LE LETTURE CRITICHE
Una delle prime edizioni del romanzo
Il Gattopardo è una di quelle opere letterarie che compaiono di tanto in tanto e che contemporaneamente ci abbagliano e ci confondono, perché ci mettono davanti al mistero del genio artistico. Una volta esaurite tutte le spiegazioni alla nostra portata e una volta soddisfatta la nostra legittima curiosità sulle circostanze in cui si è svolta la sua gestazione, continuiamo a chiederci come sia stato possibile il verificarsi di questa occasionale esplosione che sconvolge la produzione letteraria di un’epoca, fissando nuove vette estetiche e buttando all’aria la vecchia scala di valori. Il Gattopardo è infatti una di quelle eccezioni che sporadicamente impoveriscono il loro contorno letterario, rivelandoci, per contrasto, la mediocrità che lo caratterizza.
Apparve nel 1958 e, dopo di allora, non si è pubblicato in Italia, sostiene Vargas Llosa, e forse in Europa, un romanzo che possa rivaleggiare in delicatezza di tessitura, forza descrittiva e potere creativo. Sconcertanti quasi quanto la sua bellezza, sono gli anacronismi estetici e ideologici con cui il Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha elaborato il suo romanzo. Siamo portati a capire i motivi che spinsero il mandarino letterario del momento in Italia, Elio Vittorini, a chiudergli le porte della casa editrice Einaudi. Erano infatti gli anni della letteratura impegnata e gli intellettuali, educati da Sartre e Gramsci, credevano che il genio fosse una pura scelta ideologica, una presa di posizione politicamente e ideologicamente “corretta” a favore della giustizia e del progresso.
Il capolavoro di Tomasi di Lampedusa sopraggiunse a ricordare che il genio è qualcosa di più complicato e arbitrario e che, nel suo caso, assumere in modo deciso una visione retrograda e, tutto sommato, anche cinica della storia, non era un ostacolo per scrivere una grande opera letteraria.
Per capire bene un romanzo come Il Gattopardo, bisogna ammettere che, rispetto alla realtà in cui siamo immersi, lo scrittore è riuscito a creare una realtà parallela, a forza di fantasia e di parole, un mondo, che seppure edificato con materiali che provengono tutti dal mondo storico, lo respinge radicalmente, mettendogli di fronte un miraggio, un mondo illusorio, in cui il romanziere ha riversato la sua nostalgia, il suo desiderio di una vita diversa, libera dalle forche caudine della morte e del tempo.
Come spesso avviene per i libri di grande successo, un alone di favola fu attribuito alla nascita del romanzo: da parte di molti si è detto che Il Gattopardo venne scritto quasi di getto. Le esagerazioni sono però distanti dalla realtà; l’idea originaria datava da anni e non si trattava di un romanzo ma di un racconto lungo, avente come spunto una giornata del bisnonno al momento dello sbarco di Garibaldi. Doveva infatti intitolarsi La giornata di un siciliano.
Il primo disegno narrativo si affidava ad uno schema di tipo joyciano; quando però venne il tempo di realizzarlo, l’aspirante narratore si accorse di non essere in grado di riproporre l’Ulysses, anche perché aveva sottovalutato il rapporto tra tempo narrato e tempo narrativo. Lo schema delle ventiquattr’ore rimase attuato solamente nel primo capitolo, il più elaborato, il più armonioso, il più completo. Per il materiale successivo l’autore ripiegò su una seconda struttura, uno schema di cinquant’anni con tre tappe intervallate da un venticinquennio: 1860, sbarco di Garibaldi, 1883, morte del Principe, 1910, fine di tutto.
Secondo Paolo Massimi, tra i nodi cruciali del dibattito critico che si è aperto intorno al Gattopardo fin dal suo primo apparire, vi è quello del genere letterario di appartenenza. Nel calore delle prime polemiche, tra il ’58 e il ’60, furono formulati sul romanzo giudizi diametralmente opposti. Da una parte vi è quello pienamente positivo di Giorgio Bassani, consapevole della propria responsabilità di scopritore dell’opera, alla quale attribuisce “ampiezza di visione storica unita ad un’acutissima percezione della realtà sociale e politica dell’Italia di adesso” e cioè dell’Italia della fine degli anni ’50; dall’altra vi è la valutazione fortemente riduttiva di Mario Alicata, autorevole intellettuale comunista, che dichiarava Il Gattopardo fallito come romanzo storico a causa della posizione reazionaria dell’autore e per le sue insufficienze ideologiche.
Fortemente negativo era anche il giudizio di Elio Vittorini, che riconosceva al Gattopardo una certa piacevolezza dello stile letterario, ma ne sviliva completamente la dimensione storica, riducendo il romanzo ad una specie di esercizio stilistico. Anche Geno Pampaloni coglie il valore lirico, più che narrativo, del Gattopardo proprio nello sconsolato pessimismo esistenziale dell’autore, che rifiuta ogni forma di consolazione, non solo religiosa nel senso tradizionale, ma anche laica, intesa come fiducia nella storia e nel progresso. Egli pertanto considera una vera e propria finzione lo schema storico del romanzo utilizzato da Lampedusa come strumento per conferire maggiore autorevolezza alle sue pessimistiche certezze. Scrivono Alberto Anile e Maria Gabriella Giannice che lo stesso Sciascia, nella prolusione che tenne alla conferenza sul Gattopardo al Circolo culturale di Palermo, mise a fuoco senza ipocrisie il malumore che il romanzo di Lampedusa stava suscitando fra gli intellettuali di sinistra, e che stava aumentando in sintonia con il moltiplicarsi delle vendite. Da appassionato marxista, Sciascia non era disponibile a farsi fare la morale da una aristocratico nostalgico, e non esitò a consegnare le ambiguità del romanzo al giudizio politico. Sciascia non afferma mai che il libro sia scritto male, anzi il romanzo di Lampedusa gli ha regalato fascino e divertimento e lo stesso personaggio di Don Fabrizio presenta le caratteristiche di un uomo classico, di un intellettuale, ma sono questi pregi di poco rilievo rispetto ad un ritratto dell’isola di carattere geografico-climatico, al raffinato qualunquismo che spesso viene espresso nel romanzo e soprattutto all’atteggiamento sia del protagonista che dell’autore, di congenita e sublime indifferenza nei confronti della povera gente.
Anche nel periodo successivo alla pubblicazione, il problema della dimensione storica del Gattopardo continua ad apparire centrale e controverso. Nel 1969 infatti, Furio Felcini esprime giudizi molto positivi sull’opera narrativa di Lampedusa, ma riconosce al romanzo solo l’apparenza di romanzo storico, perché in realtà non è altro che la trasposizione di esperienze autobiografiche dello scrittore che si immedesima nella persona del bisnonno paterno. Sulla stessa posizione troviamo più tardi Giancarlo Buzzi, autore di una delle rare monografie dedicate allo scrittore, che si dichiara convinto del valore poetico dell’opera nel suo complesso, ma che respinge il tenebroso pessimismo storico dell’autore tanto da dichiarare che il suo non può essere considerato un romanzo storico. Paolo Massimi, tuttavia, nonostante la critica abbia espresso posizioni così contrastanti, sostiene che Il Gattopardo è un romanzo storico, non solo per l’ovvio rapporto tra tempo del racconto e tempo della scrittura, ma anche perché il tema conduttore della vicenda storica, cioè il declino dell’aristocrazia terriera siciliana messo in moto dal processo risorgimentale, non è solo collaterale alla vicenda privata del protagonista, ma lo coinvolge in pieno, con tutta la sua famiglia, ed è una delle cause della sua sofferenza, della sua posizione di uomo sconfitto dai tempi, dai mutamenti storici. Infatti è solo a partire dal 1860 che le strutture sociali siciliane, per secoli quelle dell’ancien regime, vengono messe in crisi e realmente modificate.
Scrive Natale Tedesco, docente dell’università di Palermo, che l’europeismo, come d’altronde la sicilianità e l’italianità della formazione intellettuale del Tomasi, è una delle griglie generali di cui ci si vuole servire per riconsiderare la fortuna, la popolarità del Gattopardo a distanza di tanti anni dalla sua pubblicazione. Trattando dell’europeismo, ad esempio, ci si potrebbe riferire alla conoscenza che Giuseppe Tomasi di Lampedusa aveva della società e della cultura di alcune nazioni europee, in particolare dell’Inghilterra, per la cui letteratura nutriva un grande amore e di cui privilegiava anche il sistema di valori etico-politici. Ma potremmo anche riferirci al suo studio del romanzo europeo, tema questo che si dovrebbe subito suddividere in passione per il romanzo ottocentesco (ad esempio per Tolstoj, Dickens e Stendhal) e attenzione intelligente per quello novecentesco (ad esempio per Conrad e Joyce). Quanto all’aspetto italiano della formazione di Tomasi, esso non può far dimenticare la fondamentalità della sua esperienza esistenziale isolana, nonché l’interesse appunto per la storia della sua terra e di alcune specifiche tradizioni di essa. La scrittura del romanzo infatti, prende forza dalla sua esperienza di vita siciliana che vogliamo ritenere fondamentale per la nascita dello scrittore. È perfino ovvio aggiungere che con il romanzo si è ben oltre il valore di un sia pur singolare memoriale, perché è il risarcimento della scrittura che rimedia al fallimento esistenziale, consegnando il racconto della fine di una vita e di un’epoca al giudizio ormai non contenutistico ma formale, letterario dei lettori. In effetti l’autobiografismo del Gattopardo non può farsi rientrare nella categoria di libri che raccontano fatti spiccioli reali, più o meno trasformati. In realtà, nell’opera di Tomasi, esso è presente con quella qualità che ne fa il tema della letteratura del Novecento: una notizia del mondo...