La città al di là del mare
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La città al di là del mare

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La città al di là del mare

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A nonno Luigi, che non ho mai conosciuto e del quale so ben poco. Un bel giorno mise quattro stracci in una borsa e se ne andò lontano: in Argentina. Come si sia svolta la sua vita in quel Paese, e come là sia avvenuta la sua morte, non l'ho mai saputo. A me piace pensare che i fatti si siano svolti come io li ho immaginati.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788828325444

I.

I suoi scolari parevano piccoli diavoli scatenati, quella mattina d’ottobre. Senza dubbio dovevano preavvertire l’arrivo delle prime piogge. Da alcuni giorni infatti grandi nubi nere andavano addensandosi all’orizzonte, al di là del fiume, senza che ancora fosse caduta una sola goccia d’acqua.
Sidonie fece di tutto per calmare gli animi dei suoi allievi, ma alla fine si convinse che per quel giorno era più saggio prenderla persa e rinunciarvi. Di solito sapeva come farsi rispettare, ma non voleva correre il rischio d’incrinare il non facile rapporto che era riuscita a instaurare con quella masnada turbolenta, fatta per lo più di piccoli indios e di figli d’emigrati, sempre piuttosto insofferenti, facili a scatenarsi a ogni più piccola occasione.
“Va bene, per oggi basta così… E adesso, tutti a casa!” Come un branco d’uccellini che si levano in volo tutti assieme, con un unico grido d’esultanza i bambini schizzarono dalla nuda terra dov’erano seduti e si precipitarono verso l’uscita, disperdendosi in un baleno giù per la strada che portava al fiume. Sidonie li seguì con lo sguardo, e con il cuore, mentre un sorriso di compiacimento affiorava sul suo viso.
“Ma signorina, cosa state facendo?… Perché li lasciate andare così presto?… Manca più d’una mezz’ora alla campana, e quei briganti debbono capire che gli orari vanno rispettati. Altrimenti non impareranno mai a stare al mondo!”
Frate Onofrio era accorso a quell’improvviso baccano e aveva assistito impotente allo sciamare giù per la strada dei ragazzi, riuscendo a malapena a non farsi travolgere da loro. Guardava con disappunto ora in direzione dei bambini, che a perdifiato continuavano a correre verso il porto, e ora verso la giovane insegnante che pareva non preoccuparsi affatto delle sue lamentele.
Il vecchio frate non riusciva a farsene una ragione. Quella ragazza per lui era sempre stata una specie di mistero. Così brava a insegnare, tanto che quella banda di piccoli delinquenti aveva fatto indiscutibili progressi da quando lei li aveva presi sotto le sue ali, ma così incostante e così imprevedibile!… A volte otteneva dai ragazzi risultati incredibili, anche sul piano della disciplina, facendoli filare a meraviglia soltanto che dicesse una parola, o facesse un gesto. Altre volte invece pareva che quei piccoli demoni le sfuggissero di mano, o peggio ancora che lei fosse d’accordo con loro, che tacitamente li incoraggiasse. Esplodevano in manifestazioni inconsulte d’insofferenza e d’indisciplina che quasi facevano paura, e per di più pareva che la loro giovane insegnante se ne compiacesse, che si divertisse a quelle loro intemperanze. Tutte cose da non crederci neppure, tanto erano fuori da ogni logica, da ogni comprensione!
“Cosa volete farci, fratello Onofrio… Sentono il tempo, come ogni altra creatura, come noi del resto. Non c’è niente di male in tutto questo. Domani forse saranno più disposti a imparare. Almeno, ce lo auguriamo tutti quanti, non le pare?”
Sidonie guardava in fondo alla discesa, dove i suoi allievi erano scomparsi, e intanto sorrideva, cercando di non farsi scorgere dal frate per non irritarlo ancora di più. Dentro di sé si sentiva bene, in pace con sé stessa. Aveva risposto all’anziano superiore con una certa sufficienza, senza neppure voltarsi per guardarlo in viso.
Fin dai primi tempi il modo di fare e di pensare di quell’uomo l’aveva disturbata non poco. S’era sforzata di capirlo, ma in tutta sincerità non c’era ancora riuscita, per cui alla fine ci aveva rinunciato. Fortuna che gli altri fratelli erano diversi e la lasciavano fare! Padre Onofrio invece non perdeva occasione per muoverle rimproveri, o per criticarla facendole rilevare tutto ciò che secondo lui non andava bene. Ma tant’è, lei aveva imparato a non dargli troppo peso, a lasciarlo dire.
Vista l’inutilità delle sue parole, il padre superiore si volse di scatto e con un’alzata di spalle se ne andò piuttosto contrariato, lasciando sola la ragazza. Che poi era proprio quello che Sidonie più desiderava in quel momento, perché dentro di sé avvertiva un bisogno quasi fisico di restare con sé stessa. S’appoggiò al muro ancora caldo di sole della Missione, e rimase a guardare la strada deserta che scendeva in direzione del fiume. In quel momento in giro non c’era anima viva, cosa che a Sidonie non dispiacque affatto.
Da quando Luigi s’era dichiarato, lei non aveva più avuto pace. Dentro di sé ora avvertiva una smania nuova che non la lasciava per un solo istante. Era qualcosa che non conosceva, che non aveva mai provato prima, e che in certi momenti la faceva quasi stare male. Quello che sentiva era una voglia matta di ritrovarsi a tu per tu con il suo uomo, di lasciarsi andare fra le sue braccia, di baciarlo, un bisogno d’intimità che non si sarebbe mai sognata di provare fino a quel momento, e che certe volte le faceva un po’ paura.
Da quando lui se n’era andato, quel desiderio quasi fisico non l’aveva più abbandonata. Questo sentimento la sconvolgeva non poco, perché non riusciva a comprendere che cosa le fosse capitato. Non aveva avuto il coraggio di parlarne con la madre, ma aveva preferito accennare della faccenda a padre Alfonso, il suo confessore.
L’anziano frate aveva ascoltato piuttosto allarmato le confidenze della ragazza, senza riuscire a mascherare il proprio disappunto, e un certo disagio.
“Benedetta figliola, devi imparare a controllare questi tuoi brutti pensieri! Sono frutto del male, suggeriti dal Demonio. Anche il solo pensare a certe cose è già peccato, ricordatelo!… Prometti che controllerai meglio queste tue pericolose fantasie?… Devi prometterlo!”
Ma lei non aveva promesso proprio niente, perché quel suo modo di sentire non l’avvertiva affatto come qualcosa di male, di peccaminoso, ma soltanto come il forte desiderio d’avere accanto a sé l’uomo col quale era fidanzata. Quello stato d’animo lo stava vivendo come un’inquietante novità, che però in fin dei conti non le dispiaceva affatto.
Fu suo padre Lucien che inaspettatamente le venne in aiuto. Da quando s’erano stabiliti a Rosario, l’uomo s’era buttato anima e corpo nel suo lavoro d’organista. I padri francescani l’avevano assunto senza neppure conoscerlo, facendolo venire appositamente da Buenos Aires assieme a tutta la famiglia sulla base delle referenze avute dai confratelli di quella città lontana, i quali al contrario sapevano bene con quale abilità l’uomo suonasse l’organo, e come sapesse farsi apprezzare nella sua arte. L’organo della Missione del resto, uno strumento d’ottima qualità ma piuttosto vecchio, proveniente dall’Europa, dall’Italia per l’esattezza, necessitava per essere suonato di un musicista di valore, perché si trattava d’un marchingegno assai complicato, oltre che piuttosto malridotto.
Lucien s’era subito dimostrato l’uomo adatto. Ben presto aveva stabilito un rapporto speciale con quella complessa macchina, tanto che in breve l’aveva messa a registro e aveva preso confidenza con la sua incredibile serie di tastiere e di tiranti. Se ne stava tutto il giorno seduto sullo sgabello di velluto rosso, nella penombra della grande chiesa vuota, a esercitarsi sui pezzi classici che era solito suonare nella chiesetta del suo paese, in Piccardia, da dove era dovuto partire alcuni anni prima, quando era arrivato un nuovo organista a soffiargli il posto.
Dacché s’era stabilito a Rosario, Lucien sembrava diventato un altro uomo. Aveva smesso di sentirsi insicuro, sempre timoroso di tutto, preoccupato in ogni momento per il futuro suo e della famiglia, che poi per lui era la stessa cosa. Dentro di sé aveva ritrovato la serenità, in quanto il lavoro l’appagava in tutti i sensi. In primo luogo gli aveva consentito di risolvere il problema del mantenimento dei suoi cari, il che non era poco. E poi in quello strumento, che lui sapeva suonare a meraviglia, aveva finalmente scoperto il modo d’esprimere per intero tutto il proprio talento.
Ormai s’era fatto una certa fama come organista, non solo in città ma pure nei dintorni, tanto che la gente alla domenica veniva di lontano alla messa dei padri francescani apposta per sentire Lucien che suonava l’organo. Sidonie amava ascoltare quella musica, così come del resto amava suo padre, e quando lui suonava le pareva di volergli ancora più bene.
Anziché durante la messa della domenica mattina, quando la grande chiesa era strapiena di gente, lei preferiva starsene ad ascoltarlo durante le prove, nel corso della settimana. Allora, nel silenzio dei grandi spazi del tutto vuoti, Sidonie se ne restava per ore seduta in disparte, nella penombra, ad ascoltare le meravigliose armonie che, come per magia, uscivano dallo strumento appena sfiorato dalle piccole mani di suo padre, che sui tasti bianchi e neri sembravano volare libere come uccelli nell’aria. E spesso gli occhi le s’inumidivano per la commozione.
Lucien, il “taciturno” come avevano preso a chiamarlo a Rosario, per parte sua s’era accorto che da qualche tempo qualcosa d’inconsueto doveva essere venuto a turbare Sidonie. L’aveva osservata a lungo quando lei meno se l’immaginava, mentre si muoveva per casa indaffarata nei lavori d’ogni giorno. Finché una volta che s’erano ritrovati da soli in chiesa, aveva smesso di suonare e s’era rivolto alla figliola.
“Cosa ti succede, figlia mia?… Da un po’ di tempo a questa parte non sembri più la stessa, la mia bambina di sempre. Da quando ti sei fidanzata, sei molto cambiata. C’è qualcosa che non va?”
A quelle domande dirette, alle quali non c’era modo di sottrarsi, Sidonie era trasalita. D’altronde era da tempo che desiderava parlarne con qualcuno, della strana inquietudine che avvertiva dentro di sé e che non la voleva lasciare in pace. Così si confidò col padre.
“Bambina mia, non c’è niente di strano in quello che mi hai raccontato. E soprattutto non c’è niente di male, te l’assicuro! È tutto molto semplice, molto naturale. Tu sei innamorata cotta di quel ragazzo italiano, e non vedi l’ora di sposarlo per averlo vicino a te, giorno e notte… Tutto qui, non ci sono misteri d’alcun genere, questa è la vita”.
Poi Lucien aveva abbracciato la sua bambina, e nella quieta penombra della chiesa vuota se l’era stretta forte contro il petto, emozionato, ma soprattutto grato per la confidenza ricevuta. Solo in quel momento s’era reso conto che la sua piccola Sidonie s’era fatta donna.
A lei quelle parole avevano fatto un gran bene. La semplicità della risposta le aveva ridato una serenità che da qualche tempo le pareva d’aver perduto. In effetti doveva essere proprio come aveva detto suo padre. Era innamorata di Luigi e lo desiderava, punto e basta. Non c’era niente di male in tutto questo, era un fatto del tutto naturale.
Adesso che il vociare concitato dei suoi allievi s’era smorzato laggiù, oltre la curva, fino a scomparire, Sidonie se ne restava appoggiata al muretto di cinta della Missione, a guardare avanti a sé la strada ritornata deserta che scendeva al porto. In lontananza, oltre i tetti delle case, si vedeva il grande nastro del fiume che il sole del primo pomeriggio pareva trasformare in argento vivo. In quel momento sulla strada non c’era anima viva, soltanto s’udivano in lontananza i suoni e le voci che provenivano dalle banchine invisibili da dove si trovava lei.
Poi qualcosa comparve laggiù, in fondo alla via. Si trattava d’un carretto che procedeva adagio, con le ruote che cigolavano in modo preoccupante sulla strada sconnessa che saliva verso la Missione. L’uomo che stava seduto a cassetta sembrava in procinto d’addormentarsi, rischiando di cadere da un momento all’altro. O forse era ubriaco. Sidonie ne vedeva la testa ciondolare ora da un lato e ora dall’altro, come se stesse per staccarsi dal resto del corpo. Il mulo saliva per conto suo, senza che nessuno lo incitasse, mentre il conducente pareva un burattino a cui fossero stati tagliati i fili.
Sidonie guardava con una certa curiosità, quasi con apprensione, lo strano comportamento dello sconosciuto, mentre il carretto lentamente le s’avvicinava. All’improvviso ebbe come un presentimento, dentro di sé avvertì che stava per succedere qualcosa… Più il carro saliva lungo la strada, e più in lei quello strano turbamento cresceva. La ragazza adesso provava una forte eccitazione.
Poi a un tratto Sidonie si rese conto che il mulo era più chiaro del normale, che si trattava d’un animale quasi bianco, un mulo albino, e allora avvertì un tuffo al cuore.
“Mio Dio, ma quello è Luigi!… È ritornato! È di nuovo qui!”
In un attimo la ragazza si precipitò giù per la strada, incontro al carro. Luigi se n’era andato da qualche mese soltanto, ragione per cui lei non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato di ritorno così presto. Cosa poteva essere accaduto?… Pazza di gioia, ma nello stesso tempo in preda a una forte apprensione, Sidonie corse giù per la discesa verso la mula che arrancava a fatica. Luigi se ne stava reclinato sul sedile, appoggiato allo schienale, con il corpo che a ogni scossone oscillava in maniera preoccupante. Era chiaro che il ragazzo s’era addormentato.
Quando di lontano Sidonie prese a chiamarlo a gran voce, l’uomo si riscosse e si guardò attorno frastornato. Non appena nella ragazza che gli veniva incontro riconobbe Sidonie, arrestò la mula e, ripresosi del tutto, saltò giù dal carro mettendosi a correre a sua volta in quella direzione. Un istante dopo i due giovani erano l’una nelle braccia dell’altro, e si stringevano forte fin quasi a farsi male.
Fu Sidonie a staccarsi per prima dall’abbraccio. Guardò il suo uomo in volto e le si strinse il cuore. Luigi era irriconoscibile, faceva compassione! Aveva la barba lunga che si confondeva con i baffi, era sporco e coperto di polvere dalla testa ai piedi, e inoltre il suo viso era d’un pallore da far paura. Tutto in lui denotava un grande sfinimento, una stanchezza estrema, come se il ragazzo da tempo immemorabile non avesse più fatto una dormita decente.
“Cos’è successo?… Come mai sei qua? Non t’aspettavo di certo così presto! Ma tu sei sfinito, non ti reggi in piedi!”
Anziché rispondere, Luigi le si era appoggiato contro per non cadere. Sidonie se ne rese conto e subito lo sorresse, sospingendolo verso il carro. Invece di farlo montare a cassetta, aiutò l’uomo a salire dietro. Poi, mentre Luigi s’accasciava sul pianale, lei prese la mula per le redini e senza perdere tempo la condusse verso la Missione.
“Avanti, povero animale! Ancora un piccolo sforzo fino in cima alla salita, poi anche tu potrai riposare come il tuo padrone”.
Fecero il loro ingresso nel cortile nel momento in cui i frati ritornavano dall’orto, in compagnia di alcuni indios e delle loro donne. Subito una piccola folla si raccolse attorno al carretto, e più braccia sollevarono di peso il giovanotto che era in procinto di svenire per lo sfinimento.
Lo portarono nella stanza del padre guardiano, al piano terra, lì a due passi, dove c’era un letto e alcune seggiole. Adagiarono l’uomo sul giaciglio e subito le donne presero a spogliarlo. Un frate nel frattempo era accorso con un secchio d’acqua fresca, appena tirata su dal pozzo, perché il ragazzo, che pareva essersi un poco ripreso, potesse dissetarsi. Mentre Luigi beveva con avidità, Sidonie cercava di disperdere il piccolo assembramento di zelanti soccorritori che s’era raccolto nella stanza.
“Per favore, lasciatelo in pace. È solo stanco. È sfinito. Ha soltanto bisogno di dormire… Andate via, ve ne prego!” Per una volta tanto pure frate Onofrio si schierò dalla sua parte.
“Sidonie ha ragione. Quest’uomo ha urgente bisogno di starsene tranquillo. Adesso uscite tutti quanti, lasciamolo riposare in santa pace… Su, andate, fate come vi dice”.
Se pure a malincuore, la piccola folla alla fine gli diede ascolto e uscì. Nella stanza rimasero soltanto padre Onofrio e fratello Pedro, il padre guardiano, oltre a Sidonie, che non mostrava alcuna intenzione d’abbandonare il suo uomo in un momento simile, e una vecchia india.
“Ma tu, ragazza, non puoi restare qui da sola! Devi andartene pure tu”.
“Non ci penso nemmeno. Io resto qui con lui. Altrimenti me lo porto a casa!”
Ancora una volta padre Onofrio dovette prenderla persa. Con una sbuffata d’insofferenza, il vecchio frate s’avviò brontolando verso la porta.
“E va bene, facciamo pur sempre come vuoi tu!… Però qui con te resta anche la vecchia Gaunaçita, siamo intesi?”
Nella stanza, tornata silenziosa dopo che tutti se n’erano andati, accanto al letto dove Luigi già s’era addormentato, adesso restavano soltanto Sidonie, la vecchia india e il padre guardiano. Nessun altro. Nella penombra della cella s’udiva il respiro affannoso di Luisito, che ben presto divenne un sonoro russare. Faceva abbastanza fresco là dentro, il che rendeva la permanenza nell’angusto locale quasi gradevole, al punto che di lì a poco pure gli altri si lasciarono vincere dal sonno e s’addormentarono.
Poiché si trattava soltanto di stanchezza, e di quella vecchia, alle prime luci dell’alba fu Luigi che si destò per primo, dopo la lunga e ritemprante dormita. Saltò giù dal letto e prese a stiracchiarsi con voluttà, finalmente riposato. Poi si guardò attorno e rimase sorpreso nello scorgere tutte quelle persone addormentate, accanto al suo letto. Cercò di muoversi senza far rumore, ma subito pure gli altri si destarono. L’india per prima, poi Sidonie, e infine frate Pedro che per tutta la notte aveva dormito su d’una sedia, appoggiata in bilico su due sole gambe contro la parete.
Adesso Luigi avvertiva soltanto una gran fame. La vecchia Guanaçita si recò in cucina e di lì a poco ricomparve con del pane inzuppato nel latte, che il ragazzo divorò in un baleno. Nel frattempo era ritornato padre Onofrio, accompagnato questa volta da Lucien, che fin dalla sera precedente era stato avvertito dell’arrivo di Luigi e del fatto che la figlia non sarebbe rientrata per la notte.
Venne così il momento delle spiegazioni. Il ragazzo raccontò per filo e per segno tutta la sua lunga storia. Del ritorno alla miniera, dell’incontro strada facendo con la banda del Niño, del terribile spettacolo che gli s’era presentato davanti agli occhi quando era giunto alla baracca. Raccontò delle quattro tombe che aveva scavato al limite del bosco, e del lungo interrogatorio a cui aveva dovuto sottostare al posto di polizia di Villa Maria, quando era andato a denunciare l’accaduto.
I gendarmi l’avevano trattenuto per alcuni giorni, il tempo di fare un sopraluogo al campo dei minatori, dove lui aveva dovuto accompagnarli suo malgrado, con l’animo in subbuglio. Subito dopo erano state allertate col telegrafo tutte le stazioni di polizia della regione, così che già pochi giorni dopo la strage squadre di gendarmi e di soldati erano state inviate a setacciare in lungo e in largo la Sierra, fino alle falde del Champaqui, dove si presumeva che i banditi fossero andati a rifugiarsi.
Quando di lì a qualche giorno Luigi aveva potuto lasciare Villa Maria, le notizie che giungevano dalla zona delle ricerche dicevano che la banda del Niño era stata segnalata molto più a nord, dalle parti delle paludi salate di Ambergaste, una specie d’inferno da dove non sarebbe stato tanto facile snidarla. Ma ormai gli erano addosso, e pareva proprio che per El N...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. LA CITTÀ AL DI LÀ DEL MARE
  3. Indice
  4. Intro
  5. L’AMERICA
  6. I.
  7. II.
  8. III.
  9. IV.
  10. V.
  11. VI.
  12. VII.
  13. VIII.
  14. IX.
  15. X.
  16. XI.
  17. XII.
  18. XIII.
  19. XIV.
  20. LA GRANDE CASA
  21. I.
  22. II.
  23. III.
  24. IV.
  25. V.
  26. VI.
  27. VII.
  28. VIII.
  29. IX.
  30. X.
  31. XI.
  32. XII.
  33. XIII.
  34. XIV.
  35. XV.
  36. XVI.
  37. XVII.
  38. XVIII.
  39. Ringraziamenti