Un viaggio nel Nepal è tra i più affascinanti e prodighi d’impressioni nuovissime e varie e di preziosi risultati scientifici.
Il frutto proibito appare sempre il più gustoso ed è quello che a preferenza d’altri si desidera. Il Nepal è un frutto proibito, perchè i suoi governanti ne tengono chiuse le porte agli stranieri e solo s’inducono ad ammettere qualche persona di riguardo, quando questa comprovi che elevate ragioni di studio, e non altro, la spingono umilmente a chiedere il grazioso lasciapassare di Sua Altezza il Mahârâja.
Il rigore è giustificato. I Nepalesi nella loro beata valle ai piedi del divino Himâlaya, come già in tristi giorni prima della indipendenza e della unità d’Italia i figli del Piemonte alle falde delle Alpi, vedono l’India intera più o meno assoggettata con un triste passato d’incursioni di popoli barbari e civili, greci, sciti, unni, maomettani, europei, e, invece, sè stessi, cospicua felicissima unica eccezione, liberi e indipendenti, gelosi custodi d’un magnifico millenario patrimonio di cultura, rimasto intatto purissimo immacolato per i non mai avvenuti contatti con popoli esotici seguenti costumanze, ubbidenti a leggi, professanti credenze diverse. Fossi nepalese, chiuderei anch’io a doppio catenaccio le porte della mia patria.
Altra ragione che rende il Nepal restío ad accogliere forestieri è il timore della contaminazione. Mentre nell’India britannica i brahmani vanno abituandosi a stringere la mano agli europei, a mangiare magari alla stessa mensa, a mandare, per ragioni di studio e di carriera, i figli in Europa, radicata, invece, è ancora nel Nepal l’idea che il contatto con lo straniero sia origine d’impurità, possa far decadere dalla casta, imponga penitenze espiatorie ed abluzioni.
Tanto rigore si converte in generosa liberalità dinanzi alla maestà della religione e della scienza, vale a dire, dinanzi a ciò che di più venerando abbiamo al mondo.
Ai tibetani, in massima parte pastori, che, in devoto pellegrinaggio, dalle loro impervie montagne accorrono nel Nepal per visitare i sacri templi buddhisti, libero è l’accesso, ospitale e redditizia l’accoglienza. Trovano facilmente a vendere la lana delle loro pecore, le pecore e il sale di cui abbonda il loro paese. Il migliore assaggio che si possa avere del Tibet, senza andare nel Tibet, è appunto nel Nepal percorso continuamente da pastori tibetani che si spingono innanzi le greggi, e da monaci e lama avvolti nei mantelli gialli o rossi e devotamente seguentisi in fila indiana, su per le erte che conducono ai santuari, in un silenzio e in un raccoglimento davvero edificanti.
Altro efficace passaporto è la scienza, non già, beninteso, la nostra, ma quella indologica che presuppone la conoscenza del Sanscrito e dei testi filosofico-religiosi e letterari dell’India. Essa valse a Sylvain Lévi del Collège de France, a F. W. Thomas dell’Università di Oxford e a Giuseppe Tucci, Accademico d’Italia, di penetrare e dimorare più o meno a lungo nel Nepal per esaminare e raccogliere manoscritti nella famosa Libreria del Durbar, vera miniera di rari e preziosi codici antichi e moderni contenenti tutto quello che l’India in tre millenni ha prodotto in ogni ramo della scienza sacra e profana.
Non la qualità d’indologo, bensì quella d’inviato o residente britannico, consentì a Brian Houghton Hodgson nel terzo decennio del secolo scorso di mandare a Londra la raccolta di manoscritti buddhisti che si conserva nella Biblioteca dell’India Office. Le relazioni diplomatiche fra l’Inghilterra e il Nepal sono ottime, la sola legazione che esiste a Kathmandu è quella britannica, i pochi europei che vi dimorano sono tutti inglesi chiamati dalla fiducia del Mahârâja a prestare servizio quali sanitari, ingegneri, periti militari.
Frutto proibito, rocca della più pura civiltà indiana, il Nepal merita d’essere la meta ambita d’un viaggio, anche per le sue bellezze naturali e la varietà delle stirpi che lo popolano. Quando è sereno, lo spettacolo dello Himâlaya, nelle cime candido di ghiaccio e neve, dello Himâlaya che da oriente ad occidente si estende in linea retta a perdita d’occhio sublimandosi nell’azzurro del cielo con le sue due fantasticamente lunghe e poderose braccia del Gaurî-Çank...