Il turno
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Il romanzo prende le mosse dal progetto di don Marcantonio Ravì di dare in moglie la giovane figlia Stellina a Don Diego Alcozér, che è vecchio, ma assai ricco e veterano di ben quattro matrimoni e altrettante vedovanze. Se la figlia lo sposerà, alla morte del vecchio, che ormai non può tardare, ella sarà ricca e potrà sposare il suo spasimante Pepè Alletto, un giovane un po' sciocco e vanesio, di cui ella è innamorata, il quale perciò dovrà aspettare un po' il suo "turno"...

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788833464749
XVI
Di non andar quel giorno in casa Alcozèr, Pepè non volle metterlo neanche in deliberazione: sarebbe stato lo stesso che cedere al Salvo ogni diritto su Stellina, non solo, ma anche la prova più lampante d’una paura che egli non voleva riconoscere in sé. Approssimandosi l’ora della visita consueta, si recò pertanto dal Ravì per accompagnarsi con lui: certo il Salvo non avrebbe avuto la tracotanza di aggredirlo vedendolo in compagnia del padre di Stellina.
Ma né don Marcantonio né la moglie erano in casa.
– Sono dalla figlia, fin da mezzogiorno, – gli annunziò la serva. – Chi sa che sarà avvenuto, signorino mio! Con lei posso parlare… Quella povera creatura è sacrificata!
Di nuovo su la strada, Pepè cominciò a riflettere: “Andarci? Conviene? Che dirà la gente se ci azzuffiamo proprio sotto le finestre della casa di lei? Io non sarei sicuro di me; ho usato prudenza jeri; ma, questa sera, se lo vedo, finisce male, parola d’onore! Del resto, loro sono in cinque; che meraviglia dunque se io mi accompagno con un altro?”.
E, così pensando, s’avviava a malincuore alla casa del Coppa. Temeva purtroppo che questi non lo costringesse a fare un secondo duello; perciò, la notte scorsa, aveva scartato subito il partito di recarsi da lui, che pur gli pareva scorta più sicura, che non il Ravì.
Ciro, dopo la morte della moglie, non era più uscito di casa. Ai numerosi clienti che venivano a sollecitarlo, rispondeva misteriosamente:
– Mi corre prima l’obbligo, signori, di riparare ben altri torti. Mi duole di non potervi servire.
E i pretesi torti eran quelli della moglie defunta verso l’educazione dei due figliuoli. Invasato dall’idea di farne due uomini forti, li addestrava alla scuola degli antichi romani: li costringeva a correr nudi per circa mezz’ora ogni mattina attorno alla profonda vasca del giardino, e quindi a buttarsi nell’acqua diaccia.
– O morti, o nuotatori!
Poi comandava loro:
– Asciugatevi al sole!
E, se era nuvolo:
– Il sole non c’è. Mi dispiace. Asciugatevi all’ombra.
Niente più scuola: meglio bestie forti, che dotti tisici.
– Lasciatevi coltivare da me.
Pepè lo trovò che addestrava alla lotta i due ragazzi, lì nello studio.
– Gioverebbe anche a te un po’ di questo esercizio! – gli disse Ciro. – Hai una faccia da morto, che fa schifo a guardarla. Qua! Fammi tastare il braccio… piegalo.
Gli tastò il bicipite, poi lo guardò in faccia, come nauseato, e gli domandò:
– Perché non t’ammazzi?
– Ti ringrazio dell’accoglienza, – gli rispose con un risolino Pepè. – Fai anche ridere i ragazzi. Del resto, hai ragione. Vorrei essere anch’io come te, capace di tenere a posto una mezza dozzina d’accattabrighe. Il coraggio, si… va bene; ma da solo, senza la forza, non basta.
– Difetto dell’educazione! – gli gridò Ciro, dominato dall’idea fissa del momento.
– Ah, certo… l’educazione influisce molto…
– Molto? È tutto!
– Hai ragione, sì… Ma di’ pure che c’è molta gente nel nostro paese, che non vuol farsi gli affari suoi.
– Te n’hanno fatta qualche altra? – saltò a domandargli Ciro con piglio derisorio. – Ma se puzzi di carogna, lontane un miglio!
– Nient’affatto ! – negò Pepè, risentito. – Che non ho paura, dovrebbero saperlo; uno schiaffo, a chi se le meritava, ho saputo appiopparlo…
– Per combinazione!
– Un duello, a buon conto, l’ho fatto…
– Per forza!
– Ma se ora vengono in cinque contro uno?
– E chi sono? – domandò Ciro, con le ciglia aggrottate.
– Mauro Salvo…
– Ah, quel buffone con gli occhi a sportello?
– Lui, coi fratelli e coi cugini Garofalo… in cinque, capisci? Mauro è innamorato pazzo – non corrisposto, bada, e perciò posso dirlo – di… della signora Alcozèr, tu la conosci: la figlia del Ravì. Ora, che te ne pare? pretende ch’io non vada più, dice, in casa di don Diego; né io, né lui, né nessuno, dice… Anzi, dice, se ci vado stasera, guaj a me… Mi aspetta coi suoi davanti al portoncino dell’Alcozèr.
– Non capisco, – disse Ciro, infoscandosi. – Per prepotenza?
– Per prepotenza… eh già! Capisci? sono in cinque…
– E tu, babbeo? Hai detto che non saresti andato?
– Nient’affatto!
– Ma intanto sei qua… E hai paura! Te lo leggo negli occhi: hai paura! Ah, ma tu ci andrai, stasera stessa, or ora… Prepotenze, neanco Dio! Vieni con me.
– Dove?
– In casa Alcozèr!
– Ora?
– Ora stesso. Il tempo di vestirmi. A che ora suoli andarci tu?
– Alle sei e mezzo.
Ciro guardò l’orologio, poi esclamò, stupefatto:
– Quanto sei vile!
– Perché? – balbettò Pepè.
– Sono le sette meno un quarto… Ma non importa: li troveremo… In cinque minuti son bell’e vestito.
S...

Indice dei contenuti

  1. I
  2. II
  3. III
  4. IV
  5. V
  6. VI
  7. VII
  8. VIII
  9. IX
  10. X
  11. XI
  12. XII
  13. XIII
  14. XIV
  15. XV
  16. XVI
  17. XVII
  18. XVIII
  19. XIX
  20. XX
  21. XXI
  22. XXII
  23. XXIII
  24. XXIV
  25. XXV
  26. XXVI
  27. XXVII
  28. XXVIII
  29. XXIX
  30. XXX