Ferrara Città Europea
eBook - ePub

Ferrara Città Europea

Storia politica e civile dalle origini a oggi

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Ferrara Città Europea

Storia politica e civile dalle origini a oggi

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

La presente opera vuol essere al servizio di lettori che amano Ferrara ma non intendono cimentarsi con una pesante trattazione erudita, di quelle che si mettono negli scaffali per consultarle di rado. No: nelle intenzioni dell'Autore questo vuol essere un libro da leggere.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Ferrara Città Europea di Alessandro Roveri in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a History e World History. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788828323723
Argomento
History
Categoria
World History

«Ducato» e Legazione di Ferrara nel secolo XVII

Con la devoluzione, Ferrara, da capitale di un glorioso Stato, scade dunque a capoluogo periferico di Legazione e sede del cardinale Legato pontificio, che si insedia nel Castello estense. Il nome «ducato» resterà nei documenti e nella pubblicistica, come concessione all’orgoglio dei Ferraresi, ma la Legazione di Ferrara non sarà nulla di diverso dalle altre Legazioni emiliano-romagnole.
Il passaggio di Ferrara allo Stato pontificio viene vissuto con particolare ansia dai circa duemila membri della locale comunità israelitica, che dal 1583 hanno perduto il loro fortunato status. In quell’anno il duca Alfonso II, che pure nel 1560 ha autorizzato l’apertura di un quarto banco (sulla strada di San Francesco: Graziani 22), «si vide costretto a recedere dalla fermezza paterna e, cedendo alle pressioni di papa Gregorio XIII, consegnò tre marrani, accusati di aver praticato la circoncisione a cristiani (ossia a ebrei battezzati), all’Inquisizione romana, che li mandò sul rogo in Campo dei Fiori» (Segre2, 744-745). Allora, terrorizzata, «gran parte della comunità» ebraica lascia Ferrara e si rifugia in terra veneziana, ossia nel vicino territorio della tollerante repubblica di San Marco.
Temendo assalti alle loro proprietà e alle loro persone dopo la partenza di Cesare d’Este per Modena, gli Ebrei rimasti a Ferrara si portano nei pressi della porta San Paolo sul Po, dove si trova il Banco della Ripa, pronti a fuggire su carri e barche. («Questa porta -Frizzi 253- fu distrutta nel 1608 insieme con quella di San Romano, e d’ambedue se ne fece una sola in un punto di mezzo, che si chiamò Porta Paola dal nome di Paolo V»; oggi essa reca il nome di Porta Reno). Gli Ebrei vengono rassicurati dal Giudice dei Savi conte Camillo Rondinelli, che a ogni buon conto, per proteggerli, fa ammassare truppe nella sede dell’Università a Palazzo Paradiso, consentendo loro di rientrare nelle proprie abitazioni. Nonostante ciò, altri cinquecento ebrei ferraresi, non fidandosi del governo pontificio, preferiscono raggiungere i loro correligionari a Venezia.
La condizione degli israeliti rimasti a Ferrara subisce però subito un netto peggioramento, perché il Legato Aldobrandini impone loro di vendere gli immobili posseduti entro cinque anni (Breve di Clemente VIII del 24 agosto 1602: Frizzi 47-48); li obbliga, uomini e donne, a portare un velo giallo (il «simano») sul copricapo per essere riconoscibili a vista; vieta loro di acquistare nuovi immobili e di prendere in appalto dazi e gabelle di qualsiasi tipo.
Peggio ancora vanno le cose per gli Ebrei ferraresi sotto il pontificato di Urbano VIII nel 1624, allorché viene creato il ghetto con l’obbligo di concentrare tutte le abitazioni in via dei Sabbioni e adiacenze. I due banchi ebraici rimasti fuori del ghetto, quello della Ripa e quello della Bocca del Canal, sono costretti a traslocare, e scelgono come nuova sede l’attuale via Vittoria (Graziani 22-23). Al ghetto si accede da cinque grandi porte, che vengono chiuse ogni sera fino al mattino seguente. Per far posto agli israeliti vengono fatti sloggiare dalla zona i cristiani colà residenti. La più importante delle porte del ghetto è quella che dà accesso alla piazza centrale della città, quella di San Crispino (oggi Trento e Trieste). Questa porta, decorata architettonicamente, è dotata di due piccoli usci laterali per il passaggio delle persone di volta in volta autorizzate ad entrare o uscire durante il coprifuoco.
E ancor peggio le cose degli Ebrei andranno a partire dal decreto sul ghetto del 1627, che «ordina la chiusura del ghetto nella settimana santa dal legamento delle campane della Cattedrale la mattina del Giovedì sino allo slegamento che segue nella mattina del Sabato», e soprattutto a partire dall’editto emanato nel 1629 dal vescovo cardinale Magalotti, ricalcante la bolla Cum nimis absurdum di Paolo IV (il papa che aveva istituito il ghetto di Roma): le lavandaie cristiane non possono senza permesso lavare indumenti agli Ebrei, e comunque non devono entrare nelle loro case per la consegna; i medici cristiani non possono curare degli Ebrei e viceversa; un terzo degli Ebrei ferraresi di età superiore ai dodici anni hanno l’obbligo di recarsi a turno «nella chiesa o cappella ducale posta nella corte del palazzo comunale, ogni domenica prima o dopo il vespro della cattedrale, per sentirsi spezzare il pane della verità». Commenta giustamente Abramo Pesaro nel 1880, quando erano ancora lontane le leggi razziali fasciste e le persecuzioni naziste della seconda guerra mondiale: «Cosa più ripugnante alla libertà di coscienza non potevasi imporre, e con tutta indifferenza esponevansi uomini e donne, vecchi e fanciulli agli scherni e ai mali trattamenti del basso popolo, obbligandoli a percorrere la grande piazza nei giorni festivi, e nelle ore di maggiore frequenza, per recarsi dal claustro alla detta chiesa, e per ritornare!» (Pesaro 43).
Benché sui generis, il nuovo Stato di cui fa parte ora Ferrara, il pontificio, presenta molti dei caratteri di quell’ ancien régime che cadrà in Francia sotto i colpi della Rivoluzione dell’’89. Ne sono un aspetto, oltre a istituti come il maggiorascato e il fedecommesso (chi eredita un terreno ha l’obbligo di conservarlo intero), le decime ecclesiastiche, tra le quali quelle di cui sono ancora beneficiari molti nobili ferraresi. Questo privilegio nobiliare appare intollerabile al Legato di Ferrara cardinale Leni, che vuole restituire il... maltolto ai legittimi destinatari ecclesiastici. Scoppia allora una vera e propria guerra delle decime, perché i nobili ferraresi si oppongono con la forza delle armi alla riforma Leni. Il conte Girolamo Romei arriva a nascondere nella sua villa di Casaglia una banda di contrabbandieri e di banditi fatti venire dalla Romagna! Il conflitto si conclude dopo tre anni di scontri, nel 1619, con un compromesso: il vescovo, per il momento, si rassegna, ma solo dopo avere ricevuto ventimila scudi di indennizzo (Frizzi 61).
A onta del Consiglio centumvirale e del suo organo esecutivo di dieci Savi guidato dal Giudice dei Savi, comandano preti e frati, talvolta in veste di Legati talaltra in quella di prelati. La città, già ricca di parrocchie, chiese e conventi, si riempie di nuovi templi e monasteri in gran parte inutili. Invano i Ferraresi cercano di opporsi, per la buona ragione che ci sono già abbastanza monaci, e i nuovi «sembravano fuor di proporzione col popolo che doveva alimentarli» (Frizzi 67). Tra il 1615 e la metà del secolo ottengono chiese e monasteri il frate dei Minori Osservanti Bartolomeo de’ Cambi da Saluzzo (chiesa delle Sacre Stimmate, all’angolo tra Piazza oggi Ariostea e attuale via Palestro [Frizzi 47]); i Cappuccini (chiesa di San Maurelio dell’attuale Corso Porta Po, nei pressi della casa dell’Ariosto, con il convento confinante con quello della chiesa di Santa Caterina: Frizzi2, 64; e si tenga presente che in prossimità della chiesa di San Maurelio è sorta tra 1563 e 1566 la chiesetta dei santi Pietro e Paolo nell’attuale via Benvenuto Tisi da Garofalo, e sorge nel 1635 la chiesa di Santa Maria dei Servi nell’attuale via Cosmè Tura!); i Teatini (chiesa di Santa Maria della Pietà di fronte a palazzo Roverella); gli Agostiniani scalzi (Chiesa di San Giuseppe nell’attuale via Carlo Mayr); le Cappuccine (chiesa di Santa Chiara nell’attuale Corso Giovecca); gli Eremitani del beato Pietro da Pisa (Chiesa “de Templo” o “de foris”, poi della Rosa, ovvero roggia, dal nome del vicino canale-abbeveratoio per cavalli, oggi viale Cavour, angolo di via della Rosa, oggi degli Armari, distrutta dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale); i Francescani del terzo ordine (Chiesa di Sant’Apollonia oggi in via XX settembre 118), ai quali si aggiungono i Frati Minori osservanti di San Francesco (Frizzi2, 82), che ottengono negli anni cinquanta del secolo il completamento di chiesa e convento di Santo Spirito, risalenti alla fine del XIV secolo ma poi andati distrutti; una confraternita laica che ottiene la sua chiesa di Santa Maria dei Suffragi in via San Romano (Frizzi 67-78) e gli Oratoriani di San Filippo Neri che nel 1657 ottengono di officiare la chiesa di Santo Stefano (Frizzi 122)!
Nel 1611, inoltre, viene consacrata la nuova chiesa di San Paolo, la cui costruzione (in fondo all’attuale Corso Porta Reno) era iniziata nel 1575, dopo di che vi erano stati collocati dipinti, ancora oggi conservati, di Sebastiano Filippi, l’allievo ferrarese di Michelangelo autore del michelangiolesco Giudizio finale del Duomo di Ferrara, e di Girolamo da Carpi, il pittore e architetto ferrarese direttore dei lavori vaticani sotto papa Paolo III.
Nel 1696 viene avviata, nell’attuale via Savonarola, la costruzione della chiesa di San Girolamo, alle spalle dell’ex convento (secolo XV) dei gesuati, visitato dal Montaigne nel 1580.
Ad affollare la città di nuove chiese contribuisce anche l’Aleotti, che vi aggiunge, confinante con l’Ospedale di S. Anna, la bella chiesetta di Sant’Andrea, nella quale verrà sepolto nel dicembre 1636 (dell’Aleotti sono anche, in questo periodo, oltre che lo slanciato, altissimo campanile di San Benedetto -poi reso pendente da cedimenti del terreno-, le chiese di San Carlo, Santa Barbara e dei Cappuccini: Raimondi 74). Tutta questa inflazione di chiese e monasteri in una città nella quale, quando c’è la carestia, come nel 1629, c’è gente che muore -letteralmente- di fame (Frizzi 83). Intorno alla metà del Settecento si conteranno a Ferrara venti monasteri di sole monache di clausura (Frizzi 197)!
Una considerazione a sé merita, per la sua funzionalità scolastica, il collegio che i Gesuiti cominciano ad edificare, accanto alla loro chiesa, nel 1676 nella via del Borgo dei Leoni (Frizzi2, 78). Quando nel 1773 sarà soppressa la Compagnia di Gesù, beni e locali del collegio passeranno ai Padri Somaschi, già presenti a Ferrara dal 1557 per l’assistenza agli orfani e dal 1674-1682 incaricati dell’insegnamento superiore anche per i giovani non orfani prima nell’orfanotrofio e poi (1688) nell’ex convento di San Niccolò (Pancera 91; Medri 1, 148). Nei locali dei Gesuiti di via del Borgo dei Leoni avrà sede, dopo il Risorgimento, il Regio Ginnasio-Liceo Ariosto, frequentato da Giorgio Bassani, da Lanfranco Caretti e dai martiri della Resistenza Gigi Medini, Ludovico Ticchioni e Francesco Tumiati.
Quando un Cardinale Legato vuole che anche il clero faccia la sua parte nel contribuire alle pubbliche spese, urta contro la fortissima resistenza degli ecclesiastici, appoggiati dal vescovo. Ritroveremo questo contrasto nel Settecento, ma intanto prendiamo atto della sconfitta del Legato Pallotta (1631-1634). Egli trova una città indecorosamente sporca, con le vie che «presentano alla vista un continuo letamaio» (Frizzi 90), e si propone di ripulirla. Qualche cosa riesce a fare: prolunga la via degli Angeli (o dei Piopponi) fino al Castello, eliminando il vecchio giardino ducale estense che la interrompeva nell’ultimo tratto e congiungendo così la suddetta strada alla Giovecca: «il più bel punto di vista che presenti la città nostra», scriverà il Frizzi (ivi) oltre un secolo più tardi. Ma quando il Pallotta decide di procedere alla generale ripulitura e selciatura delle strade più sporche e calcola il preventivo di spesa rendendosi conto che l’impresa può essere realizzata soltanto se anche il clero contribuisce all’investimento, trova contro di sé il vescovo Magalotti che invoca l’immunità fiscale degli ecclesiastici e blocca il progetto. Invano il Pallotta ricorre a Roma: là «l’affare si mise in dimenticanza, e nulla fu fatto» (ivi).
Intanto spariscono dalle chiese di Ferrara, per ricomparire sul mercato romano, dipinti del Garofalo, del Tiziano, di Giovanni Bellini, del Mantegna e soprattutto di Dosso Dossi, l’insigne maestro ferrarese vissuto alla corte di Alfonso I, vittima di un vero e proprio saccheggio (Lucco 25; Frizzi 67). Altri Garofalo e Dossi e Tiziano, un tempo adornanti le stanze di rappresentanza e le camere segrete di Castello estense, prendono la via di Modena con la devoluzione, e finiranno a Dresda (dove sono ancora oggi visibili dopo i restauri avvenuti in Unione Sovietica) in seguito all’acquisto che ne farà l’Elettore di Sassonia Augusto III.
Ma, soprattutto, tutti gli indici economici segnano un preoccupante regresso. I commerci languono, a onta del collegamento fluviale tra Ponte Lagoscuro e la porta di San Benedetto realizzato (Cavo del Barco: Cazzola-Carlino) all’inizio del secolo dai Ferraresi, con successivo prolungamento dalla porta al Castello, denominato Canale Panfilio perché realizzato durante il pontificato (1644-1655) di Innocenzo X Pamphili. A nulla è servita l’attuazione del Breve pontificio del 12 agosto 1604, in ottemperanza al quale viene tolto al Reno «l’ingresso superiore nel Po di Ferrara», risalente al 1522-1526, per immetterlo più a valle, nell’insabbiato Primaro, attraverso le paludi di San Martino, e si tenta (inutilmente) di scavare il Volano fino alla foce: il risultato è quello di allagare, a sud della città, i terreni della bonifica della Sammartina promossa un secolo prima da Ercole I d’Este (Cazzola-Carlino 196) e di alluvionare terreni bolognesi, aprendo un interminabile contenzioso idrologico con le autorità petroniane.
Il tentativo di ripristinare l’antica navigabilità di Volano e Primaro mediante escavazioni viene ripetuto nel 1671, ma ormai non c’è più niente da fare: gli alvei dei due fiumi sono di ben 28 piedi più alti di quello del Po Grande (Cazzola-Carlino 204). La città deve accontentarsi di quel tanto di acqua che proviene dal Canalino di Cento: acqua priva di pendenza, evidentemente, se falliscono nel 1675 e 1681 due tentativi di sfruttarlo a beneficio di un follo per la compressione e l’espurgo delle lane (Frizzi 134). Di tutto questo rimane soltanto il nome della via presso la quale è stata predisposta la cisterna per il follo (via Cisterna del Follo). Completa poi il fallimento dei tentativi manifatturieri ciò che accade nel 1696-1699 alla fabbrica delle calzette di lana, costruita con la partecipazione finanziaria della «Comunità» (questa l’espressione usata dal Frizzi 147) e a quella dell’«espurgo delle lane»: chiusura di entrambe nel giro di pochi anni.
Frizzi non avanza il sospetto, ma c’è da pensare che qualche imprenditore disinvolto abbia compiuto questi tentativi soltanto per intascare denaro pubblico, sull’esempio -come stiamo per vedere- assai pericoloso di due amministratori del Monte di Pietà responsabili del fallimento avvenuto nel 1647 (Tocci 95). Vengono condannati a morte, ma a uno solo dei due la condanna costa la vita, e precisamente al custode Bianchi, decapitato nell’attuale via Garibaldi, di fronte alla porta del Monte stesso. L’altro, il vicecomputista Orlandi, si vede commutata la pena nel carcere perché gli crollano sotto il patibolo «le tavole del palco» eretto in Piazza di S. Crispino (Frizzi 116). Non funzionano nemmeno le esecuzioni capitali!
Diminuisce la popolazione in città, e diminuisce quella del contado. Papa Alessandro VI, a ciò sollecitato dal Legato e dalle autorità locali, pubblica infatti nel 1655 un chirografo con il quale concede «l’esenzione totale per nove anni da gravezze così camerali [romane] come municipali a quegli agricoltori, che da parti estere si [trasferiscano] colle loro famiglie e bestiami, ad abitare in Ferrara e nel suo distretto». Segno che davvero lo spopolamento, dovuto sia al disordine idrologico, non saputo impedire, sia alle devastazioni belliche di cui diremo poco più sotto, è diventato preoccupante. Ma arriva meno gente di quanta non se ne vada (Frizzi 124)!
Per somma sventura dei contadini ferraresi, la partenza degli Estensi per Modena non ha rappresentato la fine delle invasioni belliche. Quando, nell’estate del 1623, parroci e curati di campagna annunziano con sommo gaudio l’avvenuta elezione al soglio pontificio di Urbano VIII (Maffeo Barberini), i Ferraresi della città e, soprattutto, i Ferraresi che vivono nel distretto non immaginano quali disastri economici procurerà loro quel rampollo di una famiglia fiorentina, i Barberini, che si sono arricchiti ad Ancona nel campo del grande commercio.
Urbano VIII Barberini è amico della Francia cattolica di Luigi XIII e di Richelieu impegnati nella Guerra dei Trent’Anni contro gli Asburgo d’Austria e gli Asburgo di Spagna. Non a caso è stata la Francia, con i suoi cardinali, a favorirne l’elezione in conclave. È un sovrano assoluto e accentratore più ancora dei suoi predecessori, e si considera prima di tutto un principe tra i principi italiani. Questi ultimi, alla luce delle vittorie francesi contro gli Asburgo, temono invece non più la preponderanza spagnola in Italia, ma una possibile egemonia francese. Quando poi nel 1631, sotto papa Barberini, lo Stato pontificio si impadronisce di Urbino, i loro timori si estendono a Urbano VIII e ai suoi tre nipoti, i cardinali Francesco e Antonio e il prefetto di Roma Taddeo, che stanno accumulando rendite favolose nella capitale, di cui saccheggiano i monumenti più antichi ( quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini), e manifestano propositi assai ambiziosi.
Sembra dar ragione ai timori dei principi italiani il conflitto che nel 1641 insorge tra i Barberini tutti e il duca di Parma Odoardo Farnese a proposito dei diritti di rendita nel territorio di Castro, proprietà dei Farnese nei pressi di Orbetello. Dopo avere occupato militarmente Castro, Urbano VIII, nel gennaio 1642, scomunica il duca e si accinge ad attaccare anche Parma e Piacenza. Come sede del comando delle operazioni, purtroppo per i Ferraresi, viene scelta Ferrara. È questo il momento in cui Taddeo Barberini, comandante delle truppe pontificie, dà un primo dispiacere ai Centesi con la distruzione di molti edifici e la costruzione di fortificazioni al loro posto.
Nell’esercito del papa, per dimostrare la loro lealtà, si arruolano volontari molti cittadini-sudditi ferraresi, tra cui oltre venti ufficiali immessi nello Stato maggiore pontificio. A questo punto però si può dire che tutt’Italia insorga contro il papa. Si forma una Lega alla quale aderiscono, a fianco dei Farnese, Venezia, che nomina generale supremo Luigi d’Este (fratello del duca di Modena), il granduca di Toscana e il duca di Modena stesso Francesco d’Este, che spera di riprendersi Ferrara tolta a suo nonno Cesare. Chiameremo Alleati, come ha fatto il Ranke, tutti costoro. Per ora i danni nel Ferrarese si limitano a questa devastante comparsa del Barberini a Cento, e alla cattura nei porti di Goro e Magnavacca, da parte dei Veneziani, di alcune navi cariche di olio pugliese e di grano (Frizzi 95, 99).
I guai grossi devono ancora venire, e cominciano nella primavera del 1643, quando scendono in campo le truppe tedesche al servizio degli Alleati e le truppe francesi al servizio del papa, e gli Alleati passano all’offensiva. Il primo a sferrare l’attacco è il Farnese (Ranke 828), il quale, forte di 3500 fanti e 2000 cavalieri in parte italiani in parte tedeschi, muove contro Bondeno, borgo blindato dietro la cinta delle sue mura e dotato di porte che vengono chiuse di notte. Comandante della guarnigione di Bondeno, munita di 3000 fanti e 400 cavalieri, è il napoletano Francesco Moricone, il quale, non appena avvista le truppe nemiche, invia un messaggero a Ferrara per ottenere dal comandante francese Valençais (in Frizzi 100-101: Valenzè) l’aiuto necessario. Il Valençais gli ordina di resistere, e gli promette l’aiuto richiesto, dopo di che parte alla testa di 1800 cavalieri e 9000 fanti con otto pezzi di artiglieria, ma si ferma in un campo trincerato a Ponte Rodoni, un campo inutile perché costruito soltanto per sbarrare la strada Bondeno-Ferrara. Il Farnese ha quindi la possibilità di entrare in Bondeno dalla parte opposta senza incontrare una consistente resistenza; il Moricone fugge a Ferrara per non cadere prigioniero, ma mal gliene incoglie, perché viene giustiziato per codardia, esattamente come sette anni prima erano stati giustiziati a Parigi i governatori di La Capelle, du Bec, e di Le Catelet, barone di Saint-Léger, per codardia dinanzi agli Spagnoli avanzanti verso Parigi. La legge militare francese è spietata.
A questo punto cominciano i saccheggi e le violenze degli occupanti germanico-parmensi. Frizzi riferisce che a Bondeno non vanno «esenti da oltraggio né donne né uomini né ecclesiastici né cose sacre», e che nei giorni successivi «le truppe di Parma», comprendenti reparti tedeschi, dilagano nelle campagne fino a sette miglia da Ferrara «a depredar grani bestiami e fieni, a tagliar alberi, e a incendiar fienili e case». Uscito finalmente dalla città il Valençais con alcune pattuglie, i Parmensi si ritirano verso Bondeno senza subire gravi perdite (due morti e sei feriti), ma adesso sono i Francesi ad abbandonarsi al saccheggio, «parendo loro sconcio -osserva lo storico ferrarese sarcasticamente- che quello incominciato dai nemici dovesse rimaner imperfetto». Il Farnese poi, con l’aiuto dei Veneziani provenienti da Ficarolo, assedia la fortezza di Stellata, che fronteggia sul Po Ficarolo, e costringe il suo comandante ad arrendersi per mancanza di munizioni (Frizzi 101).
Ai Veneziani non par vero di potere ora dilagare nel Ferrarese, da loro sempre agognato. Eccoli alla fine di maggio risalire il Po; occupare Santa Maria Maddalena e Polesella; varcare il fiume e incendiare i territori di Ro, Zocca e Ruina; catturare e portare sulla riva sinistra del fiume i mulini e le barche ferraresi. Sono i mulini di cui un giorno narrerà Riccardo Bacchelli, quelli che macinano il grano per la città di Ferrara. Questa, ora, è costretta a rimettere in azione la sua macinazione di riserva, ottenuta con i pestrini, piccoli mulini di fortuna azionati da cavalli e da buoi. Poiché Ferrara stessa si sente minacciata da un nemico sempre più forte grazie all’arrivo delle truppe di Francesco d’Este, il comando barberiniano della città ordina al Valençais di rientrare in città. I mesi di giugno e luglio del 1643 vedono in tal modo quasi tutto il distretto nelle mani degli Alleati, con i Veneziani scatenati: sbarcano a Goro e, aggirando il porto di Volano, risalgono fino a Codigoro, dove incendiano tutte le abitazioni.
Per fortuna della città di Ferrara e della causa pontificia, tra gli Alleati manca unità di intenti, tanto che in agosto i Francesi del Valençais possono passare alla controffensiva, urtando però contro la resistenza dei «feroci Albanesi e d’altri Greci» (al servizio di Venezia) a Santa Maria Maddalena. Qui ha luogo ai primi del settembre 1643 la battaglia più sanguinosa (800 morti complessivamente), una vittoria di Pirro dei Veneziani, i quali, dinanzi ai rinforzi fatti venire dal Legato cardinale Antonio Barberini, preferiscono ritirarsi dal Polesine di Rovigo e concentrare il loro sforzo bellico lungo l’Adriatico fino a Senigallia (Frizzi 106-107).
I Parmigiani, invece, non si muovono da Bondeno se non per compiere scorrerie e rapire bestiame, cosa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. FERRARA CITTÀ EUROPEA
  3. Indice
  4. Intro
  5. Premessa
  6. Ferrara dalle origini alla formazione del Comune
  7. Lotta per le investiture e nascita del Comune di Ferrara
  8. Fine secolo XII: i Salinguerra-Torelli minacciati dai marchesi d’Este, ben più potente famiglia feudale
  9. La peculiarità di Ferrara, prima città “signorile” e l’avvento degli Estensi
  10. Niccolò III (1393-1441), ovvero cultura, primi banchi ebraici e precorrimenti borgiani nella Ferrara del primo Quattrocento
  11. Ferrara sotto la signoria dell’ultimo marchese (Leonello, 1441-1450) e del primo duca d’Este (Borso, 1450-1471)
  12. Gli anni di Ercole I (1471-1505)
  13. Alfonso I d’Este (1505-1534), ovvero una guerra dopo l’altra
  14. Casa d’Este alle prese con la Riforma protestante: Ercole II (1534-1559)
  15. La fine della dinastia estense a Ferrara: Alfonso II (1559-1597)
  16. La «devoluzione»
  17. Ferrara alla fine del Cinquecento
  18. «Ducato» e Legazione di Ferrara nel secolo XVII
  19. «Ducato e Legazione di Ferrara» nel secolo XVIII
  20. Il “generale Vendemmiaio” a Ferrara
  21. Restaurazione e Sette a Ferrara
  22. Il ’48-’49 a Ferrara e il martirio di Succi, Malagutti e Parmeggiani
  23. Ferrara dal decennio di preparazione alla fine del secolo XIX
  24. Ferrara nell’età giolittiana, dal 1900 alla grande guerra
  25. Ferrara dalla grande guerra al fascismo
  26. La lunga notte del regime
  27. I nomi dei cittadini ferraresi condannati dal tribunale fascista, la Resistenza, altri nomi che è doveroso ricordare
  28. Il secondo cinquantennio del Novecento
  29. Note. Tavola delle abbreviazioni
  30. Ringraziamenti