infortunistiche), Luigi Morettini ( La posizione dell’individuo di fronte allo Stato nella concezione corporativa del diritto romano in rapporto al diritto italiano vigente), Paolo Fortunati ( Efficienza statistica ed efficienza corporativa), Alfredo Pino Branca ( Precedenti storici di finanza corporativa nella Repubblica veneta), Carlo Guido Mor ( Per una raccolta degli statuti medievali delle arti), Umberto Borsi ( Per l’unificazione della giurisdizione nelle controversie dei dipendenti dalle Aziende autonome comunali e provinciali), Costantino Jannaccone ( Interferenze fra il diritto corporativo e il diritto internazionale), Vittorio Neppi ( Sulla rappresentanza sindacale).
Va da sé che nessuno di essi rifiutò il giuramento al regime imposto con decreto legge (del 28 agosto 1931, pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” l’8 ottobre successivo, alla vigilia dell’anno accademico) dal ministro Balbino Giuliano (12 settembre 1929-20 luglio 1932, il primo dei ministri fascisti non più della Pubblica Istruzione, ma dell’Educazione Nazionale). L’articolo 18 del suddetto decreto stabiliva: «I professori di ruolo e i professori incaricati sono tenuti a prestare giuramento secondo la formula seguente: “Giuro di essere fedele al re, ai suoi reali successori e al regime fascista, di osservare lealmente lo Statuto e le altre leggi dello Stato, di esercitare l’ufficio di insegnante e adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e devoti alla patria e al regime fascista. Giuro che non appartengo né apparterrò ad associazioni o partiti, la cui attività non si concilii coi doveri del mio ufficio».
Giurò, quindi -ma lo si ricorda qui senza alcuna intenzione di giudizio moralistico- anche quel giovanissimo Carlo Guido Mor che nell’estate del 1925, insieme a Federico Chabod e Natalino Spegno, aveva aiutato Salvemini ad espatriare clandestinamente attraverso il valico del piccolo San Bernardo. Negli anni successivi Mor sarà uno dei maggiori docenti di storia del diritto italiano: dopo quello di Ferrara, beneficeranno del suo insegnamento le Università di Cagliari, Modena, Trieste e Padova. Nato a Milano nel 1903, si spense a Cividale del Friuli nel 1990. L’Università di Udine gli ha reso omaggio con due giornate di studio nel giugno 2002.
Come è noto, il Convegno ferrarese del maggio 1932 è passato alla storia come l’occasione in cui il gentiliano Ugo Spirito espose, dinanzi a una platea europea, la sua provocatoria tesi della «corporazione proprietaria», tacciata di comunismo e perciò invisa all’ala moderata del fascismo, come dimostra la netta opposizione di Balbo e Quilici: «Il capitale -disse Spirito- passa dagli azionisti ai lavoratori, i quali diventano proprietari della corporazione per la parte loro spettante in conformità dei particolari gradi gerarchici: il che importa che i corporati non si sentano stretti, come nel sindacato, da una necessità di difesa che è ai margini della vita economica e trascende nel politicantismo, ma siano uniti dal vincolo della comproprietà, attraverso il quale la corporazione acquista concretezza di organismo e piena consapevolezza del proprio compito economico-politico». Come ha giustamente osservato Enzo Santarelli, «le idee di Ugo Spirito, precipitando nel ’32, al convegno di studi corporativi di Ferrara, nella proposta di una “corporazione proprietaria”, finirono col costituire uno dei momenti più rappresentativi della lotta culturale e politica all’interno del regime».
Renzo De Felice accenna quasi di sfuggita al fatto che «Mussolini aveva conosciuto in anticipo la relazione Spirito e non l’aveva impedita», ma il dato è di estremo interesse, perché è indicativo del clima del momento, caratterizzato sia da una estrema nebulosità dei progetti in campo sul corporativismo, ancora non ufficialmente definito e approvato dal regime, sia dalla propensione del duce a dimostrare che il fascismo non fosse, come asseriva la critica marxista, un puro strumento del capitalismo. Il capitalismo sembrava sul punto di fallire, a causa della grande crisi recessiva del 1929 che aveva investito l’Europa e l’Italia, paese nel quale i suoi effetti devastanti si erano sommati a quelli, deflazionistici, della scelta mussoliniana dell’agosto 1926 e maggio 1927 (discorso dell’Ascensione) della rivalutazione della lira a quota novanta nel rapporto con la sterlina.
Spirito era funzionale a questo disegno demagogicamente anticapitalistico, sul quale fece leva in quell’occasione lo stesso Fovel, il quale, in odore di antifascismo, trovava opportuno cavalcare l’eretica tesi del “camerata” Spirito.
Fovel, infatti, pur cercando di spoliticizzare la tesi di Spirito in termini economicistici di pura razionalizzazione, non esitò, in mezzo agli schiamazzi, ai fischi, alle proteste e alle interruzioni dei presenti, ad aderire alla tesi della corporazione proprietaria. Qualcuno gridò, durante il suo intervento: «fuori i socialisti!», e nell’articolo Dopo il Convegno di Ferrara. A sipario calato, nel numero di giugno-luglio 1932 l’organo dei fascisti perugini “Il grifo” affermò: «Ci sia permesso, però, di domandarci perché a Ferrara si sia permessa la discussione di una tesi tanto balorda e si sia consentito che Massimo Fovel, già democratico-socialista, negatore di ogni idea fascista, intervenisse al Convegno».
Inutile aggiungere che a Ferrara si scagliò contro Spirito anche il parolaio-arrivista molfettese Sergio Panunzio, assurto alle alte cariche politiche e universitarie di regime dopo avere come leader sindacalista rivoluzionario riempito di contumelie il socialismo ferrarese e italiano dell’età giolittiana e avere teorizzato che non lo Stato ma il Sindacato è il solo produttore del diritto («i sindacati sono uno Stato dentro e contro lo Stato»). Passato al fascismo nel 1920, divenne successivamente zelatore dello Stato mussoliniano e gentiliano. Quando l’altro molfettese Salvemini rese nota in Inghilterra la sua nobilissima lettera di dimissioni da professore «stabile» dell’Università di Firenze («Signor Rettore, la dittatura fascista ha soppresso, oramai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento universitario della storia - quale io l’intendo- perde ogni dignità, perché deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni. Sono costretto perciò a dividermi dai miei giovani e dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenze e di rispetto verso me stesso», ), fu lui a inviare senza indugio l’ignobile telegramma a Mussolini da chi scrive rinvenuto nell’Archivio Centrale dello Stato: «Molfetta, 28 novembre 1925. Protesto vivamente nome mia Molfetta contro Gaetano Salvemini che ha concluso con sua ultima sciagurata pubblicazione estero sua carriera politica avversatrice e denigratrice proprio Stato dal quale est definitivamente fuori. Devoti saluti. Sergio Panunzio».
Prendendo la parola dopo l’intervento di Agostino Nasti, capo dell’ufficio stampa del ministero delle Corporazioni e collaboratore della rivista “Critica fascista”, il quale aveva difeso la relazione di Ugo Spirito evidenziandone un intimo legame con quella presentata da Arnaldo Volpicelli, docente dell’Università di Pisa e direttore, insieme a Spirito, della rivista “Nuovi Studi di Diritto, Economia e Politica”, Panunzio giunse al cuore del problema e così sfidò Spirito: «il camerata Spirito non vuol sentire parlare di contrapposizione di ideali, di odio fra Roma e Mosca. Non sono d’accordo»: la contrapposizione tra Roma e Mosca «non doveva essere solo economica, ma anche e soprattutto spirituale e politica».
In buona sostanza, a parte la scontata posizione di Panunzio, contro la tesi della corporazione proprietaria di Spirito e di Fovel, destinata ben presto a rientrare per far luogo alle definitive, as...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. ITALO BALBO E NELLO QUILICI
  3. Indice
  4. Intro
  5. Premessa
  6. Settembre 1938: Antonio Baldini scrive a Nello Quilici
  7. Il “Corriere Padano” e la questione ebraica nel 1938
  8. Nello Quilici ubbidisce
  9. La difesa della razza
  10. 1939: la perdurante amicizia tra Balbo e Quilici
  11. L’attività culturale di Quilici e la sua amicizia con il professore Viviani
  12. Il dibattito sul corporativismo (tra autobiografia e critica storica)
  13. Fonti bibliografiche in ordine cronologico
  14. Ringraziamenti