Napoleone: ai posteri l'ardua sentenza
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Napoleone: ai posteri l'ardua sentenza

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Napoleone: ai posteri l'ardua sentenza

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Napoleone Bonaparte: ai posteri l'ardua sentenzaè un agile volume che, fonti storiche alla mano, delinea i tratti principali di una figura storica di spicco. Dai natali in Corsica, la carriera militare e l'ascesa al titolo di imperatore: l'esistenza straordinaria di un individuo che continua a far discutere rivive nelle parole dello storico Alfredo Saccoccio.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788833464114
Argomento
History
Negli ultimi anni è tornato sulla scena Napoleone Bonaparte. Si rischia di non capirlo, se ci si rifiuta di ammettere che è un poeta della sua vita, “un incomparabile poeta in azione”, come scrisse, nel 1912, in “L’Ame de Napoléon”, il mistico romanziere e giornalista francese Léon Bloy, definendolo irresistibile esecutore dei piani divini, “il Volto di Dio nelle tenebre”. Si spiegherebbe male l’infatuazione, la fascinazione che egli ha suscitato in tanti scrittori, se non fosse che un portatore di sciabola fra tanti altri ed anche un capo di Stato d’eccezione. Né Federico II di Prussia, né Foch, né Clemenceau, hanno provocato un tale entusiasmo durevole. Napoleone appare non solo come un grande uomo al servizio di una grande idea, ma come un mito moderno, fascinoso e trascinante. Egli ha mostrato, agli inizi delle epoche democratiche, ciò che un uomo era capace di fare per il suo solo merito. Chi perorava meglio la causa della Rivoluzione di questo sottotenente che la fine dell’Antico Regime liberava dalle sue catene?
Questo prototipo moderno di volontà e di libertà ha conquistato uno spazio in cui pochi militari osano avventurarsi: l’impero delle parole e una gloria letteraria accordata da quelli che egli aveva sempre assieme temuti ed ammirati, gli scrittori. Stendhal, Dostoevskij, Balzac, hanno vissuto nella sua luce: Julien Sorel di Stendhal lesse il memoriale di Sant’Elena come Raskolnikov e tutti e due vi affilano la loro volontà di potenza. Quanto a Balzac, tutta la sua “Comédie humaine” non è che un inno al grand’uomo scomparso. Il romanziere lo ripeteva: “Occorre essere il Napoleone di qualche cosa”.
L’ambiguità è più grande con il letterato e uomo politico bretone François-Renè de Chateaubriand, uno degli spiriti più avvincenti e cari della letteratura francese. All’imperatore, che ha sempre avuto un debole per il grande stile, sarebbe piaciuto legare alla sua gloria questo incantatore, di cui avrebbe amato fare il suo storiografo, il suo Racine, forse anche il suo Joinville o il suo Malraux. Si può sognare: il visconte Chateaubriand che raggiunge il grande vinto nelle brume di Sant’Elena e si fa il suo portavoce. Che libro avremmo avuto! Mentre nelle “Memorie d’oltretomba” Chateaubriand è in una posizione falsa: egli ha troppo ammirato iil Bonaparte per poterlo odiare. E la sua morte lo ingrandisce ancora di più. Si conosce la terribile parola di Napoleone di fronte alle ambizioni smisurate dell’incantatore: “Il mio problema non è comperare Chateaubriand, è di pagarlo il prezzo che egli si valuta”. Però, a questi momenti di esasperazione, succederanno gli elogi ad uso della posterità. L’imperatore decaduto gli riconosce il talento del profeta. “Egli possiede il fuoco del cielo. In politica, si può che egli si sbagli, tanti altri vi hanno trovato la loro perdita”.
Napoleone non è uno scrittore. Però, non appena prende la penna o redige un proclama, si ha il brivido. Egli non è né Bossuet né il già citato Malraux, ma è la grandezza che parla: “L’uomo superiore non è sulla strada di nessuno”, “Il successo è il più grande degli oratori”, “In Francia, non si ammira che l’impossibile”, “Il cannone ha ucciso la feudalità, l’inchiostro ucciderà la società moderna”, “Nessuna istituizione umana dura se essa non è basata su un sentimento”, “Un trono è una tavola ricoperta di velluto”. Queste frasi che Honoré Balzac ha riunite rivelano il pensiero nell’azione.
Forse mai il Bonaparte ha meglio mostrato la forza del suo stile che innanzi alla tomba di Jean-Jacques Rousseau, quando, ad Ermenonville, passeggiando con Stanislas Girardin, esclama: “L’avvenire dirà se non sarebbe stato meglio, per la pace della terra, che né Rousseau né io fossimo mai esistiti”.
Per la felicità forse, ma il “Piccolo Corso”, l’eroe di Arcole e di Austerlitz, colui che, a detta del nazionalista Maurras, ha tenuto meglio la spada per la Francia, ha dato loro un’idea, un sogno, una leggenda. Era l’uomo di un grande disegno, di un solo popolo. Era anche il sogno di Alessandro il Macedone per l’Asia. Questo sogno crollerà con...

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  1. Napoleone: ai posteri l’ardua sentenza