I mesi dell'anno ebraico
eBook - ePub

I mesi dell'anno ebraico

Con brevi nozioni di archeologia biblica

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

I mesi dell'anno ebraico

Con brevi nozioni di archeologia biblica

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Questo preziosissimo volume: I mesi dell'anno ebraico. Con brevi nozioni di archeologia biblica, scritto dal rabbino Felice Bachi e da lui definito «ad uso della gioventù israelitica», in realtà si rivolge a tutti poiché, oltre che autentico ed esteso documento/compendio delle regole e delle tradizioni delle comunità ebraiche, contiene la storia del popolo israelita dalle origini. In questa edizione il testo è stato parzialmente revisionato ed è stato omesso il pesante e macchinoso apparato delle note.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a I mesi dell'anno ebraico di Felice Bachi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Storia ebraica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788834188538
Argomento
Storia

AB (LUGLIO-AGOSTO)

Questo mese può chiamarsi a giusta ragione, il mese infausto del popolo d’Israele; poiché in esso abbiano avuto compimento i terribili castighi già minacciati da Mosè e tante volte predetti, ma pur troppo invano, dai profeti che Dio suscitava in ogni secolo, e siano succeduti i luttuosi avvenimenti della distruzione del primo e del secondo Tempio di Gerusalemme.
Il primo giorno di questo mese segna la morte di Aronne, avvenuta sopra il monte Hor nell’anno quarantesimo dell’uscita d’Israele dall’Egitto, e 123° della sua età.
La tradizione fissa al giorno ottavo di questo mese, il ritorno degli esploratori spediti da Mosè nel paese di Canaan.
Ci fermeremo a narrare diffusamente quest’avvenimento anch’esso luttuoso per parecchi motivi, per indi parlare della distruzione dei due Templi di Gerusalemme, ma in particolare modo del secondo, maggiormente importante per noi. Infatti dal dì della sua caduta data non solo la cessazione della indipendenza politica d’Israele, ma il principio di quella lunga sequela di sofferenze e di persecuzioni inenarrabili, che se la mercé di Dio cessarono ora in quasi tutta l’Europa civile, e delle quali noi dobbiamo conservarne la memoria per solo rammarico di vedere distrutto quel centro dove si serbava sotto un simbolo visibile la legge divina, e per ammirazione verso i nostri padri, che con invitta costanza verificarono alla lettera l’espressione di Davide: «Tutto questo soffrimmo ma non dimenticammo Te, (Dio) e non mentimmo al tuo patto», dobbiamo però constatare che pur troppo tali sofferenze e persecuzioni durano tuttavia in parecchie contrade, dove il sole della libertà e della universale fratellanza degli uomini, non poté ancora farvi penetrare i suoi raggi benefici
Correva il secondo anno dall’uscita d’Egitto, e il popolo d’Israele, che toccava oramai i confini dell’Emoreo, si raccolse presso Mosè e lo richiese di mandare «innanzi a sé alcuni uomini ad esplorare il paese che doveva conquistare: onde sapessero indicargli «la via per cui doveva andare, e le città a cui doveva rivolgersi». La manifestazione di questo desiderio poteva interpretarsi come un atto di diffidenza verso lo stesso suo condottiero, che ripetutamente gli aveva assicurato il possesso immancabile di un «paese di frumento e d’orzo, di viti, fichi e melagrani; paese d’olivi (abbondanti) d’olio e di miele. Paese, ove senza scarsezza mangerebbe pane, ove non mancherebbe di cosa alcuna; paese di cui le pietre erano (dure come il) ferro, e dai cui monti ricaverebbe rame». Pure, anziché adontarsene Mosè dichiara che «la cosa gli piacque»; e scelti a quest’uffizio dodici uomini, il capo di ciascuna tribù, con particolareggiate istruzioni li inviò a riconoscere tutto quel paese. Partiti il giorno 29 di Sivan, impiegarono quaranta giorni nel loro viaggio d’esplorazione, ed arrivarono all’accampamento ebreo il giorno 8 del mese di Ab.
Onde assecondare la raccomandazione fatta loro da Mosè, che desiderava dimostrare al suo popolo con prova evidentissima la verità delle sue dichiarazioni; gli esploratori portarono di colà alcuni frutti, che presentarono al popolo ansioso di conoscere il risultato delle loro osservazioni. Per una colpevole leggerezza o per un criminoso accordo, come pretendono alcuni commentatori, dieci di loro, dopo d’aver magnificato la, prodigiosa fertilità del paese visitato, ne esagerarono assai i difetti. Dissero, che la statura degli abitanti era gigantesca, e superiore all’ordinario la loro forza; che le mura che cingevano le città erano alte e forti e per loro indubbiamente inespugnabili; che il clima era tanto inclemente e micidiale, che quella terra poteva dirsi con tutta ragione, una madre divoratrice dei propri figli. Queste false notizie spaventarono in modo straordinario i loro ascoltatori, i quali dimenticarono tutto d’un tratto i grandi miracoli operati da Dio in loro favore, e di cui furono testimoni essi stessi: rammaricarono amaramente di avere prestato fede alle lusinghiere ma fallaci promesse di Mosè; dubitarono stoltamente della potenza di Dio, e manifestarono il timore di vedersi destinati a morire di stenti in quell’inospitale deserto, o di divenire essi e i loro figliuoli facile preda di quei formidabili nemici. Né le assicurazioni degli altri due esploratori Giosuè e Caleb, valsero a fare loro riconoscere la grave offesa che facevano a Dio con questo atto di ribellione, e a rinfrancare i loro cuori: che anzi arrivarono a tale punto di demenza, da concepire e manifestare altamente la iniqua e vilissima intenzione di lapidare quei due coraggiosi e intemerati uomini, e poi darsi un capo che facesse loro ripigliare la via dell’Egitto. Ma la divina giustizia già offesa parecchie altre volte, non poteva lasciare impunito questo nuovo gravissimo atto d’ingratitudine per parte di quella nazione, che per ripetere l’espressione di Mosè, Dio «era andato a togliere da mezzo ad altre nazioni con prove, con miracoli, con prodigi, con battaglie, con potente mano, con braccio disteso e con grandi spaventi», nel solo intento di farla depositaria delle sue eterne verità, e di condurla a fruire i beni di quel paese promesso ai suoi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe. La divina giustizia per quanto longanime e clementissima, non poteva permettere che quella generazione che in ogni occasione si dimostrò riluttante alla voce dell’Eterno e che la schiavitù aveva resa paurosa, vile ed ostinata, andasse a godere di «quei campi ch’essa non aveva dissodati e di quelle case piene d’ogni bene ch’essa non aveva fabbricate».
I dieci esploratori a causa dell’enorme peccato morirono di morte improvvisa, e tutta la parte del popolo che già aveva oltrepassato i vent’anni di età il giorno dell’uscita dall’Egitto, e che pertanto non avrebbe dovuto mai dubitare della onnipotenza di quel Dio che aveva fatto a suo pro’ tanti miracoli e in Egitto e nel deserto, fu condannata a morire nel deserto nel corso di quarant’anni, epoca fissata allo ingresso della nuova generazione nella terra promessa. Due uomini soli furono esclusi da questo castigo, Giosuè e Caleb, perché dice il testo «adempirono (ebbero fede) dietro Iddio». La morte di Mosè ed Aronne avvenuta parimenti nel deserto in sullo spirare dell’anno quarantesimo, fu occasionata dal peccato da loro commesso nel fatto delle così dette me merivà (acque della contesa).
E quasi la giustizia divina non si tenesse tuttavia paga del castigo inflitto a quella generazione, i nostri dottori vogliono ch’essa sia uscita in queste lugubri parole: «Voi piangeste questa notte senza alcun motivo. Ebbene! sin d’ora io stabilisco in essa un pianto secolare pei vostri figliuoli». Nella caduta di Gerusalemme si trova la spiegazione di queste parole di colore oscuro.

Caduta del regno d’Israele.
Se pressoché in ogni caso la parola divisione è sinonimo di indebolimento, i suoi tristi effetti sono poi più funesti ed immediati, quando la divisione avviene tra individui o nazioni fra le quali esistono o possono svilupparsi germi di rivalità, per motivo d’interesse o di dominio.
Per quanto il regno di Salomone fosse stato glorioso, ed avesse portato la grandezza e la prosperità d’Israele ad un punto non mai raggiunto allora da nessun popolo dell’Asia, ciò malgrado uno scontento grandissimo serpeggiava nel popolo. Per sopperire alle ingenti spese causate dalle città che egli fece costruire in diversi punti del regno, e per la costruzione del tempio e dei sontuosi suoi palazzi; Salomone dovette imporre sul popolo pesi enormi. Sia quindi per questo motivo, e sia perché offese gravemente Dio e il sentimento nazionale, erigendo templi dedicati agli idoli delle sue tante mogli nella Santa Città, lo scontento era tanto profondo e generale, che non attendeva che una favorevole occasione per prorompere in fatti. E questa occasione, pur troppo, non si fece attendere lungamente.
Morto Salomone, il popolo si raccolse in Sichem per la incoronazione del di lui figlio Roboamo; e si valse appunto di questa occasione per fare sentire al suo futuro re, come avrebbe desiderato un alleviamento ai troppo pesanti carichi che aveva dovuto sostenere lungo il regno del padre. Roboamo chiese tre giorni di tempo per riflettervi, e intanto si rivolse agli antichi consiglieri di suo padre. Questi nella loro prudenza ed esperienza, gli suggerirono una risposta mite e conciliante colle seguenti parole: «Se oggi ti mostri compiacente verso questo popolo soddisfacendo al suo desiderio, e parlando ad essi con buone parole, esso ti sarà soggetto per tutti i giorni». Ma sia che questo savissimo consiglio urtasse il suo orgoglio, o sia che gli facesse temere che scendendo a patti col popolo e annuendo alla sua richiesta, venisse a dare un cattivo precedente di debolezza e a menomare il suo prestigio e le prerogative reali; fatto sta, che ebbe l’infausta inspirazione di consigliarsi pure coi giovani suoi coetanei. E questi nutriti cogli stessi sentimenti d’alterigia, risposero colle seguenti insensate e crudeli parole: «Così devi dire a questo popolo, il quale ti parlò dicendo: Tuo padre ci ha imposto un grave giogo, ora tu ce lo allevia, così devi dire loro: il mio dito mignolo è più grosso dei lombi di mio padre. Ora dunque mio padre vi caricò di un grave giogo, ma io ci aggiungerò ancora: mio padre vi castigò colle sferze ed io vi castigherò con flagelli a punture».
Si capirà facilmente, che il popolo vedendo respinta in un modo tanto brutale la sua domanda, che riteneva e fors’anche era, opportuna e ragionevole, ne fu punto sul vivo, e fece una sedizione che ebbe per conseguenza la divisione del regno. Restarono fedeli alla dinastia Davidica le due sole tribù di Giuda e di Beniamino, le altre dieci tribù si elessero a re un certo Geroboamo figlio di Nebath. Costui fu già servo di Salomone, e ritornato da poco dall’Egitto ove erasi rifugiato per sottrarsi all’ira del suo Signore, apparentemente informato del colloquio di lui col profeta Ahhià, che nel nome di Dio, gli aveva promesso sino d’allora, il dominio sopra dieci tribù di Israele.
Quantunque per opera d’un profeta, si sia per allora scongiurata la guerra fraterna che stava per scoppiare tra queste due frazioni d’Israele, pure da questa divisione data il vero principio della rovina d’Israele, essendo stata causa di fare iniziare l’idolatria a religione dello Stato. Ed ecco in qual modo. Nell’intento d’impedire ai suoi sudditi di portarsi a Gerusalemme nelle tre solennità dell’anno, temendo che l’uniformità del culto religioso richiamasse sotto il glorioso scettro di Davide quelle tribù che se n’erano distaccate; Geroboamo fece innalzare due vitelli d’oro alle due città estreme del regno, Dan e Betel, e fece bandire al popolo: «Voi non dovete più salire in Gerusalemme: questi sono, o Israele, i tuoi dêi, che ti trassero dalla terra d’Egitto». La grande maggioranza del popolo si lasciò trascinare facilmente all’idolatria poiché, per sventura, vi aveva molta propensione; e d’allora in poi popolo e re si allontanarono sempre più dal retto cammino tracciato dalla loro legislazione religiosa, finché la divina giustizia stanca dei loro tanti traviamenti, fece di loro aspro governo nel terribile modo ch’ora noi andremo a dire.
Gli esempi di questo regno, conosciuto nella storia col nome di regno d’Israele, furono ben presto imitati dai loro fratelli delle due altre tribù componenti il così detto regno di Giuda; e Roboamo anch’esso fece innalzare statue e querce a dêi stranieri. Alla purezza dei costumi sottentrò una sconcia e ributtante licenza; si allentarono i legami domestici e sociali; e la decadenza politica vi tenne dietro sollecita; per cui sino dal quinto anno del regno di quest’ultimo troviamo già che un certo Sissac re d’Egitto prese Gerusalemme e la spogliò di tutte le cose preziose che contenevano il Tempio e la reggia. Si aggiunga poi che tra Roboamo e Geroboamo e la maggior parte dei loro successori, durò una quasi non interrotta lotta fraterna: per cui queste due parti d’un popolo solo, oramai in tutto discordi meno nello allontanarsi dal cammino della virtù s’indebolirono a vicenda, e necessariamente divennero facile preda ai loro comuni nemici, che s’ingrandivano a loro spese.
Per punire Acabbo che fu il più triste dei re d’Israele, e i cui peccati più lievi furono paragonati dallo storico sacro ai più gravi commessi da Geroboamo, Iddio suscitò contro Ioram figlio di lui e per nulla degenere da tale genitore, certo Jehù uno dei suoi capitani. Questi, ribellatogli l’esercito mandò a morte lui, settanta suoi fratelli, la madre, i parenti, gli amici della famiglia regnante e tutti i più noti adoratori del Baal. Ma neppure lui poté o volle sradicare interamente l’idolatria, poiché lasciò sussistere i vitelli d’oro innalzati da Geroboamo e ne tollerò l’adorazione. Per cui Dio sdegnato permise che Hhazàel potente re della Siria mettesse a contributo il regno d’Israele, e durante il regno di Ocozia figlio e successore di Iehù, progredisse talmente colle sue vittorie, da non lasciare in Israele che poche migliaia d’armati e pochissimi carri da guerra. È bensì vero che Dio impietositosi dell’angustia in cui versava il suo popolo, gli fece poi ritornare le città perdute per le vittorie accordate a Gioas figlio di Iohahhaz, e al belligero Geroboamo figlio di lui; pure sia per la licenza dei costumi ingenerata dall’idolatria che non venne mai abbandonata neanche dai rè migliori, e sia dalle continue scosse politiche; le piaghi erano tali e talmente profonde da fare prevedere prossima la totale rovina della nazione.
E la catastrofe si compì effettivamente regnando Osea figlio di Elà. Samaria fu presa dal giro Salman-Assar dopo un assedio che durò tre anni. Tranne i più poveri fra i cittadini che il vincitore lasciò nel paese per coltivare la terra, tutti gli altri, uomini, donne e fanciulli furono obbligati ad emigrare di là dell’Eufrate; e vennero dispersi in varie provincie dell’Assiria e della Media, nei lunghi più lontani dalla loro patria. Il paese rimase deserto per più di quarant’anni, finché Assaphar Assar-Hhadon nipote di Salman-Assar vi mandò a popolarlo una colonia di Cutei.
Questo regno, agitato da non poche sedizioni e regicidi durò 255 anni. Ebbe 19 re, uno solo dei quali riuscì a conservare la successione al trono sino al quarto dei suoi discendenti, il quale però non tenne il regno che per soli sei mesi.

Caduta del regno di Giuda e distruzione del primo Tempio.
Cento trentadue anni dopo la caduta di Samaria, Gerusalemme cadeva essa pure in potere di Nabucodonosor re di Babilonia, dopo un assedio di circa due anni. La città fu abbandonata al furore delle soldatesche, che tutta l’empierono di sangue e di cadaveri, il Tempio fu saccheggiato e distrutto; Sedecia fu fatto prigione; sotto i suoi occhi furono scannati i suoi figli, indi fu egli stesso acciecato e condotto prigione a Babilonia. Furono pure uccisi il sommo Sacerdote Seraià e non pochi fra i principali cittadini. Gerusalemme fu disfatta, le sue mura demolite, i suoi tesori portati via; e tutti gli abitanti salvati dalla spada furono messi a fila e sotto buona scorta condotti di là dall’Eufrate, e dispersi nelle provincie dell’impero babilonese. Tutte le altre città del regno furono vuotate egualmente, e non si lasciarono in esse che pochi miserabili contadini e vignaiuoli, tanto perché la terra non rimanesse affatto deserta. Nabo-Sar-Adan mandato ad eseguire questi ordini del re elesse un certo Ghedalià per Governatore di quel povero resto di un popolo già numeroso e potente. Ma come vedremo in altro mese (Tisrì), di lì a non molto esso fu assassinato da un traditore, che si fece strumento vile di un iniquo straniero: per cui gli Ebrei rifiutando di seguire, come per loro sventura fecero sempre, i consigli del profeta Geremia; sopraffatti dal terrore di una nuova invasione di babilonesi, disertarono la terra natale e cercarono un asilo in Egitto. Ma non si fece attendere molto il pentimento. Invece della quiete sperata, vi trovarono la fame e la morte; e i pochi che sopravanzarono furono menati schiavi dai babilonesi, cinque anni dopo quando Nabo II conquistò anco l’Egitto.

Rifabbricazione di Gerusalemme e del secondo Tempio.
Cinquant’anni dopo l’eccidio di Gerusalemme, la monarchia babilonese fu soggiogata da Ciro re dei Persiani, il quale nel primo anno del suo regno pubblicò un editto col quale permise agli Ebrei di ritornare nella loro patria, e riedificarvi il Tempio. Fece anco restituire una parte dei vasi sacri già portati via da Gerusalemme; ed onde sopperire alle spese assegnò una somma sulle rendite della Samaria. Ma erano 66 anni, da che vari Ebrei erano stati trasferiti di là dall’Eufrate nella prima invasione di Nabucco, erano 51 dacché tutta la nazione fu trasmigrata nella invasione ultima, e pertanto erano trascorse due generazioni dacché si trovava in terra straniera. Quasi più nessuno dei vecchi esisteva, i più vecchi avevano abbandonato Gerusalemme nella loro giovinezza, o appena se ne ricordavano; gli altri erano tutti nati nella Caldea, ne avevano oramai adottato la lingua e molte usanze; vi avevano impieghi e beni, ed estranei allo entusiasmo patriottico che avrebbero provato i loro maggiori, si sentivano poco inclinati ad abbandonare una felicità presente per incontrare incerte sorti in una terra povera, derelitta, e per cercare frammezzo a sterpi e rovine quale fosse la casa, quale il podere dei loro avi.
Infatti, malgrado il generoso invito e le larghezze promesse da Ciro, pochi ne vollero approfittare. Tutta la colonia emigrante sommò appena a cinquanta mila individui d’ogni età, sesso e condizione. La terra che ricuperavano da ogni lato che si guardasse, non presentava se non squallore e rovine. Le città erano distrutte, l’ellera e il muschio ne coprivano le macerie, sotto vi stanziavano i rettili, i campi erano inselvatichiti: quindi bisognava ricostruire nuove abitazioni, sboscare il suolo e ridurlo a forma capace di coltura; bisognava scavare nuovi pozzi e nuove cisterne in luogo di quelle che il tempo aveva otturate; bisognava sopportare tutte le angustie che mena seco la povertà e l’odio di nemici accaniti. Ma la religione e l’amore di patria infusero coraggio agli emigranti. Dopo sei mesi di lavoro ebbero finalmente costrutto un altare e qualche rozzo fabbricato, e nel mese di Tisrì cominciarono ad offrire i sacrifici e gli olocausti, e celebrarono la solennità dei Tabernacoli.
Il Tempio era però il voto principale degli Ebrei e ad esso posero mano. Infiniti furono gli ostacoli, i disagi e le molestie che incontrarono nella malevolenza e gelosia dei popoli vicini che in tutti i modi cercavano di attraversarne l’esecuzione. Parecchie volte si dovette sospendere il lavoro per ordine espresso dei re di Persia, insospettiti dalle maligne insinuazioni di quei tristi vicini. I poveri operai dovevano lavorare colle armi al fianco, per trovarsi pronti a respingere i loro continui assalti. Ma la ferrea tenacità e costanza di un proposito che era il sospiro dei loro cuori doveva trionfare di tutti gli ostacoli, e novant’anni dopoché i primi Ebrei erano partiti da Babilonia, l’opera fu compiuta, specialmente per merito del profeta Nehhemia che vi contribuì con tutti quei mezzi che gli vennero suggeriti da un ardente patriottismo, dal favore grandissimo che godeva alla Corte d’Artaserse, da una intelligenza non comune, e da un carattere imperterrito che prevede i pericoli e, o vi provvede con assennate disposizioni o sa superarli col coraggio. La dedica fu celebrata con una grande festa, quantunque parecchi vecchi piangessero a calde lagrime confrontando la meschinità di quel Tempio, colla vantata imponenza e maestà del primo.

Distruzione del secondo Tempio.
Non essendo nostro pensiero di tessere qui la intera storia del lungo, e certo non inglorioso, periodo che abbraccia oltre a cinque secoli, e che corse appunto dalla fabbricazione del secondo Tempio alla sua distruzione: ma semplicemente il luttuoso avvenimento della sua distruzione che noi commemoriamo con rigoroso digiuno e col canto di meste e lugubri elegie ai nove di questo mese, non faremo quindi che appena accennare quei soli fatti che si collegano intimamente a quell’infausto avvenimento.
Cominceremo quindi a notare, che la prima volta che i Romani compariscono sulla scena della Storia Giudaica si fu ai tempi di Giuda Maccabeo, il quale prevedendo che a lungo andare non avrebbe potuto tenere testa al re della Siria; mandò due legati a Roma per impetrare l’amicizia del Senato e la sua mediazione col re anzidetto, allora tributario dei Romani. L’ambasceria fu accolta con favore, e ottenne l’intento desiderato.
Accenneremo pure che Simone fratello e successore di Giuda fu il primo principe ebreo che coniasse moneta col proprio nome; e che Giovanni suo figlio, dichiarato indipendente dai Romani, trovandosi abbastanza potente da farsi rispettare dai suoi vicini, poiché possedesse quasi tutto l’antico regno d’Israele e di Giuda, assunse il titolo di re, estinto appo gli Ebrei già da 580 anni. Ma questa indipendenza conquistata mercé lunghi anni di lotte eroiche, con prudenza finissima e con tali e tanti sacrifici che riempiono i cuori di meraviglia ebbe la corta durata di ottant’anni. Pompeo assoggettò di bel nuovo ad annuo tributo questo regno, che per la sua posizione e prosperità, pareva destinato ad essere bersaglio della cupidigia e dell’ambizione dei potenti vicini; ed entrato in Gerusalemme ne fece demolire le mura, cambiò ad Ircano il titolo di re in quello di Etnarca, e dubitando che tali misure bastassero a domare quel popolo insofferente di giogo straniero, ne smembrò il regno, distaccandone parecchie provincie. Quanto mai sono fallaci le previsioni umane! Giuda Maccabeo non avrebbe giammai supposto, che l’alleanza coi Romani da lui tanto desiderata e ricercata per consolidare, come realmente consolidò allora, la libertà della patria, dovesse fruttare nel corso di un periodo di tempo relativamente breve e per l’opera inconsulta dei suoi nipoti, schiavitù e dispersione.
Accenneremo ancora che finito il regno degli Asmonei 116 anni dopo che Gionata fu riconosciuto dai re di Siria Nassì e Pontefice degli Ebrei, titolo che equivaleva a quello di Principe indipendente; Erode ottenne anch’ esso dal Senato Romano il titolo di re. Costui che la storia ci tramandò col titolo di grande rabbà seppe bensì con manovre astute, con incontestabile abilità militare e con una fortuna poco comune affer...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. I MESI DELL’ANNO EBRAICO
  3. Indice
  4. Intro
  5. INTRODUZIONE
  6. NOZIONI PRELIMINARI. DIVISIONE DEL TEMPO
  7. NISSAN (MARZO-APRILE)
  8. ARCHEOLOGIA BIBLICA DELLA PALESTINA
  9. IIAR (APRILE-MAGGIO)
  10. ANTICHITÀ DOMESTICHE
  11. SIVAN (MAGGIO-GIUGNO)
  12. SOCIETÀ DOMESTICA PRESSO GLI ANTICHI EBREI
  13. THAMUZ (GIUGNO-LUGLIO)
  14. AB (LUGLIO-AGOSTO)
  15. ELLUL (AGOSTO-SETTEMBRE)
  16. NOZIONI DI ARCHEOLOGIA
  17. TISRI (SETTEMBRE-OTTOBRE)
  18. ARCHEOLOGIA
  19. MERHHASVAN (OTTOBRE-NOVEMBRE)
  20. ARCHEOLOGIA
  21. CHISLEV (NOVEMBRE-DICEMBRE)
  22. ARCHEOLOGIA
  23. TEVED (DICEMBRE-GENNAIO)
  24. ARCHEOLOGIA. ANTICHITÀ POLITICHE
  25. SCEVATH (GENNAIO-FEBBRAIO)
  26. ARCHEOLOGIA
  27. ADAR (FEBBRAIO-MARZO)
  28. ARCHEOLOGIA
  29. AVVERTENZA
  30. Ringraziamenti