7 Novembre 18....
I figliuoli della grazia si
ribellarono alla ed ora portano il danno d’una ristolta ed
infausta. La Grazia di Dio è traforata nella coscienza dell’uomo e
ha convertito in un limosinante del regno cieli; ella seminò le
ruine per tutte le della vita, anzi della vita non fece che in un
mondo non; ella ci ha resi impotenti e, quel ch’è trasformò
l’impotenza in un abito umana segnandola come schiava e destinata
ai supplizi ineffabili della geenna eterna. Un tal servaggio di
spirito chiamò redenzione; e quando ci vide attraversare le forche
caudine d’un dogma fabbricato da lei, s’applaudì come d’una grande
salute partecipata dal cielo e dalla terra.
Ahimè! quanto diversa da quella
Charite olimpica che uscì fresca di pudor virginale dalla schiuma
del mare, ondeggiata mollemente dai zefiri sulla sua conca odorosa,
che lampeggiava d’un riso sereno sugli esseri inebbriati alla
voluttà de’ suoi sguardi, e mentre guidava le feste di Orcomeno dai
veli decenti trasparivano le membra ambrosie atteggiate alla danza!
La santa Venere con forma e con nome di Grazia era in quel tempo la
Dea della vita, i cuori si esaltavano nell’ebbrezza del suo culto,
ed anche la religione era gioia di spiriti sani.
Il medio evo capovolse quel mondo
sì bello, e contristò di pianto ascetico la natura che avea
generato le forme olimpiche della beltà. D’allora la grazia divenne
ministra di predestinazioni tragiche, e nascondendosi per entro
alle pieghe d’un volere impervio ai dubitanti della terra, si
pianta come un giogo in mezzo della vita, ne spezza le potenze che
contrastano a lei, e crea un cimitero di schiavi là dove
potrebb’essere un paradiso di liberi. Che redenzione infausta fu
quella! che libertà sciagurata ci recò l’apocalissi del regno di
Dio la quale annunziava cieli nuovi e terra nuova! che frutto ne
venne dall’avere abbandonato le vie della natura per traviarsi
miseramente nelle vie della grazia! quanti secoli perduti per
sempre alla ragione umana! quante battaglie stolte in cui si versò
il miglior sangue dell’anima per conquistarsi un regno de’ cieli
impossibile!
Ah! se penso al danno immenso del
quale rechiamo le cicatrici ancora vive dentro di noi, alla salute
del mondo moderno contristata dalla morbosità medievale, a quel
gruppo di demenze accampate nel cervello a guisa di specie stabili
della fede, all’arduità dell’educazione scientifica che ci spoppi
dai miti filosofici e ci disuggelli l’epoptea redentrice del vero;
se penso a quella, direi quasi, ostinazione superba di fatuità
impenitente che ci aggioga, più o men, tutti ad un dogma condannato
per sempre, allora m’assale un tedio ribelle dell’intelletto che
dubita di sè stesso e si crede trastullo di qualche nemesi
sconosciuta che lo defraudi, e mi domando con l’amarezza che vien
dalla morte se il sogno non è meglio del vero, e se la natura
creando i suoi folli non abbia loro concesso le scorribande
fantastiche nella breve settimana dei sensi.
Ahime! da quanti secoli ci passa
innanzi il torrente della demenza, e con che tumultuare osceno si
devolve per le vie della vita! quanta parte del genere umano vi si
ruina per entro e vi naufraga! che fanno i pochi magnanimi i quali
siedono sulle cime del tempio epicureo? contemplano da lungi il
torrente sorridendo sui naufraghi. Addio.