Abraham Lincoln
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Abraham Lincoln

Con una poesia di Walt Whitman

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Abraham Lincoln

Con una poesia di Walt Whitman

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Abraham Lincoln, in Italia noto come Abramo Lincoln (Hodgenville, 12 febbraio 1809 – Washington, 15 aprile 1865), è stato il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti d'America: dal 4 marzo del 1861 fino al suo assassinio. Guidò l'Unione attraverso la guerra di secessione americana, ebbe il merito di mantenere inalterata l'unità degli Stati federati e di modernizzare l'economia del Paese. In questa edizione è riportata anche la celebre poesia O capitano! Mio capitano! (che Walt Whitman gli dedicò quando venne ucciso) e sono stati emendati i molti errori della stesura originale, relativi soprattutto ai nomi delle nazioni e delle città.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788834174067
Argomento
Storia

ABRAHAM LINCOLN

CON UNA POESIA DI WALT WHITMAN

Scoccano certe ore, nella giornata dei popoli, che sono come il riassunto dei tempi che le precedettero; che sembrano essere il punto culminante d’un periodo ed al momento stesso il primo istante di un’era nuova.
Sono ore crepuscolari di angoscia e di gioia; tramonto ed alba ad un tempo.
È in quelle epoche che si svolgono i grandi fatti della storia; i popoli sono allora ad un bivio della loro via di fatti nei secoli.
Sembra, allora, che un’opera di riconquista e di risarcimento, una grande opera di giustizia si compia; soprattutto di giustizia.
Sono lunghi antichi anni di martirio che vengono ad esigere la loro glorificazione; sono ombre di dimenticati – sovente di vilipese vittime – che tornano a chiedere il posto che loro spetta nel mondo; sono, soprattutto, fatti nuovi che cancellano vecchie forme, che infirmano leggi adusate, che distruggono male acquisiti diritti; sono vie nuove che si aprono al progresso di uno o di tutti i popoli; passi avanti, rapidi qualche volta, faticosi sempre, ma sempre egualmente gloriosi, verso una meta di eterna giustizia che non appare chiara a tutti gli uomini, ma verso la quale, inconsci, i popoli procedono infaticabilmente, dal giorno che più famiglie si unirono per la caccia, per la difesa, per la offesa; dai primordi della umanità.
È in quelle ore che l’inutile tiranno sente pesare su di sé la inesorabile mano del fato; è in quelle ore che il popolo oppressore sente che l’oppresso può, deve sollevarsi e si solleva; è in quelle ore che una forza, che sembra estranea alle forze degli uomini, padrona degli uomini e delle cose, li strazia, li torce, li tormenta; fa più duri e più ciechi, e più feroci i carnefici, suscita a centinaia i martiri, a migliaia i combattenti e per il lungo cammino, rosso di sangue, sparso di cadaveri, sospinge e trascina ad una opera di giustizia un popolo e con lui e per lui la umanità.
Come e perché questa giustizia operi è vano, almeno qui, indagare; come esista questa forza e di qual natura sia essa, è ancor vano cercare; riassumendo i fatti, a lunga distanza di tempo, se ne vede l’operato, se ne scorgono i decreti attuati e questo deve essere tanto che basti per gli uomini.
È nelle ore in cui opera questa suprema giustizia, che sorgono d’in mezzo alle folle gli uomini provvidenziali, gli uomini fatali; quelli che sembrano creati per compiere l’opera e quella compiuta scompaiono, trascinati via da un breve morbo, da un colpo di ferro, da una subitanea disfatta; tolti via rapidamente, come rapidamente sorsero, quasi che la forza che li suscitò non voglia permettere loro di essere gli spettatori, e forse i distruttori, della opera da loro, sotto l’imperio di una inevitabile fatalità, compiuta.
Essi vengono come da plaghe remote. Più antichi del loro tempo, per il loro tempo troppo giovani, si rendono immediatamente padroni dei destini del loro tempo; ne intuiscono i bisogni, ne vedono la via, oscura per tutti, a traverso il labirinto inestricabile dei fatti, e per quella via, che è la sola buona, cacciano la folla umana, maledetti, maledicenti, odiati, forti, insensibili ai dolori altrui, più insensibili ancora ai dolori propri; anime corazzate di fatalità inesorabili, profonde come i più profondi abissi dell’Oceano, terse come sereni cieli di primavera, dritte come lame di spada, serene, dure, pieghevoli ed inflessibili insieme, strumenti perfetti d’un’opera meravigliosa, unica per quel tempo nei tempi.
Vengono, per lo più, da folle oscure, da origini umili e lontane, dagli strati bassi della umanità, dove pare che d’ogni vita fermentino i germi; ed appena comparsi alla luce dei fatti si impadroniscono di ciò che costituisce l’ora necessaria, ed operano.
Ci sono in essi tutte le capacità, tutte le forze, tutte le audacie; essi creano intorno a sé stessi – per lo scopo supremo dell’opera loro – gli uomini, i fatti, i tempi; affermano un principio, dichiarano una verità, ed è quella la loro prima, la loro ultima parola; ed è, sempre, una parola che – più o meno chiaramente – assomma in sé, riassume, rischiara un’opera di giustizia.
« Se bisognerà che ogni goccia di sangue sprizzata di sotto la frusta sia pagata con una goccia di sangue tratta dalla spada; se bisognerà che ogni soldo della ricchezza accumulata col sudore degli schiavi sia disperso in questa guerra per la salute dell’Unione, dovremo dire che c’è una giustizia inflessibile che presiede alle cose degli uomini e che i decreti della Provvidenza sono evidentemente giusti».
Così Abraham Lincoln nel proprio Messaggio del marzo 1863 al Congresso, quando chiedeva 300 milioni di dollari e 700 mila soldati per continuare la guerra.
La terribile guerra di secessione che doveva costare, alla fine, un milione di uomini fra morti e feriti e più di 12 miliardi e 300 mila dollari.
Lincoln fu appunto uno di quegli uomini fatali che arrivano al momento necessario, quando qualche cosa nella vita d’un popolo muore e qualche cosa nasce; quando c’è bisogno d’una mano salda, d’una volontà irriducibile, d’uno strumento unico, a quella sola opera atto; quando la vita di un popolo dipende da una parola detta o taciuta, da un dovere duro ma serenamente compiuto, da un sacrificio di tutte le ore, di tutte le forze, di tutte le energie raccolte in una mano possente che non le abbandona altro che quando il grande fatto è compiuto; ed è la morte che schiude allora l’ostinato pugno.
Abraham Lincoln è così.
Egli arrivò sulla scena e la grande tragedia incominciò. Anzi incominciò proprio perché egli e non un altro arrivò su la scena.
Se nella elezione del 1860 i 500.000 voti che decisero della sua elezione a presidente fossero stati guadagnati da uno dei suoi competitori Douglas, Breckenridge o Bell – non importa quale – le sorti degli Stati Uniti sarebbero state allora, e sarebbero oggi, diverse. Ma, contro le previsioni di tutti, i voti dei deputati al Congresso furono per Lincoln. Egli solo ne raccolse più dei tre avversari riuniti insieme.
Infatti le cifre della elezione popolare di Abraham Lincoln, il 5 dicembre 1860 sono le seguenti: Lincoln 1866462 voti contro 1375157 dati a Douglas, 847953 dati a Breckenridge, e 590631 dati a Bell.
Questi voti del popolo ebbero per risultato al Congresso, il 13 febbraio 1861, 180 voti dati a Lincoln, 72 a Breckenridge, 39 a Bell e 12 a Douglas.
Lincoln era dunque l’eletto dal popolo.
E la ridda feroce incominciò.
È che egli rappresentava la infallibile giustizia, e arrivava nell’ora opportuna, nel momento inevitabile, armato di tutta la forza e la fatalità dei fatti che devono essere.

Eppure non pareva l’uomo più atto, non era neppure quegli che aveva per sé le maggiori probabilità.
I due candidati repubblicani William H. Seward e Salmon P. Chaase, specialmente il Seward, erano più noti di lui e nel partito repubblicano avevano più credito e più seguito.
Due soli Stati portavano e sostenevano Lincoln: lo Stato dello Illinois e lo Stato di Indiana. Di più si sapeva che alcuni Stati del Sud erano pronti a separarsi dalla Unione se alla Presidenza fosse stato nominato un partitante della abolizione della schiavitù.
E non solo questo ma i tre competitori di Lincoln al Congresso i difensori – sotto una od un’altra forma – dello schiavismo, Douglas, Breckenridge, Bell erano tre delle più note personalità della Unione.
Eppure Lincoln vinse. L’ onesto Abraham fu nominato, malgrado le minacce degli avversari e la campagna ostinata menata contro di lui, che, durante il tempo della lotta, era rimasto a Springfield senza quasi prendervi parte.
E perché ciò dunque? E da chi, come gli veniva quella forza che fece di lui il tormentatore ed il salvatore della Unione?
Questo è il grande mistero del come la Giustizia – che ha per secondi, su l’orologio della eternità, i secoli umani – presiede allo svolgersi della vita della umanità; e non possiamo, non ci è dato scrutarlo.
Come per tutti i misteri troppo breve è la nostra vita, e troppo oscuro e troppo folle il nostro sapere.
Ma noi possiamo ricordare chi fu.
Non c’è in lui nessuna traccia di passato memorabile, nessuna di quelle possibilità che sono date dalla ricchezza, nessuna forza gli viene dalle attrattive fisiche.
D’umile origine, povero, brutto; un’anima indomita, una coscienza diritta,...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. ABRAHAM LINCOLN
  3. Indice
  4. Intro
  5. ABRAHAM LINCOLN
  6. BIBLIOGRAFIA
  7. Ringraziamenti