E adesso, piccolo uomo?
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Uomini in caduta libera
"In un mondo nel quale si possono contare circa venti milioni di disoccupati e in un paese dove la gioventù che esce dalle scuole si vede sbarrata ogni via e ogni occupazione proficua, la storia di un disoccupato diventa quasi simbolica e ci interessa di per sé".
Questo è l'incipit della recensione alla prima edizione italiana, anche se sembra un articolo di cronaca dei nostri giorni.
Il romanzo, scritto in quattro mesi — dall'ottobre del 1931 al febbraio del 1932 — viene inizalmente pubblicato a puntate sul feuilleton di un quotidiano berlinese e poi pubblicato in volume in coincidenza dell'uscita dell'ultima puntata. Ottiene immediatamente un successo straordinario in Germania ma non solo. Viene subito tradotto e pubblicato da almeno altre dieci case editrici straniere.
La vicenda narrativa si svolge nell'arco temporale di circa due anni (primavera 1930 – inverno 1932) e dunque per i lettori del quotidiano il testo di Fallada costituiva effettivamente una descrizione "in presa diretta" della realtà tedesca. Una realtà contrassegnata, come abbiamo letto, dal vertiginoso aumento del numero dei disoccupati.
Le date, a proposito di questo libro, sono importanti. Ricordiamoci infatti che in Germania il 27 febbraio 1933 viene incendiato il Reichstadt e che il 23 marzo 1933 Hitler ottiene i pieni poteri.
Fallada descrive con realismo e precisione una coppia giovane, onesta, lavoratrice e perbene in caduta libera verso la povertà. A poco a poco, Hans ed Emma Pinnenberg si ritrovano ad aver sempre meno fiducia e speranze nei confronti di questa Germania degli anni '30. La crisi economica li travolge nella sua spirale infernale senza più lasciar loro se non il loro amore reciproco.
Tremendamente attuale, "Kleiner Mann, was nunn?" (tradotto con piccolo uomo per significare la condizione di inferiorità verso la quale si indirizzano i protagonisti), è un testo che denuncia i pericoli verso i quali si può incamminare una società, qualora perda di vista valori fondanti come la solidarietà, la giustizia, la fratellanza.
L'autore
Hans Fallada (1893-1947) si chiamava in realtà Rudolf Ditzen, ma quando decise di fare lo scrittore si scelse uno pseudonimo, e lo fece mettendo insieme i nomi di due personaggi tratti dalle fiabe dei fratelli Grimm.
Fallada è una delle figure di quel neorealismo tedesco (la Neue Sachlihkeit ) del Novecento di cui fanno parte anche due importanti autori come Alfred Döblin (Berlin Alexanderplatz) ed Heinrich Mann (L'angelo azzurro).
Dopo aver esercitato i mestieri più disparati — guardiano notturno, mercante di cereali, agente pubblicitario — Fallada si lancia nel 1929 nel giornalismo. Si dedica poi esclusivamente alla narrativa scrivendo opere con cui disegna un quadro molto fedele della società tedesca della sua epoca.
Kleiner Mann, was nun? (del 1932) è il suo secondo romanzo. Acuminato profilo della società tedesca fra le due guerre, gli garantisce una grande notorietà anche al di fuori dei confini tedeschi.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788833260310

Parte seconda

Berlino

La signora Mia Pinneberg come ostacolo alla circolazione. Piace a Lämmchen - non piace a suo figlio e racconta chi è Jachmann

Un taxi risale la Invalidenstraße, si spinge lentamente in mezzo a una congerie di pedoni e di tram, raggiunge lo spiazzo antistante la stazione di Stettino, dove c’è meno traffico, e qui, strombettando come per un senso di sollievo, si slancia nella corsia di accesso, Si ferma.
Ne scende una signora. «Quant’è? » chiede all’autista.
«Due e sessanta, signora».
La signora ha già cominciato a frugare nel suo borsellino, ma ora tira indietro la mano. «Due e sessanta per questi dieci minuti di strada? No, no, brav’uomo, non sono mica una milionaria, pagherà mio figlio. Aspetti»,
«Signora, non si può», dice l’autista,
«Come sarebbe a dire: non si può? Io non pago, quindi bisognerà che lei aspetti finché arriva mio figlio. Alle quattro e dieci, col treno da Stettino».
«C’è il divieto», dice l’autista. «Non possiamo sostare qui sulla corsia».
«E allora si metta ad aspettare laggiù, caro il mio ometto. La raggiungiamo laggiù, ci arriveremo noi fin là».
L’autista, chinando il capo da una parte, le strizza l’occhio. «Signora mia», dice, «che lei arriverà non c’è dubbio, così come arriverà la prossima riduzione salariale. Ma sa, non è meglio che i soldi se li fa ridare da suo figlio? E molto più facile anche per lei».
«Che succede qui? » chiede una guardia. «Circolare! »,
«La signora vuole che aspetti, signor brigadiere».
«Circolare! ».
« Ma non mi paga! ».
«Signora, paghi, prego. Qui non si può sostare, c’è altra gente che vuol partire».
«Ma non io. Torno subito».
«Voglio i miei soldi, vecchia pittura... ».
«Autista, guardi che mi faccio dare le sue generalità! ».
«Ehi tu, cerca di muoverti, pezzo d’idiota, o sfondo te e la tua Bugatti... ».
«Allora, gentile signora, paghi, per piacere! Si rende conto anche lei... ». La guardia, per disperazione, esegue una specie d’inchino da scuola di ballo, sbattendo i tacchi.
La signora è raggiante. «Ma certo che pago. Se quest’uomo non può sostare, non sarò io a non rispettare le regole. Che subbuglio! Dio, signora guardia, l’ordine dovrebbero affidarlo a noi donne. Andrebbe tutto liscio... ».
Atrio della stazione. Scalinata. Distributore automatico dei biglietti d’accesso ai binari. Ne prendo uno? Sono altri venti centesimi. Ma, dato che poi ci sono due uscite, se non vado al binario finisce che non li vedo. Mi farò rimborsare da lui. Al ritorno devo ancora prendere del burro da tè. Sardine sott’olio. Pomodori. Il vino lo manda Jachmann. Fiori per la sposina? No, no, meglio di no, son tutti quattrini che se ne vanno e non farebbero che viziarla.
La signora Mia Pinneberg va su e giù per la banchina. Ha un volto morbido, piuttosto pieno, con degli strani occhi di un azzurro pallido, sembrano scoloriti. È bionda, molto bionda, ha le sopracciglia dipinte di scuro, e per il resto ha appena un po’ di trucco, giusto per andare a prendere qualcuno alla stazione. Di solito, a quest’ora, non esce mai.
Dio, quel bravo ragazzo, pensa commossa, sa infatti che a questo punto bisogna che sì commuova un po’, altrimenti tutta quell’attesa alla stazione è soltanto una seccatura. Chissà se è ancora così imbranato? Di sicuro. Chi è che va a sposarsi una ragazza di Ducherow? E dire che da lui avrei potuto tirarne fuori ben qualcosa, avrebbe potuto essermi davvero utile... Sua moglie... anche lei in fondo può aiutarmi, se è un’ochetta. Anzi, proprio se è un’ochetta. Jachmann dice sempre che spendo troppo per la casa. Forse potrei mandar via la Mòllern. Il treno, grazie al cielo...
«Buon giorno», dice raggiante, «D’aspetto stai benissimo, ragazzo mio. Commerciare col carbone sembra far bene alla salute. Non commerciavi col carbone? Ma allora perché me lo scrivi? Beh, dammi pure un bacio, non ti preoccupare, il mio rossetto è indelebile. Anche tu, Lämmchen. Te invece ti avevo immaginata completamente diversa».
Prende Lämmchen per le braccia e l’osserva.
«Allora, mamma? » chiede Lämmchen sorridendo, «che idea t’eri fatta? ».
«Ma sai, una di campagna, e ti chiami Emma, e lui ti dice Lämmchen... Sembra che in Pomerania portiate ancora della biancheria intima di flanella. Bah, Hans, come ti sei fatto capace di chiamare Lämmchen una ragazza del genere... Questa è una vera valchiria, seno alto e sguardo fiero... O Dio, non mi diventar rossa, sennò mi torna subito in mente: Ducherow».
«Ma non divento per niente rossa», ride Lämmchen. «Certo che ho un seno alto. Ed ho anche uno sguardo fiero. Specialmente oggi. Berlino! Mandel! E una suocera come te! Flanella però addosso non ne ho».
«Già, a proposito di flanella - come siete combinati con la vostra roba? La cosa migliore è che ve la facciate recapitare dal servizio pacchi. O avete anche dei mobili? ».
«Mobili non ne abbiamo ancora, mamma. All’acquisto del mobilio non ci siamo ancora arrivati».
«Non c’è fretta. A casa mia vi toccherà una camera ammobiliata in modo principesco. Da sprofondarci dentro, vi dico. Meglio i soldi che il mobilio. E sperabile che ne abbiate molti, di soldi».
«Ma quali soldi? » brontola Pinneberg. «Da dove dovrebbero venirci questi soldi? Qual è la paga da Mandel? ».
«Chi è Mandel? ».
«Ma sì, i Grandi Magazzini Mandel, dove m’hai trovato il posto».
«Ho proprio scritto Mandel? Non mi ricordavo più. Bisogna che tu stasera ne parli un po’ con Jachmann. E lui che sa tutto».
«Jachmann...? ».
«Allora, sarà meglio che prendiamo un taxi. Stasera ho invitato un po’ di gente, e altrimenti farò troppo tardi. Hans, corri, là c’è lo sportello del servizio pacchi. E digli di non fare la consegna prima delle undici, non sopporto di sentir suonare il campanello prima delle undici».
Le due donne restano per un momento da sole.
«Mamma, a te piace alzarti tardi? » chiede Lämmchen.
«Si capisce. Perché, a te no? Ogni persona razionale dorme volentieri a lungo. Spero che non comincerai a ciabattare per la casa già alle otto del mattino».
«Certo, anche a me piace alzarmi tardi. Ma se uno dev’essere puntuale al negozio».
«Chi dev’essere puntuale al negozio? Ah, Hans! Lui si chiamerebbe Johannes, ma io lo chiamo così, quel nome l’aveva scelto il vecchio Pinneberg, uno dei suoi pallini. - Beh, comunque non c’è bisogno che tu ti alzi così presto! Quella è una specie di superstizione che hanno gli uomini. Il loro caffè se lo possono benissimo preparare da soli, e lo stesso vale per i loro panini. Digli soltanto di non far rumore. A suo tempo non aveva mai un po’ di riguardo».
«Con me ne ha! » assicura Lämmchen. «Con me è l’uomo più delicato del mondo».
«Da quanto siete sposati...? Va là, Lämmchen. Macché Lämmchen, devo pensare un po’ a che nome darti. Tutto fatto, figliolo? Allora, taxi! ».
«Spenerstraße novantadue», dice Pinneberg all’autista. E, dopo che son seduti: «Dai un ricevimento, mamma? Certo non... », s’interrompe.
«Non, che cosa? » lo incoraggia la madre. «Non ti mettere in soggezione! Stavi dicendo in vostro onore, non è così? No, figlio mio, tanto per cominciare non ho i soldi per farlo e, in secondo luogo, non si tratta di un ricevimento, ma di una riunione d’affari. Soltanto d’affari! ».
«Non è che di sera continui...? ». Anche stavolta Pinneberg non termina la frase.
«O Dio, Lämmchen! » esclama sua madre sconfortata. «Come devo fare con questo ragazzo? Eccolo un’altra volta che si vergogna. Vuol chiedermi se continuo ad andare al locale. Quando avrò ottantanni, starà ancora lì a domandarmelo. No, figlio mio, non ci vado più già da parecchi anni. Te l’avrà raccontato anche a te, del mio lavoro in un locale notturno. No? Non l’ha fatto? Su, dimmelo! ».
«Sì, qualcosa... », dice Lämmchen esitante.
«Vedi? » dice mamma Pinneberg con aria di trionfo. «Devi sapere che mio figlio Hans trascorre metà della sua vita, andandosene in giro a pascere se stesso e gli altri della depravazione di sua madre. E proprio orgoglioso di questa sua pena. Perfettamente felice della sua infelicità lo sarebbe, se fosse anche un figlio illegittimo. Ma lì la fortuna non t’aiuta, figlio mio, sei legittimo, e al Pinneberg gli sono stata pure fedele, come una scema».
«Ma mamma, scusa un momento... », protesta Pinneberg.
Dio, che spasso, pensa Lämmchen. Va tutto molto meglio di quanto credessi. Non è per niente cattiva.
«E allora, stammi bene a sentire, Lämmchen. Se solo riuscissi a trovarti un altro nome. La faccenda del locale notturno è ben diversa. Intanto è una storia di almeno dieci anni fa, e poi si trattava di un locale molto in grande, dove c’erano quattro o cinque ragazze e un barista. E, dato che rubacchiavano sempre sui liquori e facevano la cresta sulle consumazioni e al mattino il conto delle bottiglie non tornava mai, ho accettato quel posto lì, per fare un piacere al proprietario. Ero una specie di sorvegliante, con compiti di rappresentanza... ».
«Ma, amore, allora come puoi... ».
«Te lo dirò io, come può. Una volta s’è piazzato all’ingresso, a spiare da dietro la tenda... ».
«Non ho spiato affatto! ».
«E invece sì, hai spiato, Hans, non contar balle. E ovviamente capitava che qualche volta, con quei clienti che conoscevo, bevessi una coppa di spumante... ».
«Era un liquore», dice Pinneberg con l’aria cupa,
«Un po’ di liquore ogni tanto lo bevo. Anche tua moglie lo farà».
«Mia moglie non beve assolutamente alcolici».
«Tu sì che sei saggia, Lämmchen. La pelle non s’affloscia. Ed è meglio anche per lo stomaco. E poi, i liquori m’ingrassano. È terribile! ».
«E che tipo di riunione d’affari è, quella che hai organizzato stasera? ».
«Sentilo un po’, Lämmchen. Sembra un giudice istruttore! Ed era così già a quindici anni. “Chi era quel signore con cui hai preso il caffè? C’era un mozzicone di sigaro nel portacenere”. Che figlio che ho... ».
«Ma sei tu, che hai cominciato a parlare della riunione».
«Ah, sono stata io? E adesso non mi va più di parlarne, A guardare che faccia fai, me n’è passata la voglia. Voi comunque siete dispensati dal venirci», «Ma cos’è successo? » chiede Lämmchen costernata. «Eravamo tutti così contenti un attimo fa».
«È questo ragazzotto qui, che deve sempre ricominciare con quella lagna disgustosa del locale notturno», dice la signora Pinneberg senior furiosa. «È da anni ed anni che la mena».
«Per p...

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  2. Prologo
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Epilogo