Il radicamento
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Il radicamento

(La prima radice)

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Il radicamento

(La prima radice)

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Il bene comune come antidoto al totalitarismo
Simone Weil è sempre stata un'intellettuale particolare: le sue analisi prendono in considerazione gli esseri umani e lo fa calandosi tra gli uomini e rifiutando qualunque tipo di prospettiva distaccata o privilegiata, avvertendo la necessità di ridefinire la nozione di persona perché ciò che contraddistingue davvero l'uomo non dipende dal possesso di particolari diritti da esercitare per far valere la sua individualità. Piuttosto, l'elemento essenziale è costituito dall' apertura a qualcosa che è estraneo, nella misura in cui è inafferrabile nella sua totalità, ma che trova origine nel bisogno di bene e giustizia racchiuso nel cuore di tutti. Quindi, il rifiuto di servirsi della nozione di diritto nasce da una chiara convinzione della nostra autrice: sono gli obblighi, che si trovano in stretta relazione con l'essere umano, e in particolare con quella che viene definita la parte più segreta della sua anima, i soli ad aprire il campo all'incondizionato, all'assoluto.
I bisogni morali, poi, sono ritenuti irrinunciabili: «Se non sono soddisfatti, l'uomo cade a poco a poco in uno stato più o meno analogo alla morte, più o meno simile a una vita puramente vegetativa». Nel testo ne sono elencati quattordici, riconducibili a coppie di contrari: libertà e ubbidienza, onore e punizione, ordine e responsabilità, uguaglianza e gerarchia, verità e libertà di opinione, proprietà privata e proprietà collettiva, sicurezza e rischio.
A questi si aggiunga ciò che dà il titolo al saggio: il radicamento. L'importanza di questo concetto, a cui peraltro non corrisponde alcun bisogno contrario, è testimoniata dal fatto che Simone si soffermi a lungo sulle pericolose conseguenze che si verificano qualora esso venga a mancare, generando lo s-radicamento, considerato una vera e propria malattia.
Il termine indica, letteralmente, 'la mancanza di radici', la perdita della capacità di sentirsi parte della società in cui si vive, il venir meno di ogni punto di riferimento. La filosofa francese è convinta che questa malattia possa assumere forme differenti, a seconda dei contesti e delle circostanze, ma che si manifesti nel modo più allarmante attraverso lo sradicamento della cultura. La perdita di contatto col contesto di tradizioni da cui si proviene, e in cui pertanto si è inevitabilmente inseriti, non può che generare individui sradicati, incapaci di pensare e di agire.
La società dovrà dunque assumere come riferimento un metodo nuovo, capace di tener conto di piani operativi differenti (religioso, economico, sociale e politico) ed intervenire sulla realtà mediante iniziative basate sull'idea di bene, la sola in grado di tutelare la comunità umana dalla minaccia del totalitarismo, l'esempio più lampante di sradicamento della nazione.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788833260648

Parte terza

Il radicamento

Il problema di un metodo capace di ispirare un popolo è un problema completamente nuovo. Platone vi allude nel “Politico” e altrove; senza dubbio esistevano a questo proposito degli insegnamenti nelle dottrine segrete dell’antichità preromana, che sono completamente scomparse. Forse ci si occupava ancora di questo problema, e di altri analoghi, negli ambienti dei templari e dei primi massoni. Montesquieu, salvo errore, lo ha ignorato. Rousseau, che era una mente possente, ne ha riconosciuto chiaramente l’esistenza, ma non è andato oltre. Pare che gli uomini del 1789 non l’abbiano nemmeno intravisto. Nel 1793, senza essersi curati di porlo, e meno ancora di studiarlo, si sono improvvisate alcune soluzioni affrettate: feste dell’Essere supremo, feste della Dea Ragione. Sono state soluzioni ridicole e odiose. Nel diciannovesimo secolo il livello delle intelligenze era sceso ben al di sotto dell’ambito nel quale problemi simili possono venir formulati.
Ai giorni nostri si è studiato e si è penetrato il problema della propaganda. Su questo tema, soprattutto Hitler ha apportato un contributo duraturo al patrimonio del pensiero umano. Ma il nostro è un problema affatto diverso. La propaganda non mira a suscitare un’ispirazione; essa chiude invece, essa condanna ogni fessura attraverso la quale possa penetrare un’ispirazione: gonfia tutta l’anima col fanatismo. Le sue tecniche non possono essere adatte all’oggetto contrario. Non si tratta nemmeno di adottare procedimenti contrari; il rapporto di causalità non è così semplice.
E neppure si deve pensare che l’ispirazione di un popolo sia un mistero riservato a Dio solo, e che quindi sfugga ad ogni metodo. Il grado supremo e perfetto della contemplazione mistica è cosa infinitamente più misteriosa, eppure san Giovanni della Croce ha scritto dei trattati sul modo di raggiungerlo che, per la loro esattezza scientifica, superano di gran lunga tutto quel che hanno scritto gli psicologi o i pedagoghi dei nostri tempi. Se ha creduto di doverlo fare, aveva indubbiamente ragione, perché era competente in materia; la bellezza della sua opera è un marchio sufficientemente evidente di autenticità. Invero, fin da una remota antichità ben anteriore al cristianesimo, e fino alla seconda metà del rinascimento, si è sempre riconosciuto universalmente che esiste un metodo nelle cose spirituali e in tutto quello che è in rapporto col bene dell’anima. Il dominio sempre più metodico che gli uomini esercitano sulla materia dal sedicesimo secolo in poi ha fatto credere loro, per contrasto, che le cose dell’anima siano o arbitrarie o abbandonate ad una qualche magia, all’immediata efficacia delle intenzioni e delle parole.
Non è così. Tutto nella creazione è sottoposto al metodo, compresi i punti d’intersezione fra questo e l’altro mondo. Questo vuol significare il termine “logos”, il quale vuol dire relazione, ancor più che parola. Ma il metodo muta col mutare del suo campo di applicazione. Man mano che ci si innalza, esso cresce in rigore e precisione. Sarebbe cosa ben strana che l’ordine delle cose materiali recasse un maggior riflesso di saggezza divina di quanto non ne abbia l’ordine delle cose dell’anima. È vero invece il contrario.
È molto grave per noi che questo problema, alla cui soluzione, salvo errore, non c’è nulla che ci possa guidare, sia proprio il problema che oggi dobbiamo urgentemente risolvere; non tanto perché ci sia il rischio di sparire quanto perché c’è quello di non essere mai esistiti.
E per di più, se Platone, ad esempio, ne avesse formulato una soluzione generale, non ci sarebbe sufficiente studiarla per potercela cavare; perché ci troviamo in una situazione per la quale la storia ci è di ben poco aiuto. Essa non ci parla di nessun paese che si sia trovato in una situazione anche lontanamente somigliante a quella della Francia dopo l’eventuale disfatta tedesca. E poi ignoriamo persino quale sarà quella situazione. Sappiamo solo che non avrà precedenti. E così anche se sapessimo come infondere un’ispirazione a un paese, non sapremmo ancora come procedere con la Francia.
D’altra parte, poiché si tratta di un problema pratico, la conoscenza di una soluzione generale non è, per un caso particolare, indispensabile. Quando una macchina si ferma, un operaio, un capo reparto, un ingegnere, possono trovare un modo per rimetterla in funzione, senza possedere conoscenze generali sulla tecnica di riparazione delle macchine. La prima cosa da fare, in un caso simile, è guardare la macchina. Ma per guardarla in modo utile, occorre avere in mente la nozione anche dei rapporti meccanici.
Egualmente, osservando di giorno in giorno la mutevole situazione francese, occorre avere in mente la nozione di azione pubblica come modalità educativa della nazione.
Non basta avere intuito quella nozione, avervi rivolto la propria attenzione, averla compresa; bisogna fissarla permanentemente nell’anima in modo che sia presente persino quando l’attenzione si rivolge ad altro.
Occorre uno sforzo tanto maggiore in quanto si tratta d’un pensiero affatto nuovo per noi. Dal rinascimento in poi, l’attività pubblica non è mai stata concepita sotto quest’aspetto, ma soltanto come mezzo per fondare una forma di potere considerata utile a questo o a quel fine.
L’educazione - abbia per oggetto bambini o adulti, individui o un popolo, o anche se stessi - consiste nel dare origine a moventi. L’indicazione di quel che è vantaggioso, di quel che è obbligatorio, di quel che è bene, compete all’insegnamento. L’educazione si occupa dei moventi per l’effettiva esecuzione. Poiché nessuna azione viene mai eseguita quando manchino moventi capaci di fornirle la quantità di energia necessaria.
Voler condurre creature umane - si tratti di altri o di se stessi - verso il bene indicando soltanto la direzione, senza essersi assicurati della presenza dei moventi necessari, equivale a voler mettere in moto un’automobile senza benzina, premendo sull’acceleratore.
O è come se si volesse accendere una lampada a olio senza aver messo l’olio. Quest’errore è stato denunciato in un testo abbastanza celebre e abbastanza letto e riletto e citato da venti secoli. Eppure si continua a commetterlo.
Si possono classificare abbastanza facilmente i mezzi di educazione che l’azione pubblica reca con sé.
In primo luogo la paura e la speranza, generate dalle minacce e dalle promesse.
La suggestione
L’espressione, vuoi ufficiale, vuoi approvata da un’autorità ufficiale, di una parte dei pensieri che, ancora inespressi, vivono realmente nel cuore delle masse, o nel cuore di certi elementi attivi della nazione.
L’esempio
Le modalità stesse dell’azione e delle organizzazioni sue proprie.
Il primo mezzo è il più grossolano ed è adoperato sempre. Il secondo lo impiegano tutti, oggi; il suo funzionamento è stato genialmente studiato da Hitler. Gli altri tre sono ignorati.
Bisogna cercare di concepirli in relazione alle tre forme successive che può assumere la nostra azione pubblica: la forma attuale; l’atto della presa del potere al momento della liberazione del territorio; l’esercizio del potere a titolo provvisorio nel corso dei mesi seguenti.
Attualmente disponiamo solo di due intermediari, la radio e il movimento clandestino. Per le masse francesi conta quasi esclusivamente la radio.
Il terzo dei cinque procedimenti enumerati non deve essere per nessun motivo confuso con il secondo. La suggestione è, come Hitler ha capito benissimo, un dominio. È una costrizione. La ripetizione da una parte, e dall’altra la forza di cui dispone il gruppo che la genera, o che quest’ultimo si propone di conquistare, sono gran parte della sua efficacia.
L’efficacia del terzo procedimento è di natura affatto diversa. Essa si fonda sulla struttura nascosta della natura umana.
Accade che un pensiero, talvolta formulato nell’intimo, talaltra non formulato, scavi sordamente l’anima e tuttavia solo debolmente agisca su di essa.
Se si sente invece formulare quel pensiero al di fuori di noi, da altre persone e da qualcuno le cui parole ci paiono degne d’attenzione, esso centuplica la propria forza e può talvolta provocare una trasformazione interiore.
Accade anche che si abbia bisogno, più o meno consciamente, di sentire certe parole le quali, quando vengano effettivamente pronunciate e provengano da un luogo donde naturalmente ci si aspetti del bene, ci porgono conforto, energia e quasi un reale nutrimento.
Queste due funzioni della parola vengono adempiute, nella vita privata, dagli amici o dalle guide naturali; ma, in realtà, molto di rado.
Ma vi sono circostanze nelle quali il dramma pubblico ha tanta forza nella vita personale di ognuno, nelle situazioni particolari, che molti pensieri nascosti e molti nascosti bisogni di questa sorta divengono comuni a quasi tutti gli esseri umani che compongono un popolo.
E questo rende possibile un’azione che, pur avendo per oggetto un popolo intero, resta essenzialmente un’azione non collettiva, ma personale. Così, lungi dal soffocare le risorse profonde situate nel segreto di ogni anima, inevitabile conseguenza, per la natura stessa delle cose, di ogni azione collettiva, qualunque sia il livello degli scopi perseguiti, questa sorta di azione le desta, le stimola e le fa crescere.
Ma chi può esercitare un’azione simile?
Nelle circostanze di ogni giorno non v’è forse nessuna occasione in cui essa possa venir esercitata. Ostacoli fortissimi impediscono che un governo, se non parzialmente e in modesta misura, la eserciti. Altri ostacoli creano analoghi impedimenti a che essa possa essere esercitata da altri che non sia lo stato.
Ma a questo proposito le circostanze nelle quali attualmente versa la Francia sono meravigliosamente e provvidenzialmente favorevoli.
Sotto molti altri aspetti è stato un vero disastro che la Francia non abbia avuto a Londra, come altri paesi, un governo regolare. Ma sotto l’aspetto che ci interessa è stato un evento eccezionalmente felice; come anche il fatto che la vicenda dell’Africa settentrionale non abbia prodotto la trasformazione del Comitato nazionale in governo regolare.
L’odio dello stato, che esiste in Francia in forma latente, sorda e profondissima da Carlo VI° in poi, impedisce che parole emananti direttamente da un governo possano essere accolte da ogni francese come la voce d’un amico.
D’altra parte, in un’azione di questo tipo, le parole devono avere un carattere ufficiale per poter essere veramente efficaci.
I capi della Francia combattente sono qualcosa di analogo a un governo, nell’esatta misura indispensabile perché le loro parole rivestano un carattere ufficiale.
Il movimento serba abbastanza la sua natura originaria, quella cioè di una rivolta sgorgata dal fondo di poche anime fedeli e completamente isolate, perché le parole che ne provengono possano, all’orecchio d’ogni francese, avere l’accento familiare, intimo, caloroso e affettuoso di una voce amica.
E, oltre tutto, il generale de Gaulle, circondato da coloro che lo hanno seguito, è un simbolo. Il simbolo della fedeltà della Francia a se stessa, concentrata, ad un certo momento, quasi esclusivamente in lui; e soprattutto il simbolo di quanto, nell’uomo, rifiuta la volgare adorazione della forza.
Tutto quel che vien detto in suo nome ha, in Francia, l’autorità connessa a un simbolo. E quindi, chiunque parli in suo nome può a suo piacere e secondo il proprio criterio di opportunità, a seconda delle circostanze, trarre ispirazione dai sentimenti e dai pensieri che fermentano realmente nello spirito dei francesi, o da un livello più elevato e, in questo caso, elevato quanto voglia; nulla gli impedisce, in dati giorni, di trarre ispirazione dalla regione che è al di sopra del cielo. Quanto sarebbero fuori luogo tali espressioni se venissero da un governo necessariamente macchiato da tutte le bassezze connesse all’esercizio di un potere, tanto sarebbero convenienti qualora venissero da un simbolo che rappresenta, agli occhi di tutti, la più elevata delle realtà.
Un governo che impieghi parole o pensieri troppo elevati, non che riceverne lustro, finirà con lo screditarle e col rendersi ridicolo. È quanto è accaduto con i principi del 1789 e con la formula “Libertà, Eguaglianza, Fraternità” durante la Terza Repubblica. E quanto è accaduto con le parole d’ordine, spesso in sé e per sé di un livello molto elevato, lanciate dalla sedicente Rivoluzione nazionale. In questo secondo caso, è vero, la vergogna del tradimento ha provocato il discredito con una rapidità fulminante. Ma quasi di sicuro quel discredito sarebbe venuto egualmente, in altro modo, seppur molto più lento.
Il movimento francese a Londra ha attualmente, e forse per poco tempo, lo straordinario privilegio che, essendo in larga misura simbolico, gli è concesso di diffondere le ispirazioni più elevate senza screditarle né screditarsi.
Così da quella medesima irrealtà di cui soffre fin dalla sua origine - a causa dell’isolamento originario di quelli che l’hanno promosso - esso può trarre, qualora sappia farne uso, una ben maggiore pienezza di realtà.
“L’efficacia si perfeziona nella debolezza” dice san Paolo.
Uno strano accecamento ha provocato, in una situazione densa di possibilità tanto meravigliose, il desiderio di scendere alla situazione banale, volgare, di un governo di emigrati. La provvidenza ha voluto che quel desiderio non venisse soddisfatto.
Nei confronti dell’estero, d’altronde, i vantaggi della situazione sono analoghi.
Dal 1789 in poi la Francia ha effettivamente goduto, fra le nazioni, di una posizione unica. È cosa recente; il 1789 non è lontano. Dalla fine del quattordicesimo secolo, epoca delle repressioni feroci compiute n...

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