Vago et degno luogo lodare. Giovanni Tarcagnota tra storia e antiquaria
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Giovanni Tarcagnota nasce a Gaeta intorno al 1508; forse allievo di Agostino Nifo, nipote del poeta e uomo d'arme Michele Marullo Tarcagnota, discendente dei Paleologhi, giovanissimo fu al servizio di Giovanni dalle Bande Nere e alla morte di questi divenne segretario di Galeazzo Florimonte. Nel 1542, lasciato il servizio presso il vescovo di Sessa, si trasferisce a Venezia dove, iniziata la propria attività di poligrafo con lo pseudonimo di Lucio Fauno, licenzia alcuni tra i volgarizzamenti più importanti della nostra traduzione letteraria rinascimentale.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788833465395
Capitolo II
Pseudonimi
1. Lucio Fauno, Lucio Mauro e Ulisse Androvandi (1548-1556)
L’omaggio ai papi e ai Farnese contenuto nel Degli Costumi et leggi di Giovanni Tarcagnota ha scopi completamente agiografici perché da un lato mette in risalto la grandezza dei papi e l’esibizione materiale del loro potere spirituale e terreno e dall’altro garantisce ai Farnese di rivestire i panni di artefici della nuova Roma e a papa Alessandro III di poter essere riconosciuto come papa e monarca assoluto che assume in sé anche il potere dei Cesari. L’auto-riferirsi del papa Farnese ad Alessandro Magno e la considerazione di un legame con l’antichità che passa esclusivamente per la Restauratio imperii sub specie Vaticana è la cifra che lo distingue dai suoi successori e lo ricollega idealmente ai suoi predecessori Eugenio IV, Leone X e Giulio II.
In questo senso la famiglia Farnese si pone come protettrice non del singolo individuo, ma dell’intera gestione e organizzazione degli studi antiquari intorno a sé orbitanti e arbitro di tutto ciò che intorno al suo studio ruota. In tale orbita l’intervento di ognuno dei suoi partecipanti assolve alla realizzazione di un tassello del progetto complessivo di ricostruzione storica e archeologica e partecipa alla realizzazione di un progetto ideale di conservazione che, almeno sulla carta, si pone come obiettivo la realizzazione sic et nunc di un passato colto nella sua sola dimensione storica e letteraria.
Il segno di questa trasformazione è rappresentato dal diverso approccio che le Antichità di Roma di Lucio Mauro espongono saldandosi in maniera efficace alla sua appendice naturale, ovvero il Delle statue antiche di Ulisse Aldrovandi.
Le due opere sono complementari perché la fine della prima opera trova diretta continuità argomentativa nella seconda: come Mauro finisce al Vaticano così Aldrovandi riprende dallo stesso punto e in particolare dal palazzo del Belvedere. Entrambe obbediscono a una visione d’insieme della città che non è più quella trameziniana dell’antiquaria storico-letteraria e dell’Imago urbis, ma della nuova città papale, ben definita, fondata su una mitografia rinnovata, interpretata a senso unico e spogliata di tutti i significati mitico-politici che caratterizzavano le cariche antiche nel contesto originario della antica Res publica.
Ziletti si fa portavoce di tale revisione storica per due motivi: il primo, esclusivamente economico, che gli permette di ritagliarsi un quoziente di mercato tipografico nuovo e il secondo che invece gli permette di avviare un ripensamento (oggettivamente modernizzante e innovante) nel campo di quegli stessi studi. L’idea di pubblicare insieme i testi, infatti, è un’operazione di mercato e culturale: in entrambi i casi il pubblico che si ricerca è nuovo, non necessariamente letterato e soprattutto interessato a vedere (anche in quanto pellegrino e turista) i nuovi soggetti dell’aristocrazia romana e i nuovi prodotti dell’arte da questa commissionata, non a caso, Aldrovandi si sofferma sui nomi dei proprietari (un democratico insieme di classi sociali diverse, ebrei compresi), sulle loro case, giardini, portici e vigne (non disdegnando di ricorrere alla toponomastica corrente come nel caso della Ciambella - Piazza del Pantheon, altro segno di un totale disinteresse per la storicizzazione antiquaria) e sulla successione disincantata della guida distratta, solo impegnata in una routine infinita.
Per questo diventa necessario il corollario maurino: alla descrizione (tanto autorefenziale quanto disincantata) di Ulisse Aldrovandi è necessario aggiungere le Antichità di Roma, vuoi per dare un senso letterario a un’opera che difficilmente avrebbe potuto trovare diffusione presso un grande pubblico, vuoi perché è lo stesso suo autore che ha avuto proprio nel contatto con Lucio Mauro l’idea di scriverla.
A questo punto, al di là delle testimonianze manoscritte lasciate dal bolognese,1 è un fatto che Mauro, dipendente per i temi e le frasi direttamente da Fauno si pone come interlocutore primario di Aldrovandi. Come Tarcagnota/Fauno ragiona in termini di Restitutio e nello stesso tempo di Renovatio, così Lucio Mauro, portato a compimento il preliminare progetto di scrittura antiquaria sotto altri pseudonimi, avvia un secondo progetto, più sostanziale del precedente perché basato sul rapporto diretto tra collezionismo e antiquaria e più interessante perché mirante a determinare la grandezza del papato come monumento a se stesso.
L’opera di Lucio Mauro, infatti, implementandosi in quella di Aldrovandi, si configura come specchio nel presente di una storia antica che annulla il proprio passato in una musealizzazione che non riflette la grandezza di Roma, ma solo quella dei nuovi proprietari. Anche per questo, non c’è sorpresa nella lettura dei toponimi usati da Aldrovandi: l’archeologia è superata e l’oggetto artistico non rimanda più a un giudizio di valore, ma solo a un manufatto tanto da vedere e ammirare, quanto da considerare comunque reservato a uso e consumo esclusivo cioè dell’esibizionismo auto-celebrativo del/dei proprietari. Lucio Mauro e Ulisse Aldrovandi insomma, introducono il principio di Reservatio, cioè proprietà esclusiva del signore che ne dispone per proprio uso e consumo (nella stessa maniera, quindi, del comune termine musicale con cui si indicava la musica composta ed eseguita solo per consumo privato);
Di tutto ciò ne era ben cosciente Giordano Ziletti che dopo il ben noto processo bolognese del 1548 aveva un disperato bisogno di trovare protettori; è per questo che proprio nell’anno della Princeps si trasferisce a Venezia ed è per questo che le due opere sono dedicate dall’editore stesso ai Martinengo, famiglia bresciana imparentata con il cardinale di Carpi (di cui non a caso si descrivono dettagliatamente le collezioni), ma anche ben nota alle cronache luterane. Non solo, ma la stessa giovinezza del tipografo (sviluppatasi all’ombra degli insegnamenti di Michelangelo Florio e del gruppo di eretici di Orzinuovi e ruotante intorno alla figura di Girolamo Donzellini, a Roma nel 1543, quando incontra di nuovo lo stesso Ziletti, del tipografo Pier Antonio Piasentin e del poeta Francesco Moneta) ci autorizza a tracciare un quadro di conoscenze comuni a Lucio Mauro/Lucio Fauno/Giovanni Tarcagnota che attesta inconfutabilmente anche una sua potenziale adesione luterana.
Le vicissitudini di Ziletti s’intrecciano con quelle di suo fratello (arrestato nel 1555 per eresia stante il passo autobiografico di c. *3r contenuto nella dedica a Giulio Martinengo nell’edizione maurina) e soprattutto con quelle di Aldrovandi, anche lui individuato come eretico in almeno due costituti bolognesi del 15492 e sicuramente parte dello stesso circolo ereticale emiliano cui anche lo stampatore afferiva, stante un altro processo bolognese del maggio 1548 (successivo all’arresto del 26 aprile dello stesso anno) che lo vede come inquisito per diffusione di idee ereticali e possessore e venditore di libri eretici.
A Roma Ziletti e Donzellini, i cui profili biografici sono saldamente legati, ruotano intorno al circolo del Vescovo di Otranto Pietro Antonio di Capua; altri membri del cenacolo erano Girolamo Borro, Giacomo Carisio, Guido Giannetti e Diego de Enzinas. Proprio quest’ultimo, nel 1545, arrestato dall’Inquisizione, nominò tra i suoi complici lo stesso Donzellini che a sua volta, avvertito da Ziletti, riuscì, dopo alterne vicende, a sfuggire all’arresto e a trasferirsi a Venezia sotto la protezione di Leonardo Mocenigo, personaggio che potrebbe aver fatto da tramite con lo stesso Tarcagnota poiché intimo di casa Tramezino e casa Venier luoghi dove Tarcagnota ha mosso i primi passi almeno fino al 1548. Il nobiluomo veneziano è dedicatario della traduzione di Pietro Lauro del Catalogo de gli anni et dei principi de la creatione de l’huomo di Valerius Anselmus Ryd dai Tramezino stampata a Venezia nel 1544 e corredata di una Dedica ai Lettori a firma dell’umanista bavarese, ma attivo come docente a Berna, Giovanni Teloro Abusiaco (Fuessen, cc. 5r-7v) in cui ritornano concetti e nozioni della storia e della cronologia storica che ritorneranno nella lettera prefatoria a Cosimo de Medici che Giovanni Tarcagnota antepone alle Historie del mondo del 1562. A un altro Mocenigo, Filippo, sono dedicate invece l’Historie di Eutropio e l’Aviso de favoriti tradotto da Vincenzo Biondi mantovano entrambe pubblicate dalla bottega veneziana nel 1544.
Tali episodi potrebbero riproporre la presenza di Donzellini a Napoli almeno nei...

Indice dei contenuti

  1. Nota dell’Editore
  2. Introduzione
  3. Capitolo I
  4. Capitolo II
  5. Capitolo III
  6. Appendici
  7. Bibliografia