Segreti tossici
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Segreti tossici

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Informazioni sul libro

Questa trilogia narra la storia di un uomo che muta tre volte di identità per restare, in fondo, sempre fedele a se stesso. Cambiano gli scenari, gli umori, le situazioni; cambia il modo di affrontare la vita, ma restano intatti i valori ideali e la coerenza del protagonista dei tre racconti, che percorre sul filo della passione un'esistenza sorretta da una solida struttura morale. (Sergio Gessi)

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Informazioni

UNO

Non cammino più; da alcuni anni sono su una sedia a rotelle. Non è facile vivere così. Rimane il ricordo di quando camminavo, correvo, mi muovevo, da solo e con gli altri. Resta comunque dentro di me la naturale possibilità di fare cose che ora non faccio più.
Nulla è cambiato nella mia testa. È come sciare o andare in bicicletta; anche se smetti per un periodo, non ti dimentichi. Sono anche stato uno sportivo, giocavo a pallavolo. Di corporatura forte, alto più della media, atletico, con le braccia lunghe e le mani grandi; il volley è stata una naturale opportunità.
Ho 33 anni, mi chiamo Stefano. Sono nato e ho vissuto la mia infanzia a Pescara, in Abruzzo, ma ora vivo in una piccola casa, un monolocale al piano terra della periferia di Udine.
Chi non ha mai camminato nella sua vita, chi è stato cieco dalla nascita, chi insomma non ha mai saputo cosa significa essere stato “normale” forse è in grado di accogliere la propria diversità con maggiore serenità, ma chi “poteva” non riesce sempre a sopportare questo essere “diverso”.
Lavoro in Posta, dietro una scrivania e talvolta allo sportello. Una volta facevo il postino.
Il momento più bello era quando la mattina presto, in silenzio, i postini e le postine, con aria assonnata si caricavano le loro pesanti borse per iniziare il percorso loro assegnato. Ora non posso più girare per le vie della città e portare le lettere. Ero un collegamento tra il guscio privato della gente e il mondo esterno.
Le persone spesso cercano di chiudersi nella loro dimensione personale, intima, riservata, e il mondo li infastidisce entrando in casa con informazioni, pubblicità, giornali, riviste e, purtroppo, bollette.
Con il tempo riconosci anche gli aspetti diversi delle persone e talvolta il loro carattere.
Pochi ti salutano e ti sorridono. Molti ti considerano uno strumento e non una persona. Invisibile anche se vestito di giallo e di blu. Non è comunque fastidioso, anzi, questo tuo essere invisibile ti permette di interpretare la realtà come meglio credi. Immagini e personalizzi la vita intima degli altri.
Eppure quella tua pesante bicicletta e quel borsone pieno di carta ti permette di girare la mattina presto per le strade vuote. Sei un antico cavaliere che difende il passato rispetto alle @.
Sono belle le città la mattina presto, o meglio sono belli i centri delle città, le zone pedonali. Le periferie, i quartieri dormitori, restano dei parcheggi di persone e di automobili.
Le persone escono di casa già con la rabbia in corpo, sanno di dover iniziare a difendersi, a contrastare gli egoismi degli altri; si vive in competizione, con violenza, con arroganza; i diritti degli altri spesso sono un ostacolo ai tuoi diritti.
Escono da casa gli impiegati, già al telefonino o in cuffia per isolarsi dai rumori del prossimo. Escono le mamme, con bambini assonnati che vorrebbero stare in casa a giocare con i videogames o a guardare la televisione. Sono tutti in ritardo. Nessuno saluta nessuno.
Poi c’è il traffico, ognuno nel suo piccolo e confortevole strumento di trasporto si scontra con le esigenze degli altri. Ogni minuto è perso, ogni metro è un vantaggio per l’avversario. Sembra che la loro vita dipenda da quei pochi attimi e non si pensa a quanto tutto questo sia senza valore.
Il risveglio della città in centro invece ha la sua poesia; i colori dell’alba rendono gli spigoli degli edifici più morbidi; i silenzi sono interrotti solo da piccoli rumori che non disturbano la quiete.
Aprono prima i bar, poi i negozi; con saracinesche che non si vogliono aprire e luci della notte che non si vogliono spegnere. Alla fine il giorno vince sulla notte, i rumori prevalgono sui silenzi, le urla sui brusii, tutto ricomincia. Con fatica. Sono sempre stato considerato un ragazzo intelligente, che leggendo faceva tesoro delle esperienze altrui, ma che poi non riteneva di dover esprimere le proprie sensazioni agli insegnanti. La frase ricorrente era “è un bravo ragazzo, sveglio e intelligente, ma non si applica e potrebbe fare molto di più”.
Ma perché dovevo fare di più e per chi?
Sapevo perfettamente che con un poco di furbizia sarei risultato un alunno modello, ma non mi piaceva farlo. La lettura e l’apprendimento per me sono sempre stati un fatto privato che non dovevo certo dimostrare a una scuola che ritenevo non all’altezza.
Sono così diventato un ragioniere che poi non ha voluto più studiare e, come tanti, sono stato aiutato da un conoscente per vincere un concorso in Posta. In verità i quiz dell’esame erano per me facili e banali, ma proprio per questo non meritavano troppa attenzione. Ho preferito che il merito di aver superato la prova non fosse mio.
All’inizio ero io che volevo fare il postino perché l’aria aperta la preferivo al chiuso di un ufficio.
Ora che non cammino, sono costretto a stare dietro a uno sportello o una scrivania. Quando mi sono trasferito a Udine è stato un caso. Io volevo solo andare via da Pescara.
Quando venni qui per la prima volta, dall’autostrada, la prima cosa che incontrai fu lo stadio. Ora è diventato famoso perché la squadra di calcio gioca bene e vince, ma allora non era così.
Poi un lungo viale alberato ti porta verso la città e incontri una enorme piazza rotonda, piazza Primo Maggio, che si riempie di auto, come una marea, ogni mattina e che poi si vuota la sera.
È l’effetto vicinanza dell’Università a creare questo movimento giornaliero. Subito dietro il centro, la sede del Comune, un discreto liberty, poi piazza della Libertà e piazza San Giacomo, la più antica. Un austero porticato accoglie il turismo austriaco e sloveno con la sua aria distaccata e poco socievole. Non so perché ma la gente non ride molto; gentile, ma niente più. Dipenderà dal freddo.
Pescara, invece, è una città ben diversa. Ha il mare e questo già la rende molto più calda e accogliente. Anche lì si vedono, di lontano, orgogliose montagne che al tramonto si illuminano.
Udine è comunque una bella città, a dimensione umana, né troppo grande né troppo piccola. D’inverno fa un po’ freddo, ma in fondo va bene così. Le montagne sono vicine e il freddo è un elemento fondamentale per guardarle, soprattutto quando la neve le abbellisce.
Gli uffici postali sono molto cambiati negli anni. Erano delle sedi di riferimento per la posta, ora sono simili alle banche; si vendono conti correnti e non più solo francobolli.
La posta certificata, quella prioritaria, i conti corrente postali, le postepay hanno sostituito la lettera normale o il pacchetto che con tanto amore si inviava a persone lontane (ora ci sono i corrieri). Da alcuni anni non vi è più il monopolio della Posta per i pacchi di peso superiore ai 50 grammi. Da quanto tempo non ricevo più un telegramma? È solo una soluzione per le morti.
Gli edifici della Posta si riconoscono sempre, soprattutto quelli in periferia. Sono particolarmente brutti, anonimi; spesso sono edifici che in un recente passato erano adibiti ad altre funzioni. Vicino c’è spesso un’area di parcheggio.
Case vecchie, senza manutenzione, a fianco di nuovi edifici rifatti e qualche volta di nuova costruzione, in ordine sparso.
Questa in genere è la periferia di ogni città. Piazzali di erba e terra che quando piove diventano laghetti, parcheggio di camion e cassoni di rifiuti.
Spesso in queste aree, invece di cercare di migliorarle, s’inseriscono involucri e contenitori che mal si sopporterebbero in centro. Insomma spesso le periferie si rovinano “a priori”.
Mi sono isolato anche dai colleghi e vivo tra le pratiche cartacee senza condividere nulla con gli altri. In verità talvolta con la coda dell’occhio, non visto, mi guardo attorno perché si svolgono spesso quadretti di vita che mi piace osservare: vecchiette che non riescono a riempire moduli, extracomunitari che non capiscono cosa c’è scritto, operai e rappresentanti che considerano le attese dei tempi persi sul loro cottimo. Comunque insoddisfatti.
Impiegate allo sportello distratte e spesso insofferenti delle richieste dei clienti, nonostante alle pareti si sprechino le Carte Qualità Servizi.
Il resto del tempo lo passo spesso da solo, qualche volta in palestra o in piscina, spesso al parco.
Non ho una ragazza. Gli anni della gioventù li ho vissuti, come tutti, in modo spensierato. Le prime esperienze sono state occasioni di curiosità e di ormoni; il mio bell’aspetto mi ha aiutato molto.
Con il passare degli anni però io da una donna volevo molte altre cose e soprattutto alla mia donna io volevo dare molto di me stesso.
Credo nell’onestà e penso che due persone che decidono di stare insieme devo vivere una esperienza bellissima, fatta di complicità, di fiducia, di gioia vissuta insieme, senza segreti.
La fedeltà, ad esempio, la considero un valore non da garantire a chi ti ama, ma a te stesso. È un valore interiore, come l’onestà, che ti deve arricchire dentro. I ladri non sono quelli che vengono scoperti, ma quelli che rubano.
Così è per la fedeltà; il tradimento non c’è se viene scoperto, ma se tu lo vuoi fare. Mi rendo conto che queste sono considerazioni difficili e forse lontane dal modo di vivere di questi tempi, ma per me bisogna essere belli dentro per se stessi.
Capisco che questa mia posizione è sicuramente condivisa in teoria, ma vista con perplessità nella quotidianità. Per questo non direi di aver avuto storie vere e profonde con le ragazze e ora che non cammino tutto è molto più difficile.
La mia vita oggi, diciamo così, è diventata più “riflessiva e interiore”. Mi è sempre piaciuto guardare la gente e cercare di capire cosa fa, come vive, come spera e cosa sogna.
Spesso sono triste, un poco orso, non mi piace parlare, preferisco osservare e pensare. Sicuramente sono una persona difficile.
Si dice che devi cercare nel tuo passato le cause e le risposte ai tuoi problemi. Per me non è così, è storia più recente.
La mia infanzia è stata come per tanti: semplice e serena, direi quasi felice.
Mio padre, un sindacalista come quelli di una volta, un omone grande con il sorriso buono, ma sempre con il grugnito professionale di chi lavora nel Sindacato e che pensa, per principio, che il padrone li voglia fregare sempre.
Viveva in prima persona i problemi degli altri, soffriva se vi era lo sfruttamento dei lavoratori e in particolare degli operai in catena di montaggio (con ragione, provare per credere).
I sindacalisti in genere si riconoscono in due categorie: quelli che lo fanno per se stessi, per sfruttare un potere contrattuale con il padrone, per aver situazioni di favore (ore sindacali invece di lavoro, agevolazioni e passaggi di qualifica) e quelli che ci credono, che danno molto di più di quello che ricevono, che credono fortemente nella forza del lavoro operaio e che ritengono che il successo di un’azienda dipenda dalla sua manodopera; mio padre era tra questi.
Mi ricordo ancora adesso le sue parole espresse con tono austero e con uno sguardo fiero e deciso: - Ascolta Stefano, l’importante è fare quello in cui si crede e cercare di farlo bene. Non si deve sperare che sia la Provvidenza o la fortuna ad aiutarti, devi fare tu per te stesso. La dignità, la responsabilità, l’onore e l’impegno devono essere la tua forza.
Un giorno morì d’infarto; io e mio fratello gemello avevamo 14 anni e non eravamo ancora in grado di capire. Ora so che una vita nervosa, vissuta nei contrasti, può fare molto male; può uccidere.
Tutto rimase in mano a mia madre: una santa donna, che aveva il senso del dovere nel suo DNA, lavoro e casa, sempre per gli altri, determinata e sensibile, soprattutto con noi. Lavorava come commessa in una drogheria, ma poi, a casa, stirava per gli altri perché i soldi non bastavano mai. Poi le pulizie di casa. Non ricordo un giorno in cui sia andata a letto prima di me o si sia ammalata.
Sento ancora risuonare la sua voce calda e dolce, come una ninna nanna: - Stefano mio, io voglio solo che tu sia un bimbo felice e sereno, senza cattive compagnie e senza grilli per la testa. Un buon lavoro e una compagna che ti voglia bene sono le cose importanti della vita. La tua mamma ti sarà sempre vicina.
Ho anche un fratello gemello; siamo stati uguali fuori e molto diversi dentro. È sempre stato lui quello più bravo, quello che obbediva sempre ai genitori, quello da imitare.
- Stefano! Smettila di comportanti così! Guarda tuo fratello com’è bravo! Devi fare come lui!
Quante volte me lo sono sentito dire.
Da piccoli, sempre insieme, spesso abbiamo sfruttato il nostro essere uguali sia per fare degli scherzi agli altri sia qualche volta per delle interrogazioni (era lui ovviamente che si faceva interrogare al mio posto).
Poi, con le scuole superiori, le strade si sono separate, a lui piaceva studiare, a me no; lui si è laureato ed è diventato un ricercatore universitario; io ho fatto ragioneria, senza sapere perché, forse solo per fare piacere alla mamma.
Non so come sia successo, non ne sono mai stato consapevole, ma nel tempo, senza volerlo, siamo passati da una facile complicità infantile in cui ci si divertiva a scambiarci le parti per gioco, a una graduale, ma inesorabile separazione di scelte e di opinioni. Si nasce uguali, si viene educati insieme, si fanno le stesse cose; poi, con il passare del tempo, crescendo, aumentano le differenze.
Ora è per me un estraneo, di cui non ho più notizie e, in verità, non mi manca neppure. È triste. Ma è successo.
È difficile arrivare a considerare un estraneo il proprio fratello gemello, ma forse entrambi negli anni abbiamo deciso che doveva andare così. Dallo stare sempre insieme siamo passati a sempre più rari contatti, spesso solo telefonici. Questo è lo schema che si ripeteva nelle rare occasioni forzate.
- Ciao.
- Ciao - rispondo per dovere.
- Come state? La mamma come sta?
- La mamma sta bene, lavora tanto e si sente sola; le manchi. Io non posso certo sostituirti né lo voglio. Le manca tanto papà, si sente sola. Lo hai visto anche tu quando sei venuto a Natale. Potresti telefonarle.
- Sì è vero, ma è difficile parlarle al telefono, alla fine si dicono le solite cose banali… - risponde in modo banale anche lui - e tu come stai?
Non so mai se lo vuole saper davvero e se è solo cortesia tra fratelli. Può sembrare crudele, ma in qualche modo sento sempre il desiderio di farlo sentire in colpa; lui se n’è andato, se ne assuma la responsabilità.
Le rare volte che mi sento al telefono con mio fratello, poi finisce sempre che ci innervosiamo. Siamo troppo simili e abbiamo sempre sentito i sentimenti dell’altro senza bisogno di parlarci; è qualche cosa che senti nella pancia, tra le costole, come se dentro di noi ci fosse una presenza.
È una strana situazione che devono vivere tutti i gemelli. Noi ci siamo abituati. In fondo siamo uguali, solo che abbiamo deciso di fare scelte diverse.
- E tu come ti trovi a Torino? (ma quanto deve durare questo buonismo formale?).
- Bene, bene. Lavoro molto, ho un’occasione importante che vorrei cogliere.
- Ok, ciao. Ci si vede il prossimo Natale.
- Spero prima, se riesco. Ciao, salutami la mamma.
La mamma. È una donna grande, quasi grossa (ama mangiare molto, soprattutto la pasta). Veste sempre con dei grembiuli larghi che nascondono le forme che non sono più quelle giovanili.
Anche lei ha le mani grandi e le sue carezze, quando eravamo piccoli, ci riempivano tutto il viso. Erano il nostro rifugio quando avevamo bisogno di affetto.
Per ogni essere umano la mamma è la presenza più importante della vita.
Il padre lo stimi o lo sopporti, comunque lo accetti. Gli amici li scegli.
La mamma invece è la persona che ti ha dato la vita, che ti ha curato, coccolato, aiutato. È quella che non ti può mancare mai. Quando sei ammalato, quando stai male, vorresti la mamma vicino a te.
La mia è sempre stata vicina, ma non sapeva esprimere il suo amore; lo sentivo però dentro di me. Era silenziosa, riservata, sembrava quasi che la sua fosse una missione. Il suo senso del dovere prevaleva sempre sui desideri.
Quando è morto papà si è sentita molto sola. Fragile.
Il primo uomo che l’ha capito, purtroppo l’ha rovinata per sempre. Il senso di altruismo e di dovere l’ha distrutta sia nel fisico che nella speranza.
Anche questo mi rendeva difficile stare in casa.
- Mamma perché ogni tanto non esci a comprarti qualche cosa? Perché non vai al cinema?
Il suo sorriso dolce e amaro era la risposta silenziosa che voleva dire: “Ma caro non vedi quante cose ho da fare per voi e per gli altri”. Appunto gli altri. Il suo era un altruismo innato misto a senso del dovere.
Quell’uomo questo lo aveva capito. Veniva a cena ogni tanto e poi sempre più spesso. Era viscido anche nel suo sorriso opportunista. Era equivoco anche nel suo modo di vestire; sempre con una giacca di pelle nera e tanto oro: l’orologio, un anello e una orrenda collana con crocifisso che era una vera provocazione.
Si capiva che veniva solo per mangiare e per farsi servire; poi credo anche che mia madre gli desse dei soldi per giocare.
Non riuscivo a sopportarlo. Quando lui entrava in casa io uscivo.
L’unico grande rimorso che mi perseguita è di non essere riuscito a fare capire a mia madre che quell’uomo la stava sfruttando e soprattutto, ancora peggio, non sono mai riuscito a farle capire che doveva pensare più a se stessa, che doveva volersi bene. Credo non sia mai andata da un medico.
Questo senso di colpa mi ha logorato negli anni. Se avessi fatto di più. Se fossi stato più forte. Ora è tardi.
A Pescara avevo tanti amici.
Le persone che frequenti durante la scuola sono poi quelle che ti restano ne...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. SEGRETI TOSSICI
  3. Indice
  4. Intro
  5. UNO
  6. DUE
  7. TRE
  8. Ringraziamenti