Fosca
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A cinque anni di distanza, Giorgio, militare di carriera nell'esercito con il grado di ufficiale ottenuto per un atto di eroismo, decide di affidare alla carta le memorie di un periodo particolarmente doloroso della sua vita, caratterizzato dall'amore per due donne dai caratteri opposti: Clara e Fosca.
Fosca è il romanzo più famoso dello scrittore Iginio Ugo Tarchetti. Uscito a puntate sulla rivista Il pungolo nel 1869 e raccolto in volume nello stesso anno, composto da 50 capitoli, è uno dei più rappresentativi romanzi della Scapigliatura.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788833462554
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici
XXVII
Mi convenne attendere due ore nelle stanze del medico, e per maggior cautela in un buio perfetto. Se non era che la luna era in quella notte piena e chiarissima, non avrei potuto distinguere certi ossicini e certi teschi di cui il dottore aveva ornato simmetricamente il suo caminetto, come di altrettanti ninnoli; e che in quel momento, e visti cosí in quella penombra, non era ciò che vi fosse di piú adatto a mettere in calma il mio spirito, e a prepararmi a quello strano appuntamento.
Sentiva di là la voce fioca e dolce dell’inferma, e il cicalare sommesso del medico con suo cugino.
Era vicina la mezzanotte, allorché intesi Fosca dire alla sua cameriera:
— Mi sento bene, e ho bisogno di dormire, e di esser sola; va pure, e non venire se non ti chiamo.
La cameriera se ne andò, lietissima di quella concessione. Il medico si accomiatò dal colonnello, dicendogli:
— Riverrò domattina per tempo, occorre anzi tutto che non la si disturbi, son certo che passerà una notte quieta. Non si dimentichi di prendere la valeriana. Buona sera!
— Buona sera!
E l’udii aprir l’uscio ed uscire.
Vi fu un breve momento di silenzio.
— Buona notte, — le disse per ultimo suo cugino — me ne vado perché tu possa dormire. Appena alzato verrò a vederti, e se non ti sentissi bene fammi chiamare, non avere riguardi, diavolo!…
— Sta certo, addio.
— Addio.
Ed uscí egli pure.
Il medico risalí l’altro braccio della scala, e rientrò nella stanza.
— Siamo a tempo, — diss’egli — attendiamo però qualche minuto per maggior sicurezza. Intanto…
Prese uno scalpello di cui si serviva per le sezioni anatomiche, e svitò con destrezza le viti della serratura. L’uscio fu subito aperto.
— Ecco i miei amici — diss’egli mostrandomi i teschi che erano sul caminetto e facendovi passare dinanzi la fiamma della candela. — Essi vi faranno compagnia, intanto che io resterò fuori a giuocare la mia partita di tarocchi; non vi daranno disturbo, sono gente quieta. Aspettate qualche momento ad entrare; e abbiate giudizio, — aggiunse mezzo tra il serio e il faceto — io sarò di ritorno fra un paio d’ore.
Rimasi solo, in preda ad una tristezza inesprimibile.
Mi pareva che la fortuna si prendesse giuoco di me (e dico la fortuna, poiché mi ha ripugnato sempre il riferire i miei mali alla Provvidenza, come a cosa che mi è dolce reputar equa e benefica), tante e tanto stranamente dolorose erano le circostanze in cui allora mi trovava. Lontano dalla donna che amava piú della mia vita, che non avrei riveduto forse mai piú, il cui amore aveva ritemprato la mia fede e il mio ingegno; adorato da lei, buona, bella, simile in tutto a me, riflesso dell’anima mia, doveva darmi ad una creatura che quasi abborriva, usare con lei i modi dell’affetto, ripeterle le stesse espressioni che aveva dette a Clara, versare in essa la piena del mio cuore tumultuante!… Oh se fosse stato per Clara che io mi trovava lí, in quella camera, se fosse stata essa che io stava per riabbracciare, di quanta felicità sarebbe stata innondata la mia anima! E pensava ai primi giorni del nostro amore, a quella prima volta che l’aveva attesa nel mio stanzino, pazzo, ebbro, delirante; al tremito che aveva provato al contatto della sua mano, al fruscio del suo abito, al suono della sua prima parola…
Entusiasmi svaniti per sempre, inganni, errori, illusioni — unico vero, unica grandezza della vita — egli è da gran tempo che io vi ho perduti; né ritrovo oggi tampoco le traccie delle vostre rovine, o un eco delle vostre gioie per rammentarvi e per piangervi.
Se avessi esitato ancora qualche istante ad entrare nella camera di Fosca, non vi sarei andato piú; me ne sarebbe venuto meno il coraggio. Vi entrai risoluto.
Al lieve rumore dell’uscio trasalí, e rivolse il capo dalla mia parte.
— Son io, Giorgio, non temete.
— Oh mio Dio! oh mio Dio!
E si coprí il volto con un lembo del lenzuolo. Singhiozzava cosí coperta e fremeva.
Mi sedetti al suo capezzale, e mi guardai dintorno. La stanza era piena di fiori, il letto era bianco come neve, e pareva tutto di pizzo, una lampada posta in un angolo emanava una luce debole, ma chiara e trasparente come luce di notte lunata. L’amore avrebbe trovato là il suo tempio.
Si scoperse il volto ad un tratto, mi guardò a lungo con espressione di affetto ineffabile, poi mi disse:
— Sapeva che sareste venuto.
Vidi lucere una lacrima sui di lei occhi, e mi sforz...

Indice dei contenuti

  1. I
  2. II
  3. III
  4. IV
  5. V
  6. VI
  7. VII
  8. VIII
  9. IX
  10. X
  11. XI
  12. XII
  13. XIII
  14. XIV
  15. XV
  16. XVI
  17. XVII
  18. XVIII
  19. XIX
  20. XX
  21. XXI
  22. XXII
  23. XXIII
  24. XXIV
  25. XXV
  26. XXVI
  27. XXVII
  28. XXVIII
  29. XXIX
  30. XXX
  31. XXXI
  32. XXXII
  33. XXXIII
  34. XXXIV
  35. XXXV
  36. XXXVI
  37. XXXVII
  38. XXXVIII
  39. XXXIX
  40. XL
  41. XLI
  42. XLII
  43. XLIII
  44. XLIV
  45. XLV
  46. XLVI
  47. XLVII
  48. XLVIII
  49. XLIX
  50. L