Demonologia di Dante
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Una dottrina demonologica ordinata e compiuta negli scritti di Dante non si trova, e nemmeno poteva esserci; ma da molti luoghi della Commedia, e più particolarmente dell’Inferno, nei quali o sono introdotti demonî, o si parla di demonî, e da alcuni altri sparsi qua e là per le rimanenti opere, confrontati fra loro e aggruppati opportunamente, si ricava un certo numero di credenze e di opinioni che giova esaminare congiuntamente e conoscere. E come appena siensi esaminate alquanto, una cosa anzi tutto si rileva, ed è che la demonologia del poeta, in parte è dottrinale e dommatica, si rannoda cioè alla speculazione e alla disquisizione teologica, in parte è popolare, conforme cioè a certe immaginazioni comuni ai credenti del tempo; senza che manchino per altro qua e là, dentro di essa, vestigia di un pensar proprio e personale. Per ciò che riguarda la parte dottrinale, il poeta l’ha senza dubbio attinta dalla teologia scolastica, di cui egli si mostra, come tutti sanno, assai ampio conoscitore, e più particolare delle opere di S. Bonaventura, di Alberto Magno, di S. Tommaso d’Aquino, il suo dottor prediletto. Non è improbabile tuttavia che egli abbia udito in una od altra Università d’Italia, forse anche di fuori, lezioni e dispute sopra un argomento di tanta importanza quale si era nel medio evo la dottrina dei demonî, intimamente congiunta con quella degli eterni castighi, e intorno a cui s’erano sino dai primi tempi della Chiesa esercitati gl’ingegni più acuti e più alacri. Se non che sono così scarse ed incerte le notizie tramandateci degli studii e delle peregrinazioni di Dante, che nulla si può affermare in proposito.
Arturo Graf
Arturo Graf (Atene, 19 gennaio 1848 – Torino, 31 maggio 1913) è stato un poeta, aforista e critico letterario italiano.

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Informazioni

Editore
Passerino
Anno
2019
ISBN
9788834157565

Demonologia di Dante

Una dottrina demonologica ordinata e compiuta negli scritti di Dante non si trova, e nemmeno poteva esserci; ma da molti luoghi della Commedia , e più particolarmente dell' Inferno , nei quali o sono introdotti demoni, o si parla di demoni, e da alcuni altri sparsi qua e là per le rimanenti opere, confrontati fra loro e aggruppati opportunamente, si ricava un certo numero di credenze e di opinioni che giova esaminare congiuntamente e conoscere. E come appena siensi esaminate alquanto, una cosa anzi tutto si rileva, ed è che la demonologia del poeta, in parte è dottrinale e dommatica, si rannoda cioè alla speculazione e alla disquisizione teologica, in parte è popolare, conforme cioè a certe immaginazioni comuni ai credenti del tempo; senza che manchino per altro qua e là, dentro di essa, vestigia di un pensar proprio e personale. Per ciò che riguarda la parte dottrinale, il poeta l'ha senza dubbio attinta dalla teologia scolastica, di cui egli si mostra, come tutti sanno, assai ampio conoscitore, e più particolare delle opere di S. Bonaventura, di Alberto Magno, di S. Tommaso d'Aquino, il suo dottor prediletto. Non è improbabile tuttavia che egli abbia udito in una od altra Università d'Italia, forse anche di fuori, lezioni e dispute sopra un argomento di tanta importanza quale si era nel medio evo la dottrina dei demoni, intimamente congiunta con quella degli eterni castighi, e intorno a cui s'erano sino dai primi tempi della Chiesa esercitati gl'ingegni più acuti e più alacri. Se non che sono così scarse ed incerte le notizie tramandateci degli studi e delle peregrinazioni di Dante, che nulla si può affermare in proposito. Se fosse vero quanto afferma Giovanni Villani, e infiniti ripeterono dopo lui, che Dante, sbandito di Firenze, se ne andò allo studio di Bologna; quivi avrebbe potuto il poeta apprendere di molte cose circa l'essere e le operazioni di Satana e degli angeli suoi. Una ragione per crederlo si ha in quelle parole che egli pone in bocca a frate Catalano de' Malavolti:

Io udi' già dire a Bologna
Del diavol vizj assai, tra i quali udi'
Ch'egli è bugiardo, e padre di menzogna [1] .

Ma comunque se la procacciasse, il poeta del mondo invisibile non poteva non avere una dottrina demonologica: senza curarci d'altro, vediamo qual sia [2] .

***

Gli è noto che il mito della ribellione e della caduta degli angeli si fonda sopra alcuni luoghi del Nuovo Testamento, i quali non sono di troppo sicura significazione. Un mito parallelo, e che ha radice nel Testamento Antico, narra di angeli, che avendo avuto commercio con le figlie degli uomini furono cacciati dal cielo. Entrambi i miti trovarono credito fra i Padri dei primi secoli; ma poi il primo soperchiò e fece in qualche modo dimenticare il secondo. Dante osserva su questo punto la comune credenza del tempo suo. Nel Convivio egli chiama in generale i demoni intelligenzie che sono in esilio della superna patria [3] , e piovuti dal cielo li dice nel c. VIII dell' Inferno [4] ; di Lucifero,

Che fu la somma d'ogni creatura,

dice nel XIX del Paradiso, che

Per non aspettar lume cadde acerbo [5] ;

ma nel VII della prima cantica allude alla parte più drammatica del mitico racconto, alla cacciata dei ribelli, vinti dall'arcangelo Michele, che

Fe' la vendetta del superbo strupo [6] ;

e cacciati dal ciel, gente dispetta, li chiama nel IX [7] . Essi corsero in colpa immediatamente dopo la loro creazione:

Nè giungeriesi, numerando, al venti
Sì tosto, come degli angeli parte
Turbò il suggetto dei vostri elementi [8] ;

e ciò avvenne fuori della intenzione divina, benché non fuori della divina prescienza [9] . Cagione della colpa fu la superbia; e invidia e superbia sono, secondo S. Tommaso, i due soli peccati, che possano propriamente capire nella diabolica natura [10] .

Principio del cader fu il maledetto
Superbir di colui che tu vedesti
Da tutti i pesi del mondo costretto,

dice Beatrice al poeta [11] ; di colui che fu primo superbo [12] , e

Contra il suo Fattore alzò le ciglia [13] .

Di tutti gli ordini degli angeli si perderono alquanti tosto che furono creati, forse in numero della decima parte; alla quale restaurare fu l'umana natura poi creata [14] . I cacciati dal cielo furono precipitati sopra la terra: Lucifero cadde folgoreggiando [15] , dalla parte dell'emisfero australe,

E la terra, che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fe' del mar velo,
E venne all'emisperio nostro; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il loco voto
Quella che appar di qua e su ricorse... [16]

Questa mirabile immaginazione è, per quanto io so, tutta propria di Dante, e dà luogo ad alcune difficoltà sulle quali io non intendo di trattenermi [17] . Ma non tutti gli angeli tristi peccarono egualmente: alcuni di essi si serbarono neutrali;

non furono ribelli,
Né fur fedeli a Dio, ma per sé foro.

Cacciati dal cielo, e rifiutati dal profondo Inferno, essi scontano la loro pena nel vestibolo, insieme con

l'anime triste di coloro
Che visser senza infamia e senza lodo [18] .

Dicono i commentatori, ultimo lo Scartazzini, tal classe di angeli neutrali non trovarsi nella Bibbia, ed esser forse invenzione di Dante. Che nella Bibbia non si trovi è verissimo [19] ; ma non così che Dante ne sia l'inventore. Nella leggenda del Viaggio di S. Brandano, la cui redazione latina risale, per lo meno, all'XI secolo, si legge che, nel corso della sua avventurosa navigazione, il santo, co' suoi compagni, giunse ad un'isola, dove trovò un albero meraviglioso, popolato di uccelli candidissimi, i quali erano appunto angeli caduti, ma non però malvagi [20] . Essi non soffron castigo, ma sono fuori dell'eterna beatitudine. Certo, la finzione della ingenua leggenda si scosta per più ragioni da quella del poeta, ma ha con essa un concetto comune, il concetto di una schiera di angeli che, travolti nella ruina, perdettero il cielo, senza ...

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